Perché per tutto questo tempo non era stato catturato Matteo Messina Denaro? Avevamo chiesto questo e altro, nel giugno 2022 nell’ambito di Passaggi Festival, a Gaetano Pecoraro, giornalista (inviato delle Iene e prima di Piazzapulita, in precedenza anche collaboratore di Ansa e ilfattoquotidiano.it) e podcaster (“Armisanti. Vite mafiose e morti ordinarie”), autore del libro “Il male non è qui” (Sperling & Kupfer), incentrato proprio sulla figura del boss di cui non si sapeva più nulla di concreto dal 1997. Riproponiamo di seguito l'intervista in cui si ipotizzava una sorta di patto per la libertà di cui potrebbe aver beneficiato il superlatitante. E ne approfittiamo per mostrarvi immagini molto significative che si erano perse nel tempo (scattate dalla polizia scientifica di Palermo) del tesoro di Totò Riina, che si ritiene sia stato custodito da Matteo Messina Denaro e che è stato recuperato nel settembre 1996.
Gaetano, com’è nato questo libro?
Sono anni che faccio inchieste sulla mafia. E sono nato a Palermo, per cui un po’ queste storie mi hanno segnato anche a livello personale. Andando negli anni a scavare tra i casi di mafia (alle Iene per esempio ho intervistato “Faccia da mostro”). Il libro è nato dal bisogno di mettere un po’ assieme tutte le ricerche che ho fatto, dai quali è nata anche la puntata di “Armisanti” dedicata a Matteo Messina Denaro. Una storia che non era mai stata raccontata, di una violenza inaudita. Non sono un mafiologo, questo ci tengo a precisarlo. Il mio libro è fuori dal coro: sono passati trent’anni dalle stragi e in questo anniversario importante ci troviamo avvolti da una retorica che un po’ stucca. E allora io anziché fare la messa cantata ho deciso di parlare di alcune ferite: a trent’anni dalla morte di Falcone e Borsellino, mi è sembrato doveroso fare un ragionamento e un racconto sull’ultimo dei grandi capi della mafia stragista, che è ancora in libertà. Com’è possibile che dopo trent’anni quest’uomo sia ancora libero?
C’è una risposta?
Eh… Innanzitutto il libro è un romanzo. Ho deciso di utilizzare questo mezzo per avvicinare persone che magari non fanno parte della parrocchia dell’antimafia, per buttare un’esca per far sì che poi si vadano ad approfondire tutte queste questioni. Però nonostante sia un romanzo tutto quello che racconto è vero, frutto di ricerca e soprattutto di due anni di conversazioni con un magistrato che per più di dieci anni ha dato la caccia a Messina Denaro. Dunque è fiction ma non è assolutamente fantasia.
Nel libro il magistrato si chiama Mimmo Bosso.
Sì, è un personaggio di fantasia, altrimenti sarebbe stato impossibile raccontare alcune cose. Il romanzo, a partire da alcuni fatti di cui sono venuto a conoscenza, è incentrato innanzitutto sulla violenza e sulla disumanità di questo boss (un personaggio di cui praticamente non sappiamo nulla: non conosciamo la sua voce, non abbiamo sue immagini attendibili), difficili da concepire per dei ragazzi di oggi: questo è un uomo che nel 1992, d’estate, con i suoi picciotti, magari beveva un cocktail in un bar di Castelvetrano mentre parlava di donne (perché aveva questa fissa, in questo molto diverso dal classico boss) e subito dopo pensava come azione dimostrativa di invadere le spiagge della Versiliana con siringhe infette di Aids. Oppure mentre parlava del vestito sartoriale che voleva indossare (altra sua grande passione) ipotizzava di far saltare in aria la torre di Pisa. Questo è il personaggio. Altro filone sono appunto le donne. La pista delle donne è stata la più concreta, quella che ha portato gli investigatori quasi ad acciuffarlo: nel 1997 era stato individuato il covo di Matteo Messina Denaro, con una testimonianza diretta della sua presenza, l’avevano praticamente preso, ma poi quando era tutto pronto e avevano piazzato le telecamere guardacaso il boss non ha più utilizzato il covo con la sua amante Meri: questo perché, si sarebbe scoperto dopo, mentre c’erano chi sacrificava la propria vita magari per pochi soldi per catturare l’uomo più crudele della mafia, c’erano altri uomini sempre in divisa che passavano le informazioni all’entoourage del boss. E qui arriviamo al terzo filo che muove la trama, quello degli intrighi di palazzo.
