È uscito “Matteo Messina Denaro, latitante di Stato”, libro edito da Ponte alle Grazie e scritto da Marco Bova. Con lui, giornalista trapanese classe 1989, cerchiamo di capire che fine possa aver fatto l’ultimo dei boss mafiosi latitanti e perché non sia stato ancora catturato.
Com’è nata l’idea di questo libro?
“L’idea – dice Bova, che collabora principalmente con l’Agi e con ilfattoquotidiano.it, anche se di recente ha iniziato una collaborazione con L’Espresso e ho collaborato con molte testate straniere – nasce proprio dalle ragioni per le quali mi sono trovato a sostare per sei anni a Trapani. Io sono originario di Trapani e tornando dopo l’università mi sono trovato di fronte a due temi importantissimi: i migranti, di cui parlava l’intera Europa, e la caccia a Matteo Messina Denaro che veniva sbandierata anch’essa in tutto il continente come la caccia all’ultimo latitante delle stragi. A poco a poco mi sono reso conto che eravamo davanti a delle imposture. Per quanto riguarda la questione dei migranti, mi sono reso conto che tutti parlavano degli sbarchi e nessuno parlava dei soldi e dei guadagni che si sono fatti con i centri di accoglienza. A proposito invece della caccia a Messina Denaro, mi sono accorto che era fatta di frasi vuote e di annunci roboanti, ma con risultati pessimi e sconfortanti. E tutti quelli che incontravo in questa missione fallita che è l’arresto di Messina Denaro hanno fatto carriera ai vertici delle forze dell’ordine o in magistratura. Per cui mi sono chiesto «com’è che tutti lo cercano, tutti lo bramano, nessuno lo trova e tutti fanno carriera?» E quindi ho cominciato a farla diventare un po’ la mia ossessione, per capire cosa attorno a questa caccia abbia impedito e impedisca la cattura. Mi sono trovato davanti a un ginepraio di soggetti plurimi che si sono fatti gli sgambetti in tutti questi anni, che hanno condotto delle faide. E il racconto che fa Palamara riguardo alla magistratura è soltanto l’antipasto: c’è una faida trasversale e continua. Il risultato è che c’è una caccia che non si risolve mai, ma nel frattempo c’è tanta gente che fa carriera, ci sono le ditte che si occupano di intercettazioni che lavorano e fanno il loro business e c’è un sottobosco infinito che va avanti. Tutto ciò scaturisce da invidie e sgambetti che magari non hanno come obiettivo quello di agevolare la latitanza di Messina Denaro, però il risultato è quello. Quando la polizia e i carabinieri si sono sovrapposti tra loro, quando i magistrati non hanno ottenuto ciò che dovevano ottenere a causa di altri magistrati, lì noi abbiamo perso centimetri utili per acciuffare o comunque avvicinarsi a Messina Denaro. Ci sono stati processi nei confronti di funzionari dello Stato che non hanno portato a niente se non alla chiusura delle indagini che questi funzionari, in particolare la Principato, stavano portando avanti su Messina Denaro”.
È solo un problema di inefficenza, al limite dolo, o c’è o c’è stata anche complicità esplicita o addirittura si può parlare di tradimento a opera di parte dello Stato?
“Io voglio impormi di credere che tutti gli errori che sono stati fatti nella caccia a Messina Denaro siano stati fatti in buona fede, semplicemente per la frenesia di cercare di assicurare il prima possibile alla giustizia questo criminale stragista che conosce i segreti delle stragi. Voglio credere a questo, però è inquietante leggere la sequela di episodi e di errori che sono stati fatti in questi anni e che lasciano davvero l’amaro in bocca. Penso poi al processo Stato-mafia che sta spaccando il Paese: una questione che andava affrontata in maniera politica già negli anni Novanta. Siamo perennemente in ritardo. Abbiamo paura che la mafia si infiltri nella distribuzione dei fondi per il Pnrr, quando se li stanno già spartendo e noi non abbiamo idea neanche di chi sono. Non abbiamo idea di come andare in Liechtenstein né di come imporci nei Paesi che sono appena entrati nell’Unione Europea. Siamo così smarriti nel cercare risposte a vecchie domande come l’ergastolo ostativo che abbiamo perso di vista quello che sta succedendo ora. Ci ostiniamo a chiamare Cosa Nostra una cosa che io nel libro chiamo Cosa Nuova, e nel frattempo loro ridono a pensare che noi pensiamo a qualcosa fatto ancora di padrini e coppole. La realtà è cambiata. Ed è già cambiata da troppo e noi siamo troppo, troppo indietro. Non abbiamo idea di dove siano i soldi di questa Cosa Nuova e già nel processo Mafia Capitale sono emersi limiti legislativi che rischiano di diventare limiti egemoni nella lotta alla mafia”.
Ma dov’è Messina Denaro? C’è la convinzione per esempio del pentito Mutolo che Messina Denaro sia rimasto in Sicilia, magari protetto da qualche notabile insospettabile.
