Siamo circondati dalla bruttezza. Dalla bruttezza delle parole, della violenza, della musica, dalla bruttezza censoria. Come è sempre stato da che esiste il mondo, qualsiasi cosa fa notizia solo se orrenda, se crea polemica e indignazione di massa. E così diventa ciò di cui si blatera e discute dal Parlamento al bar sotto casa. Peggio, diventa assoluta. Se pensiamo a un maschio che fa musica oggi, 20 dicembre 2024, viene in mente subito Tony Effe. Quello che non sa cantare, che scrive versi misogini, che non andrà al Concertone di Capodanno a Roma, ma a Sanremo sì, che schifo, signora mia, ancora una volta i più bassi istinti umanoidi possono essere e sono splendida occasione di pubblicità. A scattare una fotografia della musica nostrana ora verrebbe fuori, grossomodo, una fogna di Calcutta (non il cantautore) che farebbe ribrezzo perfino a Madre Teresa. Non deve essere per forza così, anzi, non è per forza così. Per depurarci da autotune e altre stonate malefatte, in direzione ostinata e contraria, iersera siamo andati all’Unipol Forum di Milano (vabbè, Assago) per sentire un concerto che non ha impensierito il sindaco della città, che non sta indignando nessuno, ma che è stato bello come un fiore che germoglia tra pachidermi e pappagalli decisamente più ingombranti a livello di barriti ed eco, ma osceni. Perché la musica bella esiste, riempie i palazzetti mica gli scantinati di locali sconosciuti pure a Google Maps. Perché, insomma, Francesco Gabbani dal vivo è Natale in un qualsiasi scemodì.
In gara al prossimo Festival con ‘Viva la Vita’, lui che a Sanremo (Giovani) è artisticamente nato, over 30, andando a vincere con la tuttora meravigliosa ‘Amen’, Francesco Gabbani è un ragazzo di Carrara che voleva solo essere felice. E, magari, esserlo sul palco. Su un palco grande, casomai grandissimo. Però mica pensava che sarebbe successo davvero. Dopo sette anni da quel primo trionfo, seguito dalla vittoria a sorpresa l’anno successivo grazie a Occidentali’s Karma che stracciò la vincitrice annunciata Fiorella Mannoia planando in gara all’Eurovision, Gabbani dice ancora: “Ritrovarmi qui per me è un sogno e voi lo state realizzando”. Viene da credergli, epidermicamente, non pare una posa. Ha scritto per Ornella Vanoni ‘Un Sorriso dentro al pianto’ che sembra un’altra, parimenti meravigliosa, poesia con la sua voce. Lo stesso vale per ‘Buttalo Via’, sempre di suo conio, nuovo struggente brano di Mina. Al pianoforte, Francesco Gabbani, useremo un verbo retorico, incanta. Il pubblico ascolta, seduto, il cataclisma di emozioni che si sta scatanando sul palco, siamo tutti rapiti e lo siamo dalla forza delle parole, della musica, dalla bellezza assoluta di ciò a cui stiamo assistendo, per una volta e finalmente.
Francesco Gabbani possiede una penna in grado di scavare alcune profondità in cui sarebbe meglio non andare. In pochi hanno il coraggio di farlo anche soltanto per evitare smottamenti personali. Lui ne riemerge con versi potentissimi, pure quando sembra cantare una inoffensiva canzonetta d’amore come tante altre. Quelle di Francesco Gabbani non sono quasi mai soltanto ‘canzonette’. Facendo caso al testo, facendoci caso davvero, è umanamente impossibile ascoltare ‘La mia versione dei ricordi’ a occhi asciutti. È un brano sulla mancanza, ma anche se non soprattutto sulla verità fattuale che almeno almeno si sdoppia quando due persone si lasciano e restano aggrappate alle loro ragioni, innamorandosene fors’anche di più. Perché deve essere andata così, come dico io, come me lo ricordo. Impossibile accettare d’aver perso del tempo dietro all’idea di un’altra metà che non è mai esistita se non pensata. Deve essere “vera a tutti i costi, lo dico a ogni casa, a ogni vetrina accesa’. Per autoconvincermi, ristagnare in un sentimento di autocannibile nostalgia, insomma, per infliggermi una sofferenza tanto splendida quanto inutile. Ma funziona proprio così. L’amore è la più grande truffa sentimentale mai inventata da mente umana. Per fortuna, però, c’è chi sa cantarlo. ‘Eternamente Ora’, ‘Volevamo solo essere felici’ e ‘Viceversa’ sono lì a dimostrarlo. E la reazione del pubblico che, in massa, non se ne perde una parola, consolida l’impressione che a rimanerne fregati siamo rimasti prima o dopo pressoché tutti.
Francesco Gabbani, oltre che fulgido paroliere, è pure showman. Abbiamo idea che, prima della fama, abbia trascorso molto tempo, nel senso di anni, a cercare di attirare l’attenzione in locali medio-piccoli. Una gavetta lunga, forse lunghissima. Che oggi gli torna utile perché quando è in scena non si riesce a guardare altro. Sembra un amico che, chissà come, è salito sul palco per fare festa tutti insieme, ma suona e canta misuratissimo, chirurgico, non ne sbaglia una. Si finisce per essere felici per lui quando gira il microfono verso il pubblico e gli torna in faccia il roboante eco delle parole che ha scritto, magari in giorni peggiori di questo. Francesco Gabbani è uno che, per talento e attitudine, se lo merita. Si merita tutto.
Trovarsi nella situazione di poter condividere qualcosa di bello e non farlo, specie di questi tempi, dovrebbe essere atto perseguibile per legge. Bersagliati ogni giorno da ciò che (ci) fa stare male, che ci fa incazzare, un concerto di Francesco Gabbani diventa il regalo di Natale che meritiamo di vedere e ascoltare. Si sta al Forum d’inverno, ma è come ritrovarsi sdraiati su un prato grandissimo con un filo d’erba in bocca sotto al sole. Fischiettando spensierati anche sulle più devastanti piaghe d’amore, ricordi in quel momento lontani, apparentemente curabili, forse curati. Loro versioni comprese. Ultimo ma non meno importante dei meriti di questo ragazzo di Carrara a cui fatichiamo a trovare un difetto è l’ostinata avversione alla resa. La canta, per esempio, in ‘Einstein’ (brano che consigliamo di riscoprire). Una lotta interiore tra il desiderio di realizzare i propri sogni, qualunque essi siano, e la paresi autoinflitta da certi infestanti pensieri, quelli che fanno tipo “Sarai sempre quel che eri”. Quindi lascia perdere, ‘Cazzo fai, Francesco?”. Dove Francesco è lui, sono io, sei tu, siamo tutti. Un concerto di Gabbani è ciò che merita chiunque, ogni giorno, sceglie coraggiosamente di non confondere l’abitudine con la felicità. O, se non altro, ci prova invece di andare a lamentarsi al bar per poi lasciare tutto com’è, grigiore per grigiore. Nel grigiore generalizzato, Francesco Gabbani è un fuoco d’artificio perenne. Per ogni emozione che ci ha regalato e che ci regala, gli auguriamo un terzo altrettanto pirotecnico Sanremo. Che è la città dei fiori, dunque la sua città. Usciti dal Forum sotto una pioggia battente bandiera mefistofelica e crudele, davanti ai soliti aggiornamenti sull’ennesima orrenda trovata di marketing del trapper di turno, restiamo adesi all’evidenza che la bellezza della musica sia ancora possibile hic et nunc. Grazie, Francesco Gabbani. Eternamente e ora.