I libri che raccontano il nostro tempo, sono all’apparenza i più complessi da fronteggiare, per questo c’ho messo un po’ a sbloccarmi e leggere Siete tutti perdonati di Enrico Dal Buono uscito per La Nave di Teseo. Una volta entrato in quel mondo, ne sono diventato un cittadino. Il ricordo dei personaggi mi accompagna, le loro voci pronunciano pensieri che io non vorrei mai pronunciare.
Come mai non riuscivo a leggere? Un po’ per complessi di inferiorità nei confronti dell’autore (a cui lo confessai e mi rispose in ferrarese: Fat dar int’al cul), un po’ perché toccava corde profonde in me.
Si racconta una storia che non è vera ma è verosimile, con un protagonista (Walter) che potrebbe somigliare molto a noi stessi, o a qualcuno che conosciamo.
Walter è un millennial, uno nato negli anni Ottanta, è Enrico stesso, sono io, siete molti di voi che leggete, o almeno vorreste esserlo. Uno che diventa famoso per un’idea geniale: fondare la Beautiful Loser, start up che si basa sull’elemosina ai barboni. Questi, nella Milano non troppo distopica del libro (chissà quanti saranno i nuovi barboni in città alla fine del Covid), sono i nuovi idoli di Instagram con migliaia di follower a fargli la carità digitale in cuoricini e un sacco di stratagemmi per scucire soldi ai passanti di Brera. C’è chi nella crisi vede un’opportunità e Walter, che parte come un nobile Robin Hood e finisce per essere un bieco Gordon Gekko, decide di capitalizzare sui poveracci. Ma non pensate male, è solo marketing, qualcosa di amorale, tanto che Walter non si vergogna a svelare la sua gelida tattica strategia: «Li dotiamo di pos a celle fotovoltaiche, di cenci d’ordinanza, di cani lecca-sciure. Ne curiamo immagine e reputazione digitale. Coniamo i claim d’accattonaggio, gli hashtag, valorizziamo le specificità genetiche e culturali. Africani in centro per radical chic, terroni in periferia per terroni con lavoro. Da contratto ci teniamo il cinquanta per cento sui ricavi. La mia vita sarebbe a un passo dalla perfezione, se sulle elemosine non ci pagassi le tasse».
Ecco questo è il punto del libro: sembra tutto una trovata geniale. Merito anche della scrittura di Dal Buono che sembra influenzata apparentemente da Foster Wallace, Palahniuck o Niven ma contiene tutta la drammaticità degli Indifferenti di Moravia.
Tra una battuta e una situazione assurda, si smaschera il buonismo plateale del fare beneficenza per sentirsi più buoni e al tempo stesso si racconta di quelle schiere di sottomessi che si accontenano di essere star del web invece che cercare un riscatto verso la società che li ha già tagliati fuori. Vi suona familiare? Mi viene da pensare ai rider, alle partite iva, a tutti quelli che lavorano nel mondo della cultura, oggi, e mi chiedo in quanti potrebbero tranquillamente trovarsi nella situazione di questi barboni.
Quello di Siete tutti perdonati è il mondo alla rovescia in cui ormai ci siamo abituati a vivere tutti noi, che annaspiamo tra gli affitti impossibili di Roma e Milano e all’Esselunga cerchiamo i prodotti in sconto, noi che passiamo i weekend a programmare un viaggio a New York costringendoci a risparmiare per mesi con cene a base di scatolette poterceli permettere.
Walter, era come noi, è stato un idealista, ma adesso deve crescere, creare il Profitto, scegliere da che parte stare, se diventare un futuro barbone a sua volta o uno squalo predatore. Ha iniziato una facoltà sotto lettere legata al marketing «perché a vent’anni è tutto ancora intero, perché a vent’anni si è stupidi davvero» come cantava Guccini, per poi capire che con la cultura non si batteva chiodo e buttarsi su Economia, la nuova fede che ha sostituito tutte le filosofie e ha decretato che il successo, quindi la felicità, si misura negli zeri sul conto corrente.
Uno di solito tende a empatizzare col protagonista, a sentirsi vicino a lui. E Walter è pure simpatico, ma non puoi che rimanerne alla larga. Appena si trova dalla parte del padrone, si trasforma in un aguzzino. Minaccia i barboni di licenziarli se non producono, sbeffeggia il padre della sua donna (le figure paterne invalicabili sono un altro grande tema del romanzo) perché ha fatturato più di lui. La domanda che ti fai è: io al suo posto sarei come lui? Peggio, saresti pure peggio. Ecco perché mi faceva male leggere questo libro.
Walter è il re di un mondo vuoto, in cui può darla a intendere a tutti, ma non a sé stesso.
E infatti chi lo mette con le spalle al muro? Le donne, il sentimento, l’unico barlume di umanità che gli resta. Gli tocca rifugiarsi in una storia ambientata nel paleolitico dove il suo alter ego, Retlaw, cerca di non essere altrettanto meschino, per poter sognare. Una storia che tiene segreta, relegata al suo “privato”, appuntata sui foglietti appesi nel suo appartamento. Privata, guai a parlarne.
Che delusione sarebbe per il padre, giornalista de Il resto del Carlino, cinico boomer dall’ego enorme il cui manifesto pedagogico sono questi tre consigli: «Uno: mai ingrassare. Due: tieniti sempre un buon amico. Tre: quando pensi poverina, quanto mi ama, proprio in quel preciso istante lei è inginocchiata con la cappella di un altro tra le labbra».
Walter non riesce mai a essere lo squalo che deve essere perché nonostante viva tutto nella sua testa, ha radici umane che vengono chiamate in causa dalla fisiologia. Il suo corpo trema, si impaurisce, si surriscalda, quando si trova a fianco di due donne: Olimpia, la fidanzata ufficiale, borghese e piatta e Al-Sifra, il sogno proibito, una convertita ad Allah che parla solo in rima, affascinante e destabilizzante. Niente di più contrastante. E nel contrasto l’uomo d’affari non può stare, quindi lo vedrete uscire di testa per tutto il romanzo, con la pseudo amante che cerca di mandarlo in malora, un po’ perché è matta, un po’ perché è ancora più idealista di lui. E lui che cerca di tenere i piedi in due staffe, vittima di sé stesso e delle pulsioni che lo distraggono. «”Ti amo”. Questa è l’unica vera invenzione di marketing dell’Homo Sapiens, il buisness su cui si basa tutta la civiltà».
Sembra la vita di un sacco di gente che conoscete, vero? Tutti quegli squaletti che lavorano in agenzia, che parlano solo di clienti e di fatturato, che lanciano la loro start up e comprano scarpe da mille euro. E voi che vorreste mollare tutto per andare a vivere a Palma di Maiorca, fare il downshifting, troncare il legame con questa società malata, coltivare l’orto. Poi vi ripigliate e pensate a quel viaggio a New York e allora via che ripartite come criceti sulla ruota. Siamo tutti un po’ Walter, nostro malgrado.
Se non è un romanzo attuale questo, allora non so che dire.
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