“Mutolo dice che andrebbe cercato in qualche tenuta principesca. Io penso che andrebbe cercato ovunque. I luoghi insospettabili vanno tenuti sicuramente sott’occhio, come dice Mutolo che ha conoscenza del fenomeno mafioso e può probabilmente prevedere quelli che sono gli sviluppi di certi personaggi. Ma penso che Matteo vada cercato anche all’estero, oltre che nel suo territorio. Il libro non dice dove vada cercato, perché io non lo so e non sono in grado di saperlo. Spero che lo sappiano gli investigatori che sono chiamati a cercarlo. So sicuramente però che Matteo in questi anni è passato dalla provincia di Trapani. La sua presenza c’è stata, gli investigatori l’hanno sentita, si sono avvicinati veramente molto e non è stato possibile arrestarlo soltanto per queste metodologie sgangherate che sostanzialmente hanno agevolato la sua latitanza. Messina Denaro è un latitante atipico. Quelli che sostengono che come i bossi degli anni Ottanta e Novanta abbia bisogno di guardare in faccia i suoi comprimari e dare gli ordini in presenza secondo me hanno in mente una vecchia mafia. Matteo Messina Denaro ha avuto la possibilità di dedicarsi unicamente alla propria latitanza, come dicono certi mafiosi intercettati e come hanno detto certi pentiti, Messina Denaro pensa solo a sé stesso, pensa solo alla sua latitanza, per cui non ha l’obbligo o la necessità di interloquire quotidianamente con i suoi. Lo ha fatto nel corso di questi anni, ma senza alcuna cadenza obbligatoria”.
È un personaggio ormai solo “simbolico” o ha ancora un grande potere sul controllo della criminalità?
“Nel libro dedico parecchio spazio a questo punto. La mafia siciliana è ovviamente cambiata. I nominativi che sentiamo e leggiamo nelle ordinanze sono un ologramma di una mafia che fu. Sentiamo cognomi, riferimenti e collegamenti, vicende legate a storie che puzzano di anni Ottanta, sangue, faide, vendette, ma negli anni Novanta dopo le stragi è avvenuto chiaramente uno “switch” all’interno di Cosa Nostra. Ci sono i duri e puri e gli inossidabili che continuano a tentare di rimettere su la cupola, ma un altro pezzo di Cosa Nostra ha capito che la via era quella dell’inabissamento e adesso si è inabissata, quindi non la vediamo nei blitz e nelle ordinanze di custodia cautelare. È completamente integrata nel mercato. Non parliamo di soggetti che possiamo ridurre a una multinazionale o a una holding di imprese, ma si tratta di rampolli di mafia che sono diventati manager anche stimati, piazzati anche all’interno di agenzie di rating e studi professionali. Sono persone ormai davvero insospettabili e io ho il forte timore che la narrazione che faccio sia il punto ultimo di non ritorno: oggi parlare della mafia ed essere attinenti alla realtà è molto complicato, perché la realtà sta diventando molto complicata da raccontare con nomi e cognomi”.
Ti risulta che l’ultimo avvistamento sia stato effettivamente quello sul fuoristrada nel 2009?
“Quel video è uno degli episodi che hanno avvicinato gli investigatori alle tracce e all’aura misteriosa di Matteo Messina Denaro. Purtroppo siamo lì a mettere insieme i sassolini, con estrema difficoltà. Possiamo anche ipotizzare che quello a bordo del Pajero fosse lui, ma non possiamo averne la certezza e in ogni caso lui non c’è. Certo è che quando sono stati descritti i contorni di quel presunto avvistamento del 2009 è riemersa una vecchia storia che fa parte di tutti i motivi di rammarico legati a questa caccia”.
Che dire dell’arresto avvenuto a metà settembre del presunto Messina Denaro in Olanda, in realtà solo un turista britannico che voleva Gran Premio di Zandvoort?
“Dobbiamo ancora conoscere i dettagli, perché la Procura di Trento sta ancora indagando su quei riciclatori che avrebbero poi portato a questa notizia. Di certo però questa però è una conferma della mancanza di un coordinamento autentico che possa permettere a tutti i soggetti coinvolti in questa caccia di conoscere le informazioni in tempo reale, e non apprenderle soltanto ex post. Nel libro ci sono raccontati diversi episodi. E questo avvenuto in Olanda non è l’unico arresto fatto nella caccia a Messina Denaro nei confronti di persone che con Messina Denaro non c’entrano niente. È uno dei tantissimi errori e dei tantissimi episodi bizzarri che sono avvenuti. Ci sarebbe da sorridere se non stessimo parlando di una missione che, oltre che fallimentare, è stata ed è talmente costosa che si meriterebbe una voce a sé nel bilancio dello Stato. Eppure sembra quasi che a nessuno interessi. Nel libro parlo degli sconfitti della caccia a Matteo Messina Denaro, gente che avrebbe dato tutto, anche la vita, per trovarlo. Ho provato – conclude Bova – a dare voce agli ultimi dell’antimafia, quelli che si sono trovati a essere l’anello più debole della catena”.