Mentre in Sala Stampa a Sanremo volavano per aria parole come “finalmente un festival identitario italiano senza volgarità”, incontriamo come una boccata d’aria fresca Dario Salvatori, con la sua giacca militare-dissacrante. Come descriverlo? Bé, un mito per quelli della mia generazione, ma un mito anche per i più giovani, dato l’entusiasmo con il quale hanno accolto in redazione la breve intervista video. Giornalista, critico musicale, conduttore radiofonico. Formato alla scuole di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, che hanno traghettato in Italia quella che era la musica “giovane”. Membro lui stesso di una band, i “Tina & The Italians”, i cui componenti erano (“squillino le trote, rullino i canguri”, direbbe Nino Frassica, con lui in “Quelli della Notte”): Roberto D'Agostino, Massimo Buda, Gianfranco Giagni, Alberto Dentice e Paolo Zaccagnini. Così non possiamo non chiedergli una intervista su questo clima “democristiano”.


Dario, c'è questo clima che molti hanno definito “pretesco”. Sembra quasi il Conclave di Sanremo piuttosto che un festival. Abbiamo il Papa, i cardinali che fanno esternazioni, cantanti in ritiro spirituale con canti gregoriani, preti che girano per le strade di Sanremo. Che sta succedendo?
Beh, Simone Cristicchi ha provato a smorzare un po' questa sensazione dicendo chiaramente: ‘Io sono religioso, la mia famiglia lo è sempre stata, ma non fatevi strane idee. Non mi farò prete’. Però è vero che l'atmosfera richiamata dai media è quella dell'Italia anni '50, quando la Democrazia Cristiana era al 51%. Un'Italia molto diversa da quella di oggi.
Lo vedi come qualcosa di negativo?
No, non è necessariamente negativo. Non è colpa del cast, ma di questa sorta di 'sordina' che si autoalimenta. I cantanti, in questo scenario, sembrano quasi diaconi: osservano, ascoltano, ma non rispondono. C’è qualcosa di moroteo nell’aria.
Con questo clima pensi che i testi più “peccaminosi” possano essere penalizzati?
Le parolacce e le provocazioni ci sono sempre state, ma criticare troppo questo aspetto rischia di non portare a casa nulla. Certo, si avverte una certa retorica. Marco Masini ha detto che avrebbe preferito mantenere il brano così com'era, senza toccare mood o atteggiamento.
Ti ricorda l'epoca della censura Rai?
Sì, esattamente. Ai tempi c'erano i dischi bloccati, i testi rivisti. Ma oggi, ciò che conta è l'interpretazione. Il clima, per quanto influente, non può soffocare l'espressione artistica.
Per concludere, dato che per noi hai l’allure e di un vescovo o di un cardinale, ci daresti una tua “benedizione” per MOW?
Ora pro nobis!
Ci vediamo dopo per il Rosario!
