Il personaggio della regina Carlotta prende ispirazione dalla regina consorte del Regno Unito (dal 1761 al 1818), Carlotta di Meclemburgo-Strelitz, che, secondo alcuni storici, avrebbe ereditato i caratteri somatici da una scappatella fra un suo antenato e una certa Madragana, descritta nelle fonti come una amante di origini africane. Anche re Giorgio III, dal canto suo, conserva diversi elementi che hanno veramente contraddistinto l’omonimo sovrano inglese, come la sua paura di prendere il potere, il desiderio di diventare padre (che sarà esaudito con ben 15 eredi), ma soprattutto il suo grave squilibrio mentale. Alcuni studiosi sostengono che il re fosse impazzito a causa della malattia sanguigna di cui era affetto, la porfiria, altri invece ritengono che la sua pazzie fosse sopraggiunta a causa di un’intossicazione da arsenico (studi pubblicati nel 2005 su un campione dei suoi capelli). Secondo gli sceneggiatori della serie tv, invece, il re Giorgio III si sarebbe rifugiato nella pazzia a causa delle troppe responsabilità addossategli fra cui quella di guidare la nazione più potente del mondo. In poche parole, aveva l’ansia da prestazione.
In una puntata, il dottore del monarca inglese tenta addirittura di curare gli “scompensi” del povero Giorgio, arrabattando dei metodi a dir poco violenti e aggressivi che dovrebbero far riflettere gli spettatori di oggi su quello che poteva significare essere un malato psichiatrico centinaia di anni fa. Eppure, l’unico antidoto veramente capace di scacciare via i disagi psichici del sovrano non era una pozione, né tantomeno una frustata; a curargli tutte le ferite erano le sue stesse passioni, l’agricoltura e la caccia. Ma questa fuga dalla società non era vista di buon occhio a corte, tutti la interpretavano come una chiara dimostrazione di elitismo e di distacco dalle questioni che preoccupavano il Paese. Ma nello specifico, si può sapere che diamine di problemi aveva questo re? Oggi, potremmo dire che soffriva di depersonalizzazione (e molto probabilmente pure di schizofrenia). Infatti, durante questi "attacchi" (che spesso duravano delle settimane intere), il Re veniva isolato dalla corte e dagli affari di Stato e accompagnato in un'altra dimora in cui riusciva a dedicarsi pienamente alla sua tanto amata natura, ristabilendo così uno stretto contatto con una realtà che il più delle volte lo soffocava. Questa esperienza di depersonalizzazione, cioè di smarrimento di se stessi e delle proprie idee nello spazio, avviene quando ci si sente osservati o giudicati da altri, diceva Sartre, o quando ci si confronta con situazioni che ci rendono impotenti.
E questo è proprio il caso di Giorgio III, che in fin dei conti non era altro che un Re con la paura di regnare. La regina Carlotta invece, che è tuttora la seconda consorte rimasta in carica più a lungo, preceduta solamente dal principe Filippo, ci viene raccontata come una donna che da quando aveva 17 anni ha dovuto fare i conti con il potere e con un marito assente in tutti i sensi. Ci sarebbero anche altri temi interessanti in questa miniserie, come l'astinenza sessuale di una donna in menopausa o il razzismo nei confronti di una sovrana (forse) mulatta, che dovrà governare un Paese in mano ai bianchi. Ma il tentativo di "far parlare di queste cose" è miseramente abortito. Il color-blind casting (la selezione di attori e attrici senza considerarne la razza) è sempre una cosa buona e giusta; tuttavia, sarebbe stato gradevole, per quanto amaro e difficile, fare violenza alla trama, sfruttando Netflix e la sua visibilità per dire quello che è successo veramente quando la regina Carlotta arrivò a corte. La domanda sorge spontanea; perché viene così bene sviscerata la storiella di un re matto, evidenziando al pubblico le indicibili sofferenze subite mentre vien regalato solo qualche minuto alla questione del radicato razzismo in epoca settecentesca? Nonostante ciò, La Regina Carlotta ha il suo “perché”, fa dimenticare (ed è un bene) Bridgerton I e II, svincolandosi dall’essere l’ennesima serie che fa compagnia all’ora di pranzo.