Cioè?
La storia di Matteo Messina Denaro, come tutta la storia della mafia tra gli anni Ottanta e i primi Novanta, è una storia grigia, in cui non ci sono in maniera chiara e delineata il bene e il male. A Palermo ogni giorno c’erano dei morti, la città veniva paragonata a Beirut, una città in cui la notte non si poteva uscire, in cui morivano un sacco di poliziotti e in cui c’erano delle battaglie tra persone che in teoria facevano parte della stessa fazione: uomini di Stato contro uomini di Stato. La mafia e lo Stato da una parte si facevano la guerra in maniera brutale, ma dall’altra si calavano in un rapporto incestuoso. E qui si cala la figura di Messina Denaro, che faceva parte di quella schiera che con Totò Riina sapeva molto più degli altri (con lui faceva parte della “Nuova cosa”, una sorta di entourage ristretto in cui si decideva tutta la politica stragista da attuale in Italia dopo Falcone e Borsellino, a Roma, a Firenze, a Milano). E allora perché non è stato catturato?
Già, perché?
Di sicuro custodisce dei segreti (ed è lui stesso un segreto). Custodisce dei segreti indicibili che potrebbero svelare molto del rapporto incestuoso tra lo Stato e l’antistato.
Quindi qualcuno di potente nello Stato ha interesse a che non sia trovato?
Questo non lo so… Sta di fatto che tutte le volte in cui il nostro Mimmo Bosso sta lavorando alla cattura di Matteo Messina Denaro a intralciargli la strada sono uomini che non fanno parte della mafia… Nel libro racconto tre casi specifici.
Qualche altro episodio?
Io ho intervistato la mamma di Matteo Messina Denaro, Rosa Santangelo, dopo essermi infilato nei budelli di Castelvetrano. Fu un incontro breve, in cui mi mandò sostanzialmente a cagare, ma è stato utilissimo vedere e sentire parlare questa signora. Si pensa che sia un fantasma, ma poi arrivi lì, c’è la casa, c’è la famiglia, c’è la madre: fa impressione. E ho raccolto anche il racconto di una parente stretta che era lì quando Matteo Messina Denaro nasceva. Mi ha raccontato che mentre Matteo usciva dal ventre della madre nella stanza c’era il “mitico” Don Ciccio Denaro, il padre, boss di Trapani di cui più tardi si è scoperto il ruolo (e nel libro si ragiona anche su come si sia sottovalutata quella mafia trapanese), che vedendo uscire il bimbo sviene. Il boss sanguinario che sviene per troppo sangue?
Ma Messina Denaro è ancora vivo? E che ruolo potrebbe avere?
L’ultima testimonianza diretta della sua presenza è del 1997. Dal 1997 in poi c’è stata una serie pazzesca di inchieste e di operazioni, ma di Matteo Messina Denaro non si è più riusciti ad avere alcuna traccia. Si è aperta tutta una storia di pentiti che non si sa se veri o finti, uomini dei servizi segreti che si diceva avessero un rapporto epistolare con il boss, il tutto tradotto in nulla, così come a quanto pare la più recente pista del trapianto di rene (2017). Da vent’anni a questa parte ci sono squadre speciali del nostro Stato che hanno il compito preciso di trovare il latitante numero uno, ma non si è arrivati a nulla. Io spero che Messina Denaro sia vivo e che siano lì lì per prenderlo, non posso che sperarlo. Ma Mimmo Bosso dice idealmente al boss che “anche oggi che sono che sono passati quasi trent’anni, anche oggi che non conti più niente, il tuo nome continua a servire da garanzia a un sacco di gente. Ormai sei un brand, come le magliette firmate di una casa di moda. Sei più utile da invisibile”.
