Matteo Messina Denaro, 59 anni compiuti lo scorso 26 aprile scorso, latitante dal 1993, è diventato nonno. Un nonno “speciale” che a quanto pare gode ancora di parecchio rispetto (a giudicare anche dalle felicitazioni fatte sui social al boss in occasione del parto di sua figlia) e di diversi livelli di protezione, che sarebbero legati a una sorta di “scudo massonico”: “Come spieghiamo – aveva detto Rosy Bindi quando era presidente della commissione antimafia – che Castelvetrano è la patria di Matteo Messina Denaro e ha la più grande concentrazione di logge massoniche in rapporto alla popolazione di qualunque parte del nostro Paese? Un consigliere comunale ha sostanzialmente dichiarato che avrebbe dato la propria vita perché non fosse catturato Messina Denaro”.
E Messina Denaro infatti non è stato catturato, nonostante i vari proclami di “cerchio che si stringe” a ogni nuovo arresto, soprattutto nella zona di Trapani.
“L’ultima traccia – sottolinea il Fatto – è del 14 luglio scorso: nell’operazione a Torretta, eseguita dai carabinieri su delega della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, è emerso che Lorenzino Di Maggio, una volta tornato in libertà, nel 2017, secondo le accuse del pentito Antonino Pipitone, sarebbe stato il “postino”, addetto alla consegna di pizzini per Messina Denaro. «Gran parte dei pizzini sia della provincia che dei mandamenti di Palermo – ha riferito il pentito – che dovevano arrivare al superlatitante arrivavano sempre a lui (Di Maggio, ndr). I biglietti gli venivano consegnati dove lavorava o a casa della madre”. Poi Calogero Caruso, a cui venivano consegnati da Di Maggio, “a sua volta li consegnava a Campobello di Mazara, utilizzando l’auto del Comune di Torretta dove Caruso all’epoca lavorava». Se questa traccia corrispondesse a verità, sarebbe quindi scontato che Messina Denaro non è lontano dalla Sicilia o, comunque, che spesso ci ritorna”.
Ne è convinto, come avevamo riferito, anche il pentito Gaspare Mutolo. E ne è convinto anche il magistrato Nino Di Matteo: “Una latitanza così lunga come quella di Matteo Messina Denaro – aveva detto al Tg2 – si può comprendere soltanto in funzione di coperture istituzionali e forse anche politiche. È gravissimo che, dopo tutti questi anni, lo Stato non riesca ad assicurare alla giustizia un soggetto condannato tra i principali ispiratori degli attentati del ’93 di Roma, Firenze e Milano che fecero temere al presidente Carlo Azeglio Ciampi che fosse in atto un golpe. Matteo Messina Denaro è certamente custode di segreti di quel periodo, di quella campagna stragista del 1993, che lo rendono in grado ancora di esercitare un potere di ricatto nei confronti delle istituzioni. Ecco perché sarebbe veramente un segnale bello se finalmente venisse rintracciato, arrestato”.
Secondo alcuni sarebbe a Dubai. Ipotesi smentita seccamente da uno degli uomini da tempo in prima linea in uno dei reparti di polizia impegnati a metter fine alla fuga del boss: “È in Sicilia. Bisogna sempre considerare – dice l’anonimo esponente delle forze dell’ordine al Fatto – che la genesi delle notizie rispetto a una sua presenza all’estero in pianta stabile, dal Sudamerica ai paesi arabi, può essere sempre strumentale”. Per depistare, dunque, mentre a suo dire Messina Denaro sarebbe sull’isola perché “iddu comanda e per comandare in Cosa nostra le persone vanno guardate negli occhi”. Però si sposterebbe, grazie a una rete di protezione ermetica: “Non dimentichiamo che lui è ancora giovane, ha compiuto 59 anni lo scorso 26 aprile, l’età gli consente capacità dinamiche frequenti. […] Ma non nel “bel mondo” […]. Parliamo di una Sicilia rurale, pastori e ovili, vecchi mafiosi pronti ad aprire le proprie porte e acquisire un prestigio importante nel contesto. […] Le aree geografiche più aderenti a quanto ci siamo detti sono le province di Agrigento e Caltanissetta, senza trascurare l’ennese, più ai margini ma proprio per questo zona più tranquilla”.