“Non ci credevo, quando sentivo che stavano per prenderlo. E invece ce l’hanno fatta”. Nando Dalla Chiesa era incredulo fino a ieri, sulla storica “preda” di mafia della magistratura e delle forze dell’ordine: Matteo Messina Denaro, il boss dei boss arrestato oggi a Palermo mentre era ricoverato nella clinica privata “La Maddalena”. Il sociologo, scrittore ed ex parlamentare, figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa assassinato dalla mafia nel 1982, prova “gioia” alla notizia, ma da domani, dice, “dobbiamo porci una serie di interrogativi”.
Nando Dalla Chiesa, cosa pensa della tempistica, a trent’anni dall’arresto di Totò Riina e a pochi mesi dall’insediamento del primo governo di destra-destra della Repubblica?
Potrei anche dire mentre c’è la fiction sul generale… (“Il nostro generale”, con Sergio Castellitto, in onda su Rai 1, ndr). La prima cosa da dire è: bravi, finalmente l’hanno preso, si dimostra che nessuno è imprendibile e invincibile. La seconda è una domanda: chi l’ha aiutato finora?
Ma perché proprio ora, secondo lei?
Queste indagini vanno avanti da tanto tempo, son state fatte seriamente, c’è un procuratore molto bravo, De Lucia, e ci sono i Ros che lavorano molto bene. A loro, a tutti coloro che si sono impegnati, devono andare i nostri più grandi elogi. Ma sicuramente ci sono state delle coperture, come si evince dal fatto che Matteo Messina Denaro abbia potuto farsi ricoverare tranquillamente in una clinica, un segnale inquietante, anche perché non è la prima volta che succede.
Diceva di chiedersi chi ha aiutato il boss. Chi, a suo parere?
Bisogna porsi degli interrogativi sulla società civile che protegge. Ma è un problema di tutt’Italia, dove i mafiosi hanno amici ovunque. Certo, hanno dei varchi dove agiscono più facilmente. I figli, Totò Riina quand’era latitante, li ha fatti nascere a Palermo.
Il fatto che sia stato preso mentre sul letto di una clinica fa pensare anche al ruolo della sanità, privata ma anche pubblica.
Nella sanità c’è un problema. Ma non solo in Sicilia, dappertutto. La relazione fra mafia e sanità è una delle più pericolose.
Uno degli interrogativi va quindi girato ai presidenti della Regione Sicilia, responsabili politici della sanità, o no?
Sì, e a chi firma le convenzioni, a chi vengono assegnate le aziende sanitarie locali. Non dimentichiamo, per esempio, che il vicepresidente del consiglio regionale calabrese nel 2005 venne ucciso, lui medico, perché non faceva fare ai clan della ‘ndrangheta quello che desideravano nella sanità locale.
Maurizio De Lucia è diventato capo della Procura palermitana nell’ottobre scorso. Ha inciso, questo?
È da tempo che si sentiva che il cerchio si stava stringendo, lo sentivo dire da un anno. De Lucia non è un novellino, ha continuato indagini già avviate. Aveva già lavorato seriamente in Sicilia a lungo, insomma non è uno sconosciuto.
Baiardo, il gelataio piemontese, oggi 65 enne, che per anni ha coperto la latitanza dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, intervistato da Massimo Giletti lo scorso 5 novembre, aveva dichiarato quanto segue, a proposito del nuovo governo di Giorgia Meloni: “Che arrivi un regalino? Che magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso?”. La pista della trattativa è credibile, secondo lei?
Non lo so, qua ci avventuriamo in dietrologie. Sembra che lo Stato non possa mai vincere pulito. Mi rifiuterei di accettare una logica del genere. Può darsi, non è da escludere a priori, ma neanche metterlo subito sul tavolo dei ragionamenti. Forse Messina Denaro si è sentito “stretto”.
Forse è stato sostituito da qualcun altro, al vertice di Cosa Nostra.
È trent’anni che ogni volta che prendono qualcuno si dice “chissà ora chi c’è”. Intanto, oggi l’hanno preso. È un giornata di gioia.