Il conflitto in Ucraina spinge anche il settore artistico ad allontanarsi dall'idea della guerra, con dimostrazioni di solidarietà indirizzate al popolo "invaso" dall'esercito russo. Così, seguendo questa linea di pensiero, la Siae (Società Italiana degli Autori ed Editori) - guidata dal presidente Mogol - in segno di protesta decide di sospendere il pagamento dei diritti d'autore che spetterebbero alle società russe (ossia gli artisti). Tradotto in parole povere: si tengono i soldi.
La decisione è stata comunicata sul sito della società, attraverso le dichiarazioni del presidente: "Negli ultimi giorni abbiamo riflettuto su cosa SIAE avrebbe potuto fare come segnale di solidarietà nei confronti dell’Ucraina - si legge - e alla fine abbiamo preso la decisione di sospendere il pagamento del diritto d'autore alle società d'autori russe, fino al termine del conflitto, accettando ovviamente la più che probabile sospensione del pagamento dei diritti d’autore a SIAE da parte delle consorelle per ritorsione".
Giulio Rapetti, in arte Mogol, precisa però che non si tratta di una presa di posizione contro gli autori ed editori russi, ma di fatto lo è eccome. Invece di proseguire questo razzismo ingiustificato verso artisti nati nella madrepatria di Putin, che hanno come unica colpa la condivisione della stessa nazionalità, la brigata Siae avrebbe potuto indire, ad esempio, una raccolta fondi per i rifugiati, segnale molto più utile e concreto. Di fatto gli autori, russi o non russi che siano, sono all'opposto dispensatori di cultura e quindi pace, per cui punire le loro opere è solo una mossa illogica, che colpisce, tra l'altro, anche tutti coloro che dissentono.
Per di più, l'incredibile “caccia al russo” non segue le decisioni della UE, che non ha affatto stabilito come legale il non corrispondere la proprietà intellettuale agli autori, russi compresi. Un atteggiamento assurdo che conduce di conseguenza a insensate fazioni in ambito culturale, sebbene la cultura dovrebbe essere - almeno in teoria - superiore alle più disparate logiche di odio e discriminazione. Anzi, dovrebbe battersi per disinnescarle, anziché alimentarle in ogni maniera possibile.
Questa russofobia no sense, ma viva e vegeta, persiste quindi in ogni ambito esistente (sport incluso), con decisi segnali di censura nei confronti del popolo e della cultura russa, specie in Italy, scoprendo in Siae solo l'ultimo tassello di una vergognosa catena. I primi vagiti, ravvisati all'università Bicocca, ipotizzavano di cancellare il corso di Paolo Nori su Dostoevskij, con polemiche annesse e conseguente nonché brusco dietrofront, dal sapore di "pezza peggiore del buco" (benché adesso sia Nori stesso a fare retromarcia e non seguire più il corso). In seguito la scelta del sindaco di Milano Beppe Sala che ha escluso il direttore ValeryGergiev dalla Scala con conseguenziale ritiro del soprano Anna Netrebko. Poi la mossa del Teatro Govi di Genova, che ha cancellato il Festival di musica e letteratura russa, mentre la fiera del libro per ragazzi di Bologna ha cessato la collaborazione con gli editori russi. In ultimo, e tra altre ancora, si muove pure la Siae, che penalizza così gli artisti russi, gesto che si allinea, va detto, ad altre discutibili imprese della società. Basta ricordare, a tal proposito, la richiesta di usufruire del fondo solidarietà, in piena emergenza pandemica, con associati che si sono visti recapitare, in risposta al critico s.o.s. dei semplici pacchi di viveri. Siae, dalla parte di chi crea? Forse pure idee del cavolo, però.
Alla fine dunque, mentre chiediamo a gran voce il cessate il fuoco, impegnandoci in gesti di concreta solidarietà verso le popolazioni colpite dalla guerra, assistiamo frattanto silenti a un oscurantismo culturale che ci sta già invadendo, confondendo la responsabilità di alcuni con quella di un popolo intero. Di fatto, di fronte allo spettro di una terza guerra mondiale rimane solo la fuga più lontano possibile dall'isteria generale che ci ha ormai colpito. Diciamolo qui e adesso, si salvi chi può da questa follia.