Il primo luglio del 1961 sono morti due scrittori: Ernest Hemingway, che seppe divorare tutto lo spazio possibile, cominciando dalla prima, sui giornali, e Céline, cui venne riservata giusto una “breve” all’interno, in terza pagina.
Louis-Ferdinand Destouches, in arte Céline, è uno scrittore storicamente problematico: a un certo punto della sua vicenda umana, ancor più che politica, lega tragicamente il suo nome e se stesso al collaborazionismo, fuggirà durante la caduta del “Terzo Reich” in cerca di scampo, e su di lui rimarrà uno stigma incancellabile. In Francia, dove tutti gli scrittori vengono ricordati con apposite targhe nei luoghi in cui hanno vissuto, nel suo caso non è avvenuto: impossibile nonostante gli stessi francesi siano consapevoli sia stato uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. La cultura “repubblicana” impedisce che a Parigi, sia nella sua casa di Montmartre, sia nel pavillon di Meudon dove è morto, siano apposte lapidi onorifiche siglate dello Stato.
Dal punto di vista stilistico, Céline ha lavorato sulle forme della lingua parlata, quindi sull’emozione, cioè che egli chiamava “petite musique”, la piccola musica. Attraverso questa sua voce, in possesso di molteplici registri, dall’invettiva alla rabbia, dalla commozione tenerissima all’astio bilioso, egli ha realizzato una sorta di arazzo narrativo, mosso da molti elementi autobiografici. Il suo primo romanzo fu subito un bestseller, Viaggio al termine della notte, nonostante lì la “petite musique” non fosse ancora evidente e forte. Il libro si apre con questo esergo: «Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l'immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica». E’ il tema della scoperta, dell’incontro con l’umano in ogni sua forma, ed è ciò che fa di Céline uno scrittore che consente al lettore di trovare sia la conferma a un bisogno di commozione sia i pugnali dell’odio, dell’invettiva. Inoltre, Céline custodisce una particolare ogni forma gergale, ossia l’“argot”, le forme gergali sono molteplici: c’è quella, per esempio, dei macellai oppure, metti, dei muratori, per queste ragioni Céline è a suo modo intraducibile; chi è stato costretto a provarci ha utilizzato, nel caso della lingua italiana, le forme gergali di area padana. Personalmente, mi sono laureato su Céline, con una tesi sull’Apocalisse, con Armando Plebe. Apocalisse nel senso di rivelazione.
Céline è un classico, tale deve essere ritenuto, uno scrittore immenso, quindi non esiste una legittimazione circa l’attualità. I temi dei suoi romanzi eterni e capitali: l’amore, la morte, la paura, il coraggio, la malattia vista dallo sguardo di un medico, ciò che poi era la sua prima professione. Dal punto di vista letterario, il tema dell’odio è assai dominante in lui. All’inizio, riferito alla Natura, poi agli Ebrei, infine, quando non gli sarà più possibile scagliarsi su questi ultimi, sceglierà come oggetto delle sue contumelie i Cinesi. Negli anni ’60 si parlava infatti molto del “pericolo giallo”. È stato anche un grande moralista, per esempio demolì Proust scrivendo: «Trecento pagine per farti sapere che Zizì incula Zazou, sono troppe». O quando, a proposito di Camus, affermò che “è la Chiesa a dover dire chi si può sposare o meno, non la letteratura”.
Dopo il processo con l’accusa di alto tradimento per collaborazionismo e l’esilio in Danimarca, trovò rifugio nel sobborgo di Meudon, lì dove morirà. Ricordiamo pure che, al di là d’ogni ostracismo, Céline torna in libreria nel 1952 pubblicato dal più significativo editore francese, Gallimard. In Italia, pubblicato all’inizio degli anni ’80 da Guanda, uscirà il suo più violento pamphlet antisemita, “Bagatelle per un massacro”, mentre in Francia la vedova Lucette Almansor, morta nel 2019 a 107 anni, ne ha sempre vietato la pubblicazione.
Ha amato molto le ballerine, come appunto l’ultima compagna. Nei cahier sono raccolte le lettere che spediva alle sue amiche, dove parlava di tutto lo scibile possibile, anche di come debba avvenire un rapporto anale. Niente era escluso alla sua visione del mondo, non il racconto di una metastasi non quello della commozione, dell’addio. Un gigante. Rimpianto ancora adesso. I suoi autografi sono tra i più richiesti e preziosi del Novecento letterario.