A quindici anni stai con un tizio di ventinove, a sedici ci fai una figlia e se tornassi indietro rifaresti tutto. Allo scoppio del MeToo parli di donne troppo fragili. A quarantasette apri il Festival di Cannes con il tuo sesto lungometraggio, un film sulla storia della più potente cortigiana di Luigi XV, e scegli come re Johnny Depp, attore redivivo dopo un caso giudiziario e mediatico in cui molti hanno visto una storia di sopraffazione maschile, altri una soap disfunzionale fatta di ripicche e sbornie elefantesche. Parlo di Maïwenn, ex-modella, regista, attrice, produttrice e sceneggiatrice, "preceduta solo dalla sua fama di rompicoglioni", come scrive il Paris Match. Una senza filtri, tanto che può dire: "Le femministe ultimamente dicono un sacco di stronzate!". Oggi Maïwenn apre il 76esimo Festival di Cannes con Jeanne du Berry. La favorita del re. Il film, in costume, è stato girato in 35 mm. Solo cinque anni fa il Festival di Cannes partiva nel segno del MeToo, quest'anno apre con Maïwenn e Depp e detta tempi nuovi. Il post-MeToo potrebbe tramutarsi in un MeToo au revoir che spazza l’ondata purificatrice made in Usa (lo so, sono ottimista).
Il film di Maïwenn parla di madame du Barry (nel film di Coppola era Asia Argento), una donna di umili origini che riesce a entrare a corte e divenire una delle amanti favorite di Luigi XV. Bella, intelligente, spiritosa e coltissima, arriva a farsi conferire il titolo di marchesa. In un’epoca in cui essere poveri e donne non lasciava vie di scampo, du Barry impara a sfruttare ciò che ha (il potere sessuale, la bellezza, l’arguzia) per raggiungere le vette più ambite. Le cortigiane di Francia erano donne forti e sfrontate che volevano esserci, fare politica, essere mecenate, non ci hanno lasciato epistole sulle fragilità. “Spesso dimentichiamo di parlare dell'immenso potere delle donne…” dice Maïwenn e io annuisco felice. Curiosissima di vedere il film, non mi sorprende che Depp sia tornato a conquistare platee e mercato. Il pubblico va dove il MeToo non conosce e Dior, l’unica maison a non averlo abbandonato nei giorni dell’infamia, gli ha appena confermato un cachet da 20 milioni di dollari per continuare a essere il volto di Sauvage. Forse ora per il mondo Depp è più sauvage che mai, anche grazie ai video dell’ex-moglie in cui appare misero come un comune mortale, anzi, più di un comune mortale, così autodistruttivo e perduto. Per alcuni questo nuovo successo è prova del maschilismo sistemico, per altri un ritrovato equilibrio.
Ma torniamo a lei. Maïwenn, che a soli quindici anni si innamora di Luc Besson (in procinto di dirigere i suoi cult: Nikita, Leon, Il quinto elemento), e che ora riconosce: era un amore folle, ma era un amore fra pari. Maïwenn che pochi giorni fa ha ammesso di avere menato un giornalista, Edwy Plenel, ma ne parlerà dopo, "ora voglio concentrarmi sul lancio del film" dice (Plenel ha scritto per anni sulle accuse di molestie rivolte da un’attrice all’ex Besson. Accuse cadute per mancanze di prove). Maïwenn che passa gli anni cercando di smarcarsi dall'ex-marito e da attrice diviene anche regista e produttrice, fino a giungere al trionfo nel 2011 quando vince il premio della Giuria con il bel Polisse a Cannes. Maïwenn, donna indipendente, che rifiuta il femminismo dominante-puritano, vittimista ed essenzialmente sessista. Detesta quest'epoca che giudica e condanna così in fretta. "Sono profondamente femminista, ma non in maniera sistematica e non contro gli uomini" dichiara a Libération. Si scaglia contro l’odio generico per il maschio, che ritiene "fonte di gravissimi danni collaterali". Un femminismo estremo all’americana diffusosi in Europa (la trentenne Adèle Haenel ha da poco abbandonato la carriera cinematografica per opporsi al sistema patriarcale) ma a cui le francesi fanno resistenza con più forza. Sarà il coraggio, sarà l'arroganza, sarà che è più importante essere libere che protette, orgogliose che vittime, ma è in Francia che è nato il manifesto contro la deriva correttiva del Metoo, firmato da cento donne, tra cui Catherine Deneuve, in cui si voleva proteggere la libertà di "essere anche importunate".
Maïwenn è tipicamente francese, una che sembra gestire la sua vita, i suoi successi e i suoi sbagli senza distribuire colpe, lamentarsi o vestire un capo d'haute couture tutt'uno con la lagna. Una di quelle tipe con cui forse non vorresti essere amica, e soprattutto nemica, ma di cui un mondo che prende le celebrità come guru e maestre di vita ha bisogno. Una che non guarda le serie perché sono "troppo dispendiose in termini di tempo". Di fronte alle contemporanee che parlano di sguardi maschili e di pappagallismo (NB: italiano per catcalling) come se fossero stupri tremendi ridimensiona e alleggerisce il tutto: "Quando sento le donne lamentarsi che gli uomini sono interessati solo alle loro natiche, vorrei rispondere loro: Approfittane! Non durerà a lungo!". Maïwenn dice che vorrebbe essere fischiata tutta la vita, le piace essere guardata, e, nella guerra fra i sessi divenuta ora guerra totale (cit. Lasch) manda un messaggio di riconciliazione: "Voglio dire agli uomini quanto li amiamo. Dobbiamo smetterla di dire che sono tutti dei pervertiti". È sicura che molte donne la pensino come lei ma non osino parlare a voce alta: hanno paura di essere giudicate cattive ragazze, cattive femministe, anzi anti-femministe, poco emancipate, dipendenti dal maschio, aggiungo io. Sappiate, però, che Maïwenn non è un pezzo di pietra, anch’essa ha le sue cicatrici. Ha rifiutato il cognome, Le Besco, in opposizione alla famiglia, con cui non ha più rapporti. Racconta di avere ancora una voce negativa dentro di sé: "È quella dei miei genitori che continuano a denigrarmi". Non sei perfetta Maïwenn ma insegnaci la vita Maïwenn.