“Random access memories”, uscito il 17 maggio 2013, è stato contemporaneamente: un apice, una festa, un delirio e una pietra tombale. Raramente l’ultimo disco di una band è stato tutto questo. Ancor più raramente una colonna sonora destinata ai titoli di coda è stata così smaccatamente celebrativa ed evocativa, così viva nei suoi passaggi più epici. I Daft Punk arrivarono all’appuntamento del maggio 2013 dopo quella piccola perla che era stata la colonna sonora, stavolta non metaforica, di “Tron: legacy” (2010). L’ultimo album di materiale originale, “Human after all” (2005), aveva catturato i due francesi in un momento di transizione difficilmente interpretabile. Invece “Random access memories”, il quinto capitolo della saga fu un plateale trionfo. Ora, dopo settimane di indizi e attesa, inizia ufficialmente il decimo anniversario dell’uscita dell’album, un evento più che mai stratificato. Oggi, infatti, al Centro nazionale d’arte e di cultura “Georges Pompidou” di Parigi, sarà possibile ascoltare “Infinity repeating”, una demo inedita del 2013 che vede la collaborazione di Julian Casablancas e i suoi Voidz. Previsto un allestimento monstre per fruire del pezzo in tre modi diversi: un soundsystem composto da 30 speaker, una sala cinema per la proiezione del videoclip e un maxi-schermo. E poi c’è la questione delle coordinate geografiche apparse, nei giorni scorsi, nelle animazioni che su Spotify accompagnano i brani dell’album. Le canzoni rimandano tutte a coordinate diverse, ma, incrociando i dati all’interno di un qualsiasi GPS, si scopre come questi numeri conducano a metropoli quali New York, Parigi, Tokyo, Londra, Buenos Aires. Associata alle coordinate, anche una scritta che appare e scompare inghiottita dai due caschi dei transalpini: è la data di oggi, 11 maggio. Così che il web, da Reddit in giù, si è subito interrogato su cosa diavolo accadrà – Parigi a parte – nella giornata di oggi. Domani sarà invece dedicato alle più tradizionali ristampe: il vinile e il cd, per l’occasione arricchito da un secondo cd che contiene 35 minuti di demo (fra cui il pezzo con Casablancas) e outtakes, oltre a quella “Horizon” disponibile finora solo per il mercato nipponico.
Ma torniamo indietro di una decade esatta. Complice il megasuccesso di un singolo come “Get lucky” (insieme a Pharrell Williams e Nile Rodgers degli Chic), l’album si presentò come il banchetto in cui i Daft Punk non lesinarono eccessi pseudo-prog ed emozioni di ogni colore e intensità, tra un tardo Vangelis e tentazioni yacht-rock. Sullo sfondo di una tecnologia in febbrile fermento (la musica su smartphone, la crescita di Spotify e dello streaming), “Random access memories” risultò sapientemente bilanciato nonostante una quantità di ingredienti da far impazzire anche gli chef più scafati. Strana la pop music, strani i Daft Punk, che toccando il punto più alto della loro carriera con l’album dell’addio (definitivo?) seppellirono anche la disco music. “Get lucky” a parte, Nile Rodgers, mente degli Chic, aiuta i francesi in altri due pezzi (“Give life back to music” e “Lose yourself to dance”), Giorgio Moroder interviene nella stellare “Giorgio by Moroder”, ma quei lampi così sfacciati e citazionisti furono gli ultimi fuochi d’artificio della disco music nel contesto mainstream. Dopo i Daft Punk, la disco – anche come semplice spezia chiamata a impreziosire produzioni più à la page – quasi sparisce dai radar pop, pian piano rintanandosi dov’era inizialmente germogliata, ossia nell’underground.
Strana la pop music, strani i Daft Punk, lo ribadiamo, che con “Random access memories” scrivono un profondo testamento. C’è la loro storia, la loro formazione, la passione che ha forgiato “Discovery” (2001), il punto più alto della prima fase della carriera. I francesi se ne fottono del minutaggio (il disco è lungo, una cavalcata), se ne fottono del giusto mezzo e inanellano una serie di brani che anziché spintonarsi alla ricerca di un esclusivo posto al sole formano un mosaico equilibrato nonostante la vanità, le ambizioni, quel kitsch notturno e godereccio (“Within”) che la maestria dei Daft Punk riesce a intingere nella soda dell’esistenzialismo. E dopo slanci destinati al dancefloor (le già citate collaborazioni con Rodgers), autobiografiche fughe moroderiane e parentesi in cui il duo porta dentro anche qualche suggestione alla “Tron: legacy”, ecco il capolavoro idealista, la galattica ciliegiona sulla torta a tre piani. “Touch” vede co-protagonista Paul Williams, compositore e songwriter americano ben inserito a Hollywood che a questo pezzo presta la sua voce sensibile e teatrale. Il brano è il centro di un album che non rinuncia mai alla sua visione happy/sad di stampo retro-futurista. Straordinario apogeo, “Touch” dura più di 8 minuti, spazza via tutto. Inizia glaciale, pare di ascoltare la solitaria lamentazione di un cyborg rimasto orfano di un amore (“Contatto. Mi ricordo il contatto”), quindi ti accompagna a Broadway, nel cuore di un musical sghembo e malinconico. Si esulta, ma poi si rallenta. “Se l’amore è la risposta, sei arrivato a casa, aspetta”, ci ripetono i Daft Punk inventandosi un floydiano climax in cui le voci robotiche sono raggiunte da un gospel che annuncia un’alba di speranza. Di più non si può e non si deve osare. La perfezione non va sfidata. Così “Random access memories”, a quel punto, sgancia “Get lucky” (come dire: tranquilli, siamo terrestri) e poi punta il traguardo finale specchiandosi sia nell’opulenza (“Motherboard” è un orgasmo chill) che nel suo opposto (la stilizzata di “Doin’ it right”, ospite Panda Bear). Chiude il sipario “Contact” e così si può pensare a “Random access memories” come a un elaborato concept-album (il web, in tal senso, offre un ventaglio di interpretazioni) o a un trip sonoro che, nei suoi ultimi minuti, frulla insieme gli M83 e una discreta dose di Kraut/electronica adeguatamente filtrata.
Febbraio 2021: i Daft Punk si levano i caschi spaziali e salutano. Alla notizia dello scioglimento il vinile originale di “Random access memories” è fra i pezzi che vede improvvisamente incrementare il proprio valore su Ebay e Discogs. A tutt’oggi non si intravede alcuna ipotesi di reunion e l’album sul quale ho appena sbrodolato resta l’ultima solenne e profonda dichiarazione in musica di Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo. Rieccolo, dieci anni dopo, ancora nuovo. Ancora unico.