Per i 60 anni dalla morte di Louis-Ferdinand Céline (1 luglio 1961), scrittore amato e odiato ma di certo mai indifferente, abbiamo chiesto al critico letterario Gian Paolo Serino di raccontarci perché, a tanti anni di distanza, le sue opere siano ancora considerate un tabù.
Qual è l'attualità di Cèline nel 2021?
Cèline ha anticipato i tempi, li ha bruciati. Attraverso le sue storie, ma soprattutto attraverso il linguaggio. La lingua: gli studiosi lo ingabbiano con parolone, tipo l’argot francese, ma Cèline è l’oggi. Ha anticipato il linguaggio della pubblicità, del rock, dei film, persino dei social. I suoi punti esclamativi, i punti di sospensione, il continuo mettere in “pause” una società che aveva capito viveva già in “forward”.
Uno scrittore controverso, che spesso finisce nella categoria "cattivi maestri" da evitare. È davvero così pericoloso?
Cèline non è maestro, ma certo è pericoloso. Come pericolosi sono tutti quelli che minacciano l’ordine prestabilito. Purtroppo, come “pericolo” è ghettizzato. Viaggio al termine della notte deve ancora soggiacere alla traduzione di Caproni, senz’altro d’autore ma che neutralizza la potenza linguistica di Celine depotenziandolo. Viaggio al termine della notte, un vero romanzo di formazione, altro che il Che Guevara del’Upper Class “Il Giovane Holden”, un romanzo di rivolta da curriculum esistenziale. In Cèline c’è ritmo, vita, contraddizioni, coraggio: Cèline viviseziona la gioventù, Salinger la osserva e la vive senza averla vissuta.
Il collaborazionismo e le considerazioni antisemite come possono essere inquadrate?
Nulla si dice di Simenon: un collaborazionista del silenzio. Suo fratello, che Simenon aiutò a rifugiarsi, era reo di aver distrutto intere famiglie trucidandole e George lo nascose. I film tratti da Simenon erano prodotti dalla casa cinematografica del Terzo Reich: eppure, tutti zitti, a sorbirsi quello che è Simenon: una caramella letteraria.
Qualcuno oggi potrebbe proporre di cancellare anche Simenon.
Ma il Cèline dei pamphlet, soprattutto “Bagatelle”, è un Cèline attualissimo: provate a sostituire la parola ebreo con borghese. Céline odiava i borghesi, non gli ebrei che in quel periodo storico rappresentavano la borghesia. Non si può accusare di antisemitismo Cèline: non più di quanto non si possa fare con gli Stati Uniti. Basta leggere gli editoriali del “New York Times” di fine ‘800 per scoprire i primi veri atti di antisemitismo nel mondo contemporaneo. Lo riporta bene lo storico dell’arte e sociologo Simon Shama ne “Il futuro dell’America” (Mondadori): riporta stralci dove gli editorialisti del NYT descrivono gli ebrei come “esseri inferiori, approfittatori, sanguisughe caratterizzate dal naso adunco”. Tanto che in quegli anni Groucho Marx, il comico, fece una battuta che i più conoscono senza capirne il significato: “Non entrerei mai a far parte di un club che mi avesse tra i suoi soci”. Fino agli anni ’30 nei club per gentleman a New York era affisso il cartello. “È vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei".
Tra l'altro, il suo rapporto con un altro genio della letteratura come Proust non era dei migliori.
Quando gli chiesero cosa pensasse di Proust, rispose: «Sì, sì sarà anche bravo ma vorrà ammettere che scrivere 300 pagine per dire che la vuoi prendere nel culo sono un pochino troppe».
Qual era il suo stile?
Il nostro di oggi: lo stile parlato ma, nel suo caso, meditato. Aveva intuito i meccanismi della comunicazione di oggi. Una sua frase: «Guarda l’ameba, la tocchi, lei reagisce è l’emozione».
Insomma, consiglieresti ai giovani di leggere Cèline?
No, lo consiglierei agli scrittori di oggi, specie italiani: alle varie Murgia, ai vari Saviano, ai vari divulgatori del nulla che, però, su quel nulla tengono in bilico la propria esistenza: non giocate con le parole, andate dritto: perché l’amore è l’infinito messo alla portata dei barboncini. Ci considerate barboncini, ma dateci l’amore dell’infinito.