Io so. So i nomi… Avrei voluto cominciare così, e in effetti così ho cominciato. Ma avrei voluto anche proseguire, facendo il verso al famoso pezzo sui responsabili dei mali italici scritto nel 1974 da Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera, pezzo dal titolo Cos’è questo golpe. Invece non lo farò. Non lo farò perché io non sono Pier Paolo Pasolini, ovvio, né ci somiglio, e perché quello di cui voglio parlare, i nomi cui farò riferimento, non hanno ordito un golpe, o almeno non l’hanno ordito ai danni dello Stato. Certo, hanno fatto un danno, serio, serissimo, al sistema musica, ma i santi friulani, buon senso mi dice, è meglio lasciarli stare, anche perché io i nomi andrò a farli. Io So. So i nomi di coloro che hanno preso un sogno, certo un sogno ingenuo, dirà qualcuno, forse anche chi a quei nomi è legato dall’anagrafe, e ne ha fatto un incubo, trasformando una speranza nella cocente presa di coscienza che è tutto finito, davvero e per sempre. Io so. So i nomi di coloro che hanno spinto verso il sistema quello che era nato come alternativa al sistema, leggete la parola sistema senza zavorrarlo del peso che in genere i complottisti regalano (a se stessi) con estrema generosità, ma il mercato è un sistema, fingere che così non sia è da poveri illusi, finendo per omologare tutto, anche quello che sembrava assolutamente inomologabile. Io so. So i nomi di coloro che si sono piegati a novanta gradi, dicendo che era per raccogliere le forze, prendere le rincorsa per attaccare le alte mura del castello, ma in realtà stavano raccogliendo una moneta da due euro, giusto un attimo prima di essere inculati, per dirla con il buon Henry Miller, fino all’elsa, cornuti e mazziati. Io so che se un tempo c’era l’underground, che, in nomen omen, stava appunto sottotraccia, anche se in realtà sarebbe stato più corretto dire “altrove”, e che questo underground, tutti ricordiamo il brivido provato al primo posto in classifica di Tabula Rasa Elettrificata dei CSI, non scherziamo, anche nel momento in cui flirtava col sistema, o ci si confrontava, non perdeva mai la propria identità, coerente a se stesso, radicale, anche, inflessibile. Io so che quello stesso underground, canonizzato con il Tora! Tora!, già sdoganato a destra con il passaggio sanremese dei Subsonica e la loro Tutti i miei sbagli, canzone che comunque era 100% alla Subsonica, tutte le band del giro Mescal e affini a firmare con le major, ci ha provato davvero a rimanere quel che pensava di essere, fallendo e disperdendosi in mille rivoli.
Io so che il successo dal rap, quello stesso rap che era entrato dentro i nostri confini passando per i centri sociali autogestiti e le posse, pensiamo a Batti il tempo dell’Onda Rosse Posse o a Stop al panico! dell’Isola Posse AllStar, ma poi approdato dentro la macchina anche per chi era davvero partito dal basso, Mondo Marcio che approda in EMI, Mr Simpatia che finisce in Universal, quella che poteva sembrare una moda passeggera, quante volte abbiamo sentito gridare all’arrivo del rap in Italia in quegli anni, che è divenuta una routine, so che quel successo ha cambiato qualcosa dentro la macchina stessa, di colpo interessata a qualcosa che non avveniva nelle solite stanze, semmai per strada. Io so che quando poi di colpo, sempre dal basso, una musica che si autodefiniva indie, dove l’indie in questione stava per indipendente, musica fatta in casa, in cucina, per l’esattezza, in solitaria, con pochi mezzi, so che quando poi di colpo, sempre dal asso, una musica che si autodefiniva indie ha iniziato a circolare tra i giovani, mostrando uno spirito pop che neanche provava a nascondere, il sistema ha visto una gallina dalle uova d’oro e non ha saputo trattenersi, portandola all’ovile per pochi chicchi di grano (cit.).
Io che anche in questo caso il chinarsi al sistema è stato un tutt’uno col sentirsi chiedere di chinarsi, una resa incondizionata neanche dissimulata, chi se ne frega della coerenza, chi se ne frega dell’arte, a noi ce piace de magna’ e beve, e so che quando, specie Claudio Klaus Bonoldi di Univervesal Publishing, ha messo sotto contratto Calcutta, ha messo sotto contratto Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti e si è sparsa la voce che si poteva davvero campare di canzoni, tutto è sembrato per certi versi rassicurante. Io so che dopo i passaggi politici degli Afterhours a Sanremo, quelli infelici dei Marlene Kuntz, quelli baciati dalla fortuna dei Perturbazione, quelli infausti dei Marta sui Tubi, quando Manuel ha superato la linea di confine andando a fare il giudice a X Factor, “voglio trovare il nuovo Lou Reed”, quando a Sanremo Lo Stato Sociale ha fatto sorridere tutti con la vecchia che balla, quando Calcutta ha duettato con Elisa, Vasco Brondi ha scritto per Jovanotti, Brunori per Tiziano Ferro, Francesca Michielin ha duettato con chiunque, tutto è diventato confuso, senza bordi, masticato e vomitato sul marciapiede fuori dalla discoteca, di colpo nulla era più sanabile, né per gli artisti che, ormai persi, non sarebbero più potuti tornare indietro, né per la discografia, che come per la protagonista di Oro di Mango, capito che quel mondo era scopabile ha perso ogni interesse a scoparselo.
Io so. Io so i nomi de Lo Stato Sociale e Vasco Brondi, lì a cantarci di come hanno pensato di fottere il sistema e dal sistema sono stati fottuti, come Fottuti per sempre il titolo del brano che li vede collaborare (“batti il tuo tempo per fottere il potere” rappava Militant A con gli Onda Rosse Posse in quel Batti il tempo citato qualche riga fa), e so che il loro canto suona malinconicamente fuori tempo massimo, intempestivo, lacrime di coccodrillo, ahinoi e ahiloro, ma so anche che si sono fottuti da soli, come in certe figure alla Hieronymus Bosh in cui c’è un dannato, in qualche angolo dell’inferno, il cui lungo cazzo lo incula da solo. Io so. Io so i nomi. Non che questo cambi qualcosa, per dirla con Sergio Endrigo, la festa che è da poco cominciata è già finita, gli amici se ne sono andati tutti ad Amici.