Certo, ma al loro interno non dovrebbero aver sottoscritto un codice etico?
Siamo un paese unico al mondo. Questo è certo. Non siamo solo il paese del sole, dei monumenti, della storia, della civiltà contadina, del mare e del bel canto. Siamo anche il paese dalla memoria più corta in assoluto, il paese in cui un atto violento si dimentica dopo due giorni, un paese che ha dimenticato due guerre, che dimentica i valori degli uomini che hanno combattuto e sono morti nel nome di quella libertà di cui oggi godiamo. Un paese, insomma, orientato solo al consumismo, al denaro, al lusso e al fancazzismo generale: politico e sociale. E neppure ci fermiamo anche solo per un attimo a pensare che siamo in guerra, non una guerra come quella che si combatte in Ucraina e in Palestina. Siamo in guerra contro noi stessi, contro la nostra cultura e contro tutto quello che di buono ci ha resi famosi nel mondo. Siamo Italo-Unni, dei veri e propri Attila che sterminano secoli di grandezza e di storia di una nazione nel nome del potere e del denaro. Abbiamo distrutto tanti settori dell’industria, dell’artigianato, del turismo, della agricoltura, ma la cosa più grave è che stiamo distruggendo la cosa che più di tutte rende un popolo forte: la cultura. Lo facciamo svilendo tutte le forme d’arte e svilendo la cattedrale della cultura: la scuola. E tra tutte le arti una delle più bistrattate e la musica. La musica è ridotta ad una becera forma d’arte che vive solo perché, come una mucca, offre mammelle da mungere per vitelli da allattare. Pochi vitelli, quelli che si sono aggrappati ai capezzoli e ciucciano tutto il latte che contiene fino a svuotarla del tutto. In questi giorni stiamo parlando tanto su MOW di artisti e testi sessisti e violenti; ne parliamo, io per primo, come se fossero loro i veri responsabili, come fossero loro quei vitelli che si ingrassano e che succhiano latte. In realtà loro non sono che quel latte che viene ciucciato, bevuto e digerito quando ha compiuto il suo sfamante dovere. Si, alla fine loro sono la punta di un iceberg, quella parte che affiora, che noi vediamo, quelli contro cui puntiamo il dito cosi come a volte lo puntiamo contro tutti quei giovani ragazzi che li seguono e li sostengono. In realtà è tutta la struttura immersa, quella sott’acqua e che non vediamo in cui convogliano le maggiori responsabilità. Durante la Milano Music Week oltre l’intervento che ho molto apprezzato da parte del sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi, ho prestato attenzione anche all’intervento del quasi omonimo Enzo Mazza, oggi Ceo della Fimi dopo esserne stato il Presidente, e non ho potuto fare a meno di soffermarmi sulle sue parole che hanno suonato, è il caso di dirlo, come il più bel ritornello che le associazioni di categoria cantano quando devono difendere, anche innanzi a evidenze macroscopiche di “colpevolezza”, i propri associati.
Certo, come scrive nella propria pagina di presentazione, la “FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) nasce nel 1992, ed è socio fondatore di Confindustria Cultura Italia e membro IFPI (Federazione Industria Fonografica Internazionale), rappresenta le maggiori imprese produttrici e distributrici del settore discografico per un totale di oltre 2.500 marchi tra i più famosi del mondo. FIMI tutela e promuove le attività connesse all’industria discografica. Ecco, appunto: tutela. E lo fa a tutti i costi, anche a costo di affermare che le discografiche non hanno alcuna responsabilità allor quando pubblicano, e a volte editano, testi come, per esempio, quello di Junior Kelly: "Lei si chiama Gioia , beve e poi ingoia. Balla mezza nuda, dopo te la dà. Si chiama Gioia, perché fa la troia, sì, per la gioia di mamma e papà. Questa non sa cosa dice, porca troia, quanto chiacchiera? L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa, c’ho rivestito la maschera". Certo, che responsabilità può avere la casa discografica se uno scrive questo tipo di versi “poetici”. Che responsabilità può avere una casa discografica se uno così finisce a Sanremo a rappresentare la canzone Italiana nel nostro Festival più seguito al mondo, quel Festival dove cantarono Nilla Pizzi, Claudio Villa, Orietta Berti, Sergio Endrigo, Fausto Leali (sì, quel cantante che è stato punito per aver chiamato “negr*” Enock Barwuah, il fratello del calciatore Mario Balotelli. Poverino non sapeva che se avesse usato un altro insulto magari sarebbe stato più trap e più alla moda). Quindi pensiamo che il buon Amadeus conoscesse, quale attento ascoltatore del genere, Junior Kelly e che invaghito del suo “bel canto” si sia svegliato una mattina dicendo: quasi quasi invito Junior Kelly a Sanremo. Ne siamo convinti? Io penso invece che la discografica di Junior Kelly (non mi riesce di chiamarlo artista né cantante) ne abbia fortemente sostenuto la candidatura quale partecipante al fine di provare a ripulire e lavare un viso che si era sporcato di quelle ed altre parole per poterne trarre profitto da un successivo sviluppo discografico e live. Ma questo è solo un esempio e vi garantisco che ne potrei fare altri che non riguardano