È arrivata l’estate: il caldo, il sudore, il sogno delle vacanze, le vacanze che saranno in posti ancora più caldi di quelli in cui ci troviamo a sudare ogni santo giorno, i social unificati che concorrono per “normalizzare” (parola sempre orrenda!) il vestiario sciatto da spiaggia, le imperfezioni fisiche e soprattutto la prova costume all’insegna della body positivity: come as you are. Quest’anno esiste pure una corrente “estremista” di webstar intente in una nobile crociata contro i filtri Instagram: “sono tossici”, dobbiamo mostrarci come siamo. Lodevolissimo, anzichenò. Ma tutto questo fermento ha una qualche benché minima conseguenza sulla realtà dei fatti? No. Ci stiamo per avventurare in un discorso scivoloso, ben consapevoli che non piacerà a nessuno. Eppure, è di nuovo il momento di indicare il cielo e dire che è azzurro: ancora oggi, anno del Signore 2022, nonostante tutti gli hashtag ad hoc da cui siamo aggrediti quotidianamente che ci stimolano ad amare, comunque sia, il nostro corpo, su questo piano di realtà non esiste anima che vorrebbe presentarsi sul bagnasciuga sovrappeso. Perché siamo tutti body positive, sì, ma col grasso degli altri.
Nonostante gli tsunami di like e cuoricioni ai post delle influencer ventenni che raggiungono sorridenti i due quintali, la cellulite che un tripudio di sedicenti attiviste ci sbatte in faccia due volte al dì credendo che stare a casa a fotografarsi il deretano equivalga alle grandi lotte femministe dei ruggenti anni che furono, no, non siamo ancora convinti che “grasso” sia oggettivamente “bello”. Cioè, sugli altri, per carità, è perfetto. Lo apprezziamo e socializziamo anche per fare, a nostra volta, incetta di follow. Insomma, il grasso è fantastico, inclusivo, spaziale, groundbreaking… finché non capita a te.
Sarà un retaggio del tossico mindset ereditato dalla comunicazione dei decenni passati, per carità. Ma se avete avuto la fortuna di passare già qualche giorno a mare, oppure se avete chiacchierato con qualche amica in procinto di fare le valigie, nove su dieci vi sarete accollati pipponi sulla prova costume, sulla dieta miracolosa che nel giro di quattro giorni quattro promette di trasformare boiler in etoile, almeno un asciugo a tema: “Non sono pronta”. Pronta per cosa?
La questione è, da sempre, più spiccatamente femminile ma non tralascia anche la psiche degli ometti. Un tempo si pensava che questo tipo di insicurezze croniche in prospettiva della “prova costume” fosse il risultato di campagne pubblicitarie e copertine di riviste che immortalavano canoni di bellezza inarrivabili (e malaticci: magrezza era tutta bellezza). Oggi, con tutto il duro lavoro dei social verso il Graal dell’inclusività, perché esiste ancora l’ansia di apparire “grassi”?
Perché il percorso comunicativo è agli inizi, dirà qualcheduno. Ci vuole tempo per cambiare la mentalità di una società forgiata dal fuoco di mille XXS per decenni e decenni. Forse è così. Oppure, c’è da fare i conti con la realtà fattuale: ogni volta che i media puntano sulla body positivity, sempre di corpi parlano. Il focus centrale di ogni campagna, sia pure di sensibilizzazione, è la nostra immagine. La nostra immagine, dunque, rimane il core business delle vendite dei brand, dei post cuore a cuore delle influencer, delle storie Instagram in cui le modelle si mostrano “imperfette” sottintendendo “come te”. Perché tu sei imperfetta. Il messaggio arriva forte e chiaro, anche se celato tra le righe e con tanti sorrisoni acchiappalike.
E sapete una cosa? Lo siamo. Siamo tutti imperfetti da Giselle Bundchen alle sorelle Kardashian che pompano le loro forme come manco i motorini sotto le grinfie dei Gemelli Diversi ai tempi di Pimp my ride. Gli eccessi nella comunicazione su un tema così delicato come quello del corpo generano mostri. Nella realtà come nelle nostre teste. E non c’è hashtag che possa combatterli. Anzi, questi mostri si nutrono della stessa sostanza degli hashtag. #LoveYourself (nonostante…).
Nonostante l’aria di progresso e rivoluzione che si respira sui social, in riva al mare o a bordo piscina la situazione rimane invariata: la più invidiata, chiacchierata e adocchiata dalla platea femminile resta sempre quella che pare il cosplay di una radiografia. Cosa che, per altro, da mai incontra il gusto estetico del maschio medio, se vogliamo aggiungere questo piccolo dato statistico.
Cantare “Sei bellissima” a Vanessa Incontrada (per altro, qualcuno ha mai fatto caso al testo della canzone? Perché, contestualizzato, quel ritornello non ha nulla a che fare con un complimento) è un bel gesto. Ma non sposta una virgola rispetto alla questione del corpo che ci ritroviamo, di quello che percepiamo di avere e di quello che vorremmo. Forse “grasso” (sano!) un giorno sarà bello. Quel giorno non è oggi. E finché il dibattito sull’accettazione di sé avrà come complemento oggetto sempre e solo ogni minimo particolare della nostra fisicità (da accettare e normalizzare, per carità), i mostri che tutti noi, chi più chi meno, ospitiamo nelle nostre teste potranno dormire sonni tranquilli.
Fino alla prossima estate, alla prossima rivoluzione. Che, come sempre, durerà giusto il tempo di una storia Ig filtrata Amaro. C’è una soluzione? Al momento, no. Navighiamo a vista ammirando per finta la cellulite delle altre, nella speranza che non capiti a noi. Non così. Mai. Fuori dai social, la realtà è la stessa di dieci-venti anni fa. Ed è decisamente più problematica di un asterisco. L’estate, ovvero, la sagra dei paraculi in infradito ha inizio: tocca scegliere da che parte stare.