Sono la vera coalizione vincente di queste anomale elezioni autunnali 2022. E non stiamo parlando di centri-destra e centri-sinistra, di terzi poli o di campi larghi che presto si sono ristretti come fossero passati alla temperatura sbagliata in lavatrice. Nossignori, qui si parla dei due rivali che proprio grazie al loro rivaleggiare si stanno reciprocamente sorreggendo, e di fatto offrono mutua legittimazione: Enrico Letta e Giorgia Meloni, citati in rigoroso ordine alfabetico per fare torto a nessuno. E che si avviano trionfalmente a vincere le politiche del 25 settembre sotto le insegne del ticket Lettoni. Formalmente i due sono avversari. Ma non lasciatevi ingannare dalla volgare evidenza dei fatti e guardate al vero aspetto formale della cosa, alla configurazione costruita dai due col loro duellare sistematico il cui vero scopo è la sotterranea conventio ad excludendum. Dove gli esclusi sono tutti gli altri concorrenti alla campagna elettorale. Soggetti che per bacino di voto potenziale avrebbero anche qualche rilevanza, ma che dalla cementata coalizione “Lettoni” vengono tagliati fuori quasi senza diritto di parola. Una situazione sulla quale hanno trovato da ridire non soltanto i diretti interessati, ma persino l'Agcom. Che ha appena stoppato, giudicandolo iniquo in termini di par condicio, il confronto fra i due fissato nel salotto Rai di Bruno Vespa per il 22 settembre. Qualcosa che certo non può passare nei canali dell'emittenza di Stato, ma a questo punto nemmeno in quelli privati. E da chi arriva la prima reazione piccata? Ovviamente da Enrico Letta, proprietario al 50% della ditta nonché co-edificatore del bipolarismo più sghembo che sia mai esistito nella storia politica mondiale. Un ticket che secondo i sondaggi non arriverebbe a coprire il 50% dei voti validamente espressi. Quota che a sua volta, con l'aria di astensionismo che tira, ha probabilità di rappresentare nemmeno un quarto del paese.
I due soci della “ditta Lettoni” ne sono ben consapevoli e per questo tengono in piedi la Snc. Perché hanno problemi di legittimazione interna più che esterna. Devono risultare credibili in casa propria e per questo traggono linfa dal più riconoscibile nemico esterno.
Guardate l'Enrico, per esempio. Sa di dover perdere le elezioni praticamente da quando è stato eletto segretario. E sa che molto probabilmente le avrebbe perse anche nell'ipotesi di campo largo, nei mesi beati in cui Carlo Calenda poteva essere tenuto a cuccia e Giuseppe Conte non aveva ancora ritirato il deposito cauzionale M5S che teneva in piedi il governo Draghi. E nel ruolo di perdente designato con qualcosa più del 20 per cento l'Enrico potrà dedicarsi, da ottobre in poi, a ripulire definitivamente il partito dalle scorie renziane, ciò che ha già iniziato a fare con la compilazione delle candidature. Il suo innato grigiore ha minimo brillio – si metallizza – soltanto quando si erge a rivale della socia nella coalizione Lettoni.
Ma dal canto suo anche la Giorgia ha da trarre soltanto beneficio dallo stato di conflitto/cooperazione con l'Enrico. Perché le resistenze più convinte alla sua leadership, sia quanto a campo politico che a futura premiership, se le trova in quella che sarebbe la sua coalizione nominale e da parte degli altri due alleati leader in disfacimento: Salvini, che ancora 'crede' di essere politicamente vivo; e Berlusconi, che è ancora vivo ma sono sempre più quelli che stentano a credere sia davvero lui anziché un ologramma.
Così stanno le cose e così andranno. La “coalizione Lettoni” (o Meletta) stravincerà le elezioni (fa pure rima). E potete stare certi che governeranno insieme. Lei guiderà il governo della Repubblica legittimamente eletto. E lui ripristinerà il fallito esperimento del governo ombra. Così potrà mettersi lì bello comodo, senza rischiare di beccarsi un eritema.