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Se tutto è fascismo,
il fascismo non è più niente.
Come nel docu “Marcia su Roma”

  • di Leonardo Masi Leonardo Masi

2 settembre 2022

Se tutto è fascismo, il fascismo non è più niente. Come nel docu “Marcia su Roma”
Giorgia Meloni in mezzo alla Marcia su Roma. È successo al Festival di Venezia 2022 nel documentario firmato dallo storico del cinema Mark Cousins. Nonostante il posizionamento in forma non competitiva nella sezione Giornate degli Autori, di questo accostamento storico-politico tra presente e passato ne sta parlando mezzo mondo. Ma ormai se “fascismo” è tutto, non sembra essere più niente

di Leonardo Masi Leonardo Masi

Quando il fascismo è dappertutto e da nessuna parte… Sta prima di tutto nelle bocche delle genti: flatus vocis, scatola vuota, contenitore di tutto ciò che la bile produce ed espelle. In Italia è impossibile fare una critica se non riconducendo questa o quell’altra parte alla manifestazione del demonio (così come lo si vuole vestire, di camicie nere o rosse). E la campagna elettorale esaspera un atteggiamento oramai tendenziale e tendenzioso. Una moda, un acronimo, una sigla, normalizzata al flusso di pensieri quotidiani, come dire “bicchiere”, “avamposto”, “miele”. Senza pensarci, la parola “fascismo” non ha più peso, un senso che definisca ed orienti, che la differenzi dal resto delle categorie politiche. Se “fascismo” è tutto, non sembra essere più niente. Così arriviamo alla 79esima mostra di Venezia e ci ritroviamo il documentario “Marcia su Roma” di Mark Cousins. Più che un documentario si presenta come uno spot, ché il principio e la fine si identificano con l’attualità politica: inizia con Trump e finisce con la nostra Giorgia Meloni. Poco di storico, se lasciamo all’intermezzo il contenuto essenziale della trama: la marcia su Roma del 1922 (riprendendo un film della propaganda fascista di Umberto Paradisi, a Noi!, che racconta proprio di quelle giornate). Un doppio salto: prima indietro, e poi avanti. E sappiamo quanto in Italia, e soprattutto in clima di campagna elettorale, ci piaccia crogiolarci in certi parallelismi.

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Il regista Mark Cousins

Parallelismi solo evocati, apparizioni gettate lì, senza la profondità dell’argomento. Di documentario vi è ben poco, appunto, perché non documenta ciò che vuole (o vorrebbe) documentare: la presenza attuale di quel 1922, la liason tra passato e presente, la presenza ancora viva (secundum Cousins) del fenomeno “fascismo”. E invece, pura collazione di immagini, nessun legame giustificato, reso solido dal verbo e dall’esplicazione. Tutto dato per scontato: lo spettatore è partecipe, deve fare tutto lui, o meglio, deve essere d’accordo. Propaganda antiestetica, direi, perché non mossa dalla volontà di persuadere, una propaganda da social nello stile “te la butto lì, tanto so già che sei d’accordo”. Un affronto agli storici, al giornalismo, un dito nell’occhio a chi vuole leggere i fenomeni senza le lenti delle etichette. Etichette sempre buone alla semplificazione e mai al chiarimento.

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Benito Mussolini durante la Marcia su Roma

Perché quello che potremmo fare è andare oltre, appunto. Comprendere, studiare. Prendere la pochezza come punto di partenza per scavare la profondità delle cose. Chiedersi se il fascismo sia un metodo (astorico) di governo politico, se abbia ragione Eco a parlare di “fascismo eterno”, se si possa lanciarsi indietro e avanti nel cronos della storia per appellare questo o quello come “fascista”. Che è quello che fa Cousins, dopotutto, quando paragona il partito di Giorgia Meloni alle “crociate dell’undicesimo secolo”. Oppure se il fascismo non sia solo “forma” di governo dittatoriale o dispotica, ma abbia contenuto, sostanza, visione di mondo, che possa essere riproposta d questo o quel partitello all’interno di regimi democratici. E cosa differenzi la destra dal fascismo, se siano la medesima cosa, come tende a leggerla Cousins (intravedendo nel pensiero anti-lgbt di certa destra un revival delle camicie nere), oppure ci siano delle differenze costitutive legate all’economia, a principi politici, internazionali. Come sia conciliabile, ad esempio, il populismo delle destre con la visione fortemente antidemocratica del fascismo. Come sia conciliabile il posizionamento internazionale delle destre profondamente pro NAto ad un fascismo che proprio dai carri armati americani è stato soffocato. Com’è possibile il tendenziale “liberismo” delle destre con il corporativismo e lo statalismo fascista, che ha previsto (sia teoricamente che storicamente) un forte intervento statale nell’economia (vedasi, per esempio, le varie nazionalizzazioni nei settori bancario e imprenditoriale). Se insomma, sia sufficiente essere conservatori sul piano etico-morale (ancorché necessario) o abbracciare singoli elementi del fascismo storico e teorico per essere definiti “fascisti”. E se ci attenessimo a questo, ritroveremo nell’unico calderone targato fascismo le più disparate visioni e sensibilità politiche , dal comunista, al liberale, al cattolico ecc.

Queste e molte altre questioni, di cui dibattono gli storici. E si veda la scesa in campo all’interno di questo dibattito di Emilio Gentile, storico allievo di Renzo De Felice, che al fascismo e al neofascismo ha dedicato una vita di studi, e chi si è espresso nel recente passato tra libri e interviste proprio sulla possibilità più o meno concreta di una rinascita del fenomeno fascista. Però Gentile rimane in sordina, giustamente. Perché ascoltare la voce di un esperto (per quanto discutibile) non è calare le braghe, non è un riflusso di immagini che stuzzichi il palato del luogo comune. È dialettica, messa in discussione. Problematizzazione della parola.

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