14,6 milioni fino al 10 novembre. Sono le views (gli ascolti) de Il Collegio 9, l’ultima stagione, digital first, del programma Rai, ora mandando in tre parti su Raiplay (ogni parte sono 4 episodi). Dodici puntate un record di visualizzazione e, soprattutto, una qualità altissima. È semplicemente il miglior programma tv in Italia.
Il successo della stagione trascina anche le vecchie stagioni, che sempre online collezionano quasi 3 milioni di views nello stesso periodo (dal 2 ottobre al 9 novembre; mentre cioè già si guarda la nuova stagione), segno che il prodotto, anche per chi lo scopre, attira e, forse, fidelizza. Marcello Ciannamea, direttore della piattaforma, parla di “trend costantemente in crescita”.
E, cosa ancora più incredibile, è l’età del pubblico ha fare la differenza: “Oltre un terzo degli utenti ha infatti un’età compresa tra i 15 e i 24 anni e il 52% ha meno di 35 anni”. Quindi stagione pilota in versione digitale, successo totale, soprattutto tra i giovani (che normalmente non guardano la tv e, tantomeno, la Rai).
L’anno scelto è il 1990. I professori sono sempre gli stessi, Andrea Maggio (italiano), Maria Rosa Petolicchio (matematica e scienza), Luca Raina (storia e geografia), Alessandro Carnevale (arte) e David Wayrne Callahan (inglese), a cui si aggiungo una nuova insegnante di musica, Giusi Serra, Lucia Bello per educazione fisica e Monica Calcagni per educazione sessuale (una bella fregatura per TeleMeloni, eh?).
L’atmosfera un po’ nostalgica e l’impostazione à la Alberto Manzi garantisce che il reality sia, dall’inizio alla fine, per quanto di intrattenimento, pulito, una caratteristica rarissima in tv ormai. Il tema è sempre lo stesso, non tanto lo studio, quando l’impegno e il senso di responsabilità, due valori che sembrerebbero reazionari e invece sono basilari per la vita civile. Parliamo di un piccolo esperimento sociale (nato nel 2017) e dalla durata ridotta, quindi non si tratta di un progetto pedagogico, di una strategia a lungo tempo di alfabetizzazione ed educazione.
È un’esperienza ad alta intensità, il cui impatto può o meno essere reale per i ragazzi che vi partecipano. Il punto è che qualcosa, chi va al collegio (quest’anno a Campobasso), pare ottenerla. Azzurra Vincenzi, per esempio, non parla con i genitori da un po’ per colpa di un torto che, raccontato come viene raccontato, è difficile ridimensionare (mamma e papà avrebbero preso di nascosto il telefono della figlia e avrebbero posto fine alla sua prima relazione scrivendo al fidanzatino…).
In questa edizione “la signorina Vincenzi” è decisamente uno dei personaggi più duri e apparentemente cinici. Mischia l’immaturità di una sedicenne con la chiusura emotiva e avrai praticamente una bestia. Ma Vincenzi, nelle settimane al Collegio, a forza di parlare con i docenti e con il preside Paolo Bosisio, è riuscita ad abbattere il muro che, come le ha spiegato il prof Maggi, non ha fondamenta.
Sono lezioni elementari, lineari, sono degli schemi generali la cui portata viene ormai completamente sottostimata. Poter guardare un programma del genere oggi rimanda ai tempi in cui la tv era un “bene scarso”, così come i programmi, e che quindi imponeva alle aziende (anche quella pubblica) degli standard civili e di qualità diversi.
Il Collegio fa anche commuovere, perché vedi dei ragazzi, selezionati magari anche nella speranza che questo li aiuti sui social e farsi conoscere, che si comportano da ragazzi, con le loro convinzioni e contraddizioni, con le loro fragilità ma anche con i loro atteggiamenti “cringe”, la loro ignoranza (in questo caso ovviamente statisticamente irrilevante, visto che vengono scelti ad hoc), il loro modo di interessarsi a certi temi e non ad altri.
È uno spaccato di vita che forse aiuta lo vive, è già tanto, è già vero, è già reale. Non è solo spettacolo, solo illusione, è, più opportunamente, un esempio: un esempio di come la tv possa funzionare.