Ci sono talmente tanti cambi di programma, conditi da dichiarazioni astruse, che si fa fatica a tenere il filo del discorso. L'ultima, in ordine di tempo, arriva direttamente da Fimi (Federazione dell'Industria Musicale Italiana), e la riassumiamo così: perché fare Sanremo per forza a Sanremo? Idea rivoluzionaria: spostiamolo da un'altra parte, magari al Forum di Assago di Milano! Beep, corto circuito, allarme rosso. Com'è possibile pensare di dover fare Sanremo in un altro luogo, se il Festival della Canzone Italiana è legato popolarmente e, soprattutto, legalmente, alla Città di Sanremo, provincia di Imperia? Una dichiarazione del genere potrebbe essere spernacchiata se arrivasse dal politicante di turno, ma se è il Ceo di Fimi, Enzo Mazza, a dirlo (al Corriere) allora il problema è enorme, più grave di quanto si possa pensare.
Dichiarazione che segue quella, anch'essa sconnessa e arrivata via Tweet (togliete Twitter ai politici, vi preghiamo), del ministro Franceschini che in soldoni dice: l'Ariston è un teatro come gli altri, o lo si fa senza pubblico o non lo si fa. Record: ha ragione ma ha anche torto. Allora, puntualmente, gli hanno fatto notare che è sì un teatro (anzi, è un cinema multisala), ma è anche uno studio televisivo nel caso del Festival, e allora è esplicitamente permesso un pubblico di figuranti che, in qualche modo, fungono da coreografia. E infatti non sono pochi i programmi tv che si avvalgono dei figuranti, destando solo qualche mugugno via social. Solo che qui c'è di mezzo il carrozzone per eccellenza, il Festival nazionalpopolare che da anni (e anni, e anni, e anni...) monopolizza dibattici, reti televisive, opinione pubblica (i meme con Bugo e Morgan, anche basta). Solo che quest'anno c'è una pandemia e anche Sanremo deve farci i conti. Purtroppo o per fortuna.
L'idea di spostarlo (a maggio?) è stata anticipatamente bloccata da Amadeus, dicendo che Sanremo è Sanremo, mica è il Festivalbar (che tra l'altro ha lanciato lo stesso Ama nella preistoria del 1993). Pure qui la è nota stonata e il paragone è inutile: il Festivalbar ha avuto nelle sue edizioni concorrenti italiani e internazionali che Sanremo si sognerebbe di avere o ospitare, spingendo il suo appeal verso i giovani, verso le top chart radiofoniche, verso l'autentico mercato della musica senza confinarlo negli studi dei talk show pomeridiani. Insomma, in un Paese normale non sarebbe di certo un problema posticiparlo in un mese più caldo, quando probabilmente le cose saranno pressoché migliorate. No, qui ci si schiera, si fa polemica, ci si incazza per il nulla e si straparla a vanvera. Intanto, però, il mondo dello spettacolo e della cultura è in ginocchio. Stremato e ignorato dai ristori che non bastano o non vogliono bastare. E dunque una domanda: perché, il Festival di Cannes – questo sì, tra i più importante al mondo – può essere fatto a luglio e Sanremo non può andare oltre marzo? Perché, in Italia, continua a non esserci l'umiltà di accettare un cambiamento, anche quando la situazione è drammatica, paradossale e che, guarda un po', ci obbliga al cambiamento stesso?
Dall'altra parte non bastano più, per il settore, le dichiarazioni del caso. Serve una programmazione, servono degli investimenti, serve un periodo indicativo (non una data, badate bene) per permettere una ripartenza del settore. In poche parole: si fa Sanremo? Bene, giusto, sacrosanto. The show must go on. Ma si dica pure quando possiamo pensare di poter tornare al Sistina o al Cinema Quattro Fontane. Come detto è in parte vero ciò che ha twittato Dario Franceschini: l'Ariston è un teatro e va trattato per quello che è, e all'inizio di Marzo è prevedibilmente difficile avere una normalità garantita. Ma è anche vero che non si può fare una mischia generale. Non si può paragonare Sanremo ad un cinema di provincia. Non sono la stessa cosa. Non si può ancora una volta prendersela con il pubblico, incolpandolo che sia pagato o pagante.
E si utilizzi Sanremo come vera ripartenza del mondo artistico, musicale, culturale, cinematografico e via discorrendo. Si utilizzi Sanremo, una volta tanto, per il nobile scopo di fare da apri pista ad un nuovo corso per quelle riaperture che devono avvenire in sicurezza e il più presto possibile. Una volta tanto si utilizzi Sanremo come motore progressista e non conservatore. È assurdo combattere politicamente solo per un Sanremo in presenza (o assenza) quando i cinema e i teatri sono chiusi – a conti fatti – da quasi un anno, con le stesse categorie di settore che hanno quasi paura a rivendicare il sacrosanto diritto di sapere se vivranno o moriranno.