Sanremo. Come si fa a difendere a tutti costi dei propri associati che, mi auguro, trattandosi di major e grandi imprese, avranno adottato un codice etico, che avranno una comprensione che i loro prodotti finiscono in un mercato che non è tanto differente da quello degli alcolici o delle sigarette; un mercato dove l’impatto sociale è altissimo e attiene anche, per fortuna non solo, a categorie sociali che stanno vivendo un complicato periodo dopo gli anni '90: i giovani. Avranno, queste mega imprese italiane, seppure succursali di colossi statunitensi, la comprensione che il loro mercato di distribuzione non è un mercato come gli altri ma un mercato che ha una tradizione e una valenza musicale, specie nel bel canto, che è stata l’invidia del mondo e che nella lirica, grazie a Dio, ancora ci rappresenta fortemente nel mondo. Ma a parte tutto ciò, su cui si potrà dissentire appellandosi alla vetustà di chi scrive e alla poca modernità (modernità non è sinonimo di accettazione e tolleranza di violenza e sessismo) una cosa è certa: la musica in Italia è in declino e non perché non ci siano artisti bravi, capaci e rappresentativi della canzone italiana, ma perché si è creato un circolo virtuoso che è gestito da una cricca che sostiene solo prodotto ad alto e rapido consumo di cui negli anni non resterà traccia. E spero che molti nomi non finiscano sui libri di storia sostituendo Caruso, Gigli, Pavarotti ma anche Battisti, Dalla, Daniele. E come se non bastasse la “obbligata” difesa delle discografiche da parte di Mazza, la FIMI, e quindi Mazza stesso, per rendere ancora più consumistico, redditizio il modo di recepire, promuovere e diffondere alcuni generi musicali ha annunciato che verranno conteggiati anche gli streaming gratuiti e le visualizzazioni di YouTube e Vevo. Sembra una cosa di poco conto ma in realtà non lo è affatto. La musica ascoltata dai giovanissimi aumenterà la propria presenza in classifica di un ulteriore 1,6%, cosa che porterà a un significativo 50% il contributo dei minorenni nel plasmare le charts italiane. Questo dato porta direttamente a due considerazioni: chi sono i maggiori fruitori dei circuiti Youtube, Vevo e di streaming gratuiti? Chi sono gli ascoltatori che fruiscono maggiormente dell’ascolto della Trap? Chi sono i maggiori acquirenti di biglietti negli eventi live dei trapper, incluse le discoteche dove hanno messo in atto la formula del dj set che sempre esibizione live è? La risposta è la stessa: la Generazione Zeta. Quella che mantiene vivo un genere musicale in cui si denigra e violenta la dignità altrui, delle donne ma non solo. E perché non considera di aggiungere per le certificazioni le apparizioni nei programmi tv degli artisti? Alla fine sono ascolti anche quelli. Da Fazio a Fiorello, passando per le Iene, Domenica In, i vari Tg, oramai per sostenere la carriera di artisti bisognosi di “iniezioni” promozionali che hanno una connessione sempre più diretta con lo streaming e conseguentemente con le certificazioni. Una sorte di “Cerchio di Giotto” come scrissi qualche tempo fa, un cerchio chiuso a cui pochi eletti possono accedere. D’altronde le confederazioni, si sa, sono lobby. Ad ogni buon conto, restando sul tema dei testi sessisti che le discografiche sostengono, diffondono e sulle quali speculano, riporto un intervento della psicologa Volpini, che ha parlato di forme di depersonalizzazione e di de umanizzazione dei rapporti, nei quali le donne sono viste semplicemente come oggetti. Lo riporto anche per far comprendere ancora per l’ennesima volta a chi si avvita su se stesso e si arrampica sugli specchi nel sostenere che negli anni '60-'70-'80 la musica trattava argomenti violenti, di droga e donne, che l’epoca che viviamo non ha più nulla di umano ed è un epoca in cui i giovani soffrono un malessere amplificato da una continua connessione virtuale che per loro è diventata realtà. “Ci sono retaggi culturali del passato e aspetti sociali nuovi che sono quelli di una socializzazione depersonalizzata e deumanizzata con un deficit emotivo e di empatia che si fa attraverso quella una massiccia socializzazione in rete, virtuale, i cui idoli spesso inneggiano alla violenza e alla svalutazione della donna, all’esaltazione delle droghe e delle sostanze stupefacenti”. Bene caro sottosegretario Mazza, l’associativismo è una conquista importante nello sviluppo economico del nostro paese. Ma non va difesa anche quando si rende responsabile di promuovere, sostenere e diffondere musica che offende, violenta e deturpa la dignità delle donne. Non ha speso nemmeno una parola su quei testi, che probabilmente la giustifica nel nome del ruolo che ricopre ma non nel nome delle difesa delle donne. Concludo augurandole di poter un giorno trovarsi a rappresentare un settore che sia governato da una più consistente presenza femminile; magari potrebbe riconsiderare la sua idea riguardo la mancanza di responsabilità della discografia (non tutta ovviamente) italiana nel sostegno ad un tipo di musica che musica non è. Ci sarà ancora tanto da discutere e da dire su come è gestita la musica in Italia e questo è solo l'inizio.