Utile per?
Utile da una parte per le famiglie mafiose, perché mantenere Matteo Messina Denaro in vita vuol dire potere (se fosse morto, cambierebbe tanto). Dall’altra parte, il magistrato è molto arrabbiato perché capisce che con Messina Denaro la partita è truccata e si incazza perché ci sono magistrati e poliziotti che avrebbero dovuto dare la caccia al boss che fanno carriera nonostante non abbiano ottenuto alcun risultato, mentre lui nel romanzo è finito al Tribunale dei minori a occuparsi di scartoffie. Per cui bisogna anche chiedersi laicamente se Matteo Messina Denaro non sia morto, o non sia almeno morto mafiosamente.
In che senso?
Potrebbe essere vivo ma magari può esserci un patto per cui Matteo Messina Denaro sta buono, non rompe più le scatole, non fa più il mafioso, non si occupa più di mafia, e in cambio gli si garantisce di non finire in carcere. È un’ipotesi: bisogna chiedersi laicamente se possa essere così. Perché qualcuno ci deve spiegare perché oggi con tutte le tecnologie che abbiamo non si riesca a prendere quest’uomo. Se è morto mafiosamente questo sottintenderebbe che ci siano degli accordi segreti per proteggere i segreti che lui custodisce. Esiste l’ipotesi che sia un “latitante di Stato”. Sta di fatto che dal 1997 non si sa più niente di lui.
E il presunto avvistamento in campagna sul Pajero?
Nel prologo del libro parlo proprio di questa cosa qua. C’è il nostro magistrato che sta mangiando in una rosticceria con un collega e a un certo punto al Tg2 viene data questa notizia. Si ferma tutto, lui ascolta. Si può parlare di grande scoop? Sono immagini del 2009, molto sgranate, di una qualità scarsissima, dalle quali non si può capire se è lui o non è lui. Ma io dico, nel 2022 facciamo gli scoop sulle immagini del 2009? Ci sono le immagini del 2009 e ce lo dicono nel 2022? Non è una critica nei confronti né dei giornalisti né dei magistrati, ma noi ci accontentiamo di questo? Su Matteo Messina Denaro c’è un presunto “scoop” ogni anno, ma poi? C’è qualcosa che non torna. È un mondo assurdo e io non mi accontento di questo. Mi sembra tutto un po’ approssimativo.
Ma è incompetenza o “connivenza”?
Non lo so se sia connivenza, secondo me è più la prima. Fatto sta che però la situazione è questa. È tutto nebuloso. Troppo nebuloso. Vogliamo o no capire cos’è successo trent’anni fa e cosa sta succedendo anche oggi? Stiamo assistendo al ritorno dei vari Cuffaro e Dell’Utri, quindi si tratta di questioni assolutamente ancora attuali. Quando si parla di Matteo Messina Denaro si parla di ferite aperte da trent’anni, ma aperte ancora oggi, che fanno parte di un processo che è ancora in corso e che ha un ruolo nella nostra società.
Quindi chi è responsabile della mancata cattura di Matteo Messina Denaro?
Tutti siamo responsabili, non solo i magistrati o gli inquirenti o i poliziotti, ma tutti noi. Noi cittadini, noi giornalisti, tutti siamo coinvolti in questa storia. Questa è una storia tipica italiana dove non c’è la reponsabilità solo di uno. Certo, poi ci sono stati dei processi, con le condanne di un uomo dei carabinieri e di uno della guardia di finanza che passavano informazioni importantissime all’entourage di Bernardo Provenzano e che quindi hanno avuto un ruolo nel fallimento delle operazioni che riguardavano anche Matteo Messina Denaro. E in quel processo erano coinvolti anche personaggi che stanno tornando alla ribalta in politica…