C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui non passava giorno dove non ci si ritrovasse a parlare o sentir parlare, a seconda che si fosse tra quanti scrivono e parlano di musica e di ciò che vi gira intorno o tra quanti ascoltano e leggono chi parla e scrive di musica e di ciò che vi gira intorno, di Dave Grohl e dei suoi Foo Fighters. In realtà si parlava e scriveva eccetera eccetera prevalentemente di lui, di Dave Grohl, e quasi mai per ragioni che avessero strettamente a che fare con quello che Dave Grohl fa e, diciamolo, è, una rockstar di prima grandezza che, in quanto tale, fa rock. Se ne parlava perché di volta in volta si era ritrovato a salvare qualcuno che si era sentito male durante un concerto, perché aveva fatto irruzione con un suv dentro un corteo di nazisti, perché si era rotto una gamba e ciò nonostante era salito sul palco, seduto su un trono fatto di chitarre elettriche, perché faceva una qualche buona azione, il tema delle buone azioni era centralissimo, o perché andava sopra le righe, e una rockstar, tanto più una rockstar divenuta tale dopo essere stata dietro le pelli e i tamburi della batteria dei Nirvana non può che stare costantemente sopra le righe, quasi mai per parlare di musica, anche se di musica, coi Foo Fighters, principalmente, ma anche collaborando praticamente con chiunque, ispirando anche i 1000 e passa musicisti che l’hanno omaggiato suonando assieme in quella follia che risponde al nome di Rockin’ 1000. Anche oggi ci ritroviamo a parlare, o meglio a scrivere, di Dave Grohl per una faccenda che, direttamente, non ha a che vedere con la musica. O meglio, ce l’ha, ma in quella dinamica un po’ buffa che un tempo rispondeva al nome di “musicarello”, cioè di un film che pretenderebbe, forse, di essere un film e basta ma che poggia la sua ragion d’essere tutta sul fatto che il protagonista, i protagonisti, sia un cantante o un musicista. È infatti approdato su Netflix, giusto con un paio d’anni di ritardo rispetto alla sua uscita ufficiale, Studio 666, il musicarello dei Foo Fighters. Un musicarello che, essendo film americano, sta ai musicarelli come una qualsiasi serie tv italiana targata Mediaset, penso a Distretto di polizia, a Rivombrosa, sta a una serie tv americana, e qui l’elenco è troppo lungo. Già a partire dall’incipit, decisamente horror, e Studio 666, i titoli non è che si trovano lì per caso, è un musicarello decisamente horror, forse addirittura splatter, già a partire dall’incipit, con una scena in flashback che ha per protagonista Jenna Ortega, cioè la Mercoledì di Tim Burton, si capisce che qui le cose si fanno sul serio. E in effetti, a parte una trama che sta in piedi esattamente come Dave Grohl ai tempi in cui si esibiva seduto sul trono di chitarre di cui prima, il film gioca in un campionato professionista, con Dave e gli altri della band a darci dannatamente dentro. Stiamo parlando di una band rock, che ha in Dave Grohl, ovviamente, il suo leader più che riconosciuto, quindi la trama, non spoilero più di tanto, tranquilli, è giocata su una casa infestata, su diavoli e altre mostruosità, sull’andare a fare rock lì dove il male alberga, e soprattutto sulle dinamiche interne a una band dove uno è il più riconoscibile e talentuoso, gli altri fanno da contorno, consapevoli di ciò e del tutto intenzionati a scherzarci su.
Il tutto con cameo importanti, siamo negli USA, Kerry King degli Slayer a interpretare Krug, che, spoiler, dura poco, a Lionel Richie, poi ci arrivo. La scena del crimine, è il caso di dirlo, è una villa di Encino nella quale è accaduto un tremendo fatto di sangue, e dove la band si ritira per incidere l’album della vita. Il motore della trama, splatter e traballante, è la mancanza di ispirazione di Dave, che evidentemente ama giocare coi paradossi, ma tutto il film è una continua citazione di classici dell’horror, John Carpenter, non spoilero oltre, al centro della scena. Un film che non potrà che piacere parecchio ai patiti del genere, che si tratti di quello cinematografico o quello musicale che i Foo Fighters interpretano ormai da una ventina d’anni. E qui veniamo a una nota dolente, anzi, devastante. Il film, come dicevo, è di un paio di anni fa, quindi la band è presente nella sua formazione storica, che prevedeva anche Taylor Hawkins alla batteria, Dave, nei Foo, canta e suona la chitarra, come non mancherà di far vedere in quasi tutto il film. Di lì a poco, marzo 2022, Tyalor morirà durante il tour della band, all’improvviso, lacerando il cuore non solo di Dave e soci, ma anche dei milioni di fan che la band ha in giro per il mondo. Vederlo lì, che gioca a fare se stesso, che si mette letteralmente in pasto all’ego malefico, parliamo di cinema, attenzione, di Dave Grohl, sapendolo tragicamente morto, lascia spiazzati, colpiti sentimentalmente, volendo anche interdetti. Perché la vita è ingiusta, certo, e perché non sarà sempre vero che sono i migliori a andarsene per primi, ma a volte in fondo sì.
Non saprei dire se chi non ama i Foo Fightes dovrebbe vedere questo film, ma fatico anche a pensare che ci sia qualcuno che non ami Dave Grohl e soci, anche al di fuori delle loro canzoni, parlo di attitudine e di simpatia, attitudine e simpatica che in questo film vengono fuori in maniera debordante, coinvolgente, entusiasmante. Al punto da rendere una trama ridicola, citazionista e tutto, impacchettata come solo gli americani sanno fare e tutto, ma pur sempre ridicola, assai piacevole da seguire. Un musicarello, come quelli che un tempo da noi facevano Rita Pavone e Gianni Morandi, solo che è fatto oggi, con cameo di star internazionali e con una produzione da colossal. La scena in cui Dave, cercando ispirazione, spoiler, prova a rubare Hello di Lionel Richie, al piano elettrico, e Lionel irrompe in scena, lo dico senza paura di smentite, avrebbe meritato un Oscar. Da noi fanno docuserie anche sul mio vicino di casa, perché è solito cantare sotto la doccia, un film horror che ha i Foo Fighters come protagonisti e che comincia con Jenna Ortega che striscia a terra insanguinata, credo, meriti almeno un po’ della vostra attenzione.