“Quelli che vedi sono solo i miei vestiti, adesso facci un giro, poi mi dici” canta Niccolò Fabi nell’ispirata “Io sono l’altro”. Un modo poetico di rivisitare il vecchio detto che invita a mettersi nei panni di chi si intende giudicare. Mettersi nei panni o infilarsi le scarpe di, variante anglosassone del medesimo modo di dire. Parto da qui perché mi è stato spesso chiesto di fare il medesimo esercizio mentale, invitandomi, ovviamente, a vestire i panni e le scarpe di chi andavo criticando nei miei scritti. Un modo di provare a giocare sul mio senso di colpa, immagino, inducendomi a empatizzare con coloro che in questo frangente sarebbero le mie vittime, io il carnefice. Cosa avrei mai potuto provare, io, se a essere criticato con i toni aspri che mi sono propri, con quella affilata vena di ironia, spesso sarcasmo, fossi stato io e non l’artista X o Y, non mi sarei offeso? In genere, va detto, a porgermi in maniera meno elegante e spesso anche piuttosto sgrammaticata questa domanda non è l’artista stesso, immagino lì in un angolo scuro, coperto da un telo di pile a tremare spaventato dalle mie parole, quanto i fan, gente che ha talmente a cuore la salvaguardia psicologica dei propri idoli da spendere del tempo per venire a rompere il cazzo a me, come se dopo avermi rotto il cazzo io dovessi cambiare idea, o rimangiarmi quel che ho scritto. Ovviamente, prima che i social, è lì che avviene sempre questo scambio, diventassero la fogna a cielo aperto che sono ora, spesso invitavo i commentatori a fare il medesimo esercizio, mettendosi i miei di panni e infilando le mie di scarpe, nello specifico spesso ciabatte, visto che scrivo da casa e per abitudine non sto per casa indossando scarpe, ma ovviamente nessuno ha mai osato tanto, come se mettersi i panni e le scarpe di un critico equivalesse a entrare nella psiche di un serial killer, faccenda avvincente quando a viverla è il professor Reed di Criminal Minds o uno di quei profiler che ormai spopolano nelle serie tv, meno se si tratta di farlo in prima persona.
Personalmente, non per una assenza di empatia, tendo a non volermi mettere mai nei panni di coloro di cui scrivo, perché quello di cui scrivo è rivolto sempre a giudicare le opere e l’operare dell’artista che quelle opere produce, non le persone. Mai interessato a nulla che fosse anche vagamente personale, e dire che, lavoro in questo settore da oltre venticinque anni, di cose personali di coloro di cui scrivo ne so sempre parecchie, io scrivo di opere, quelle giudico, e mi risulta impossibile entrare nei panni di una canzone o di un album. Altrettanto ovviamente ritengo che quanto cantato da Niccolò Fabi nel suo brano, lui alza il tiro e invita a farlo non solo nei confronti di chi sta peggio, ma anche nei confronti di coloro che in qualche modo stanno meglio, che invidiamo, sia sacrosanto, niente di più efficace di empatizzare con tutti per capire come in fondo, altro modo di dire efficace, siamo tutti sulla stessa barca, o meglio, siamo tutti sopra lo stesso mare, chi a bordo di uno yacht e chi di un canotto sgonfio. E qui veniamo a noi, perché c’è ovviamente un noi, in questo discorso, e un noi oggi.
Ho letto, come molti, le parole di Susanna Tamaro, quelle che si è sentita in dovere, e temo anche in diritto, di scrivere al presidente Draghi. Lo dico subito, onde evitare qualsiasi lettura alterata delle mie parole, se ho detto in diritto non è perché io ritenga che nessuno si debba permettere di disturbare Draghi, nella questura di Ancona, la mia città natale, c’è una cartella a mio nome che mi identifica come anarchico, nessun rispetto per le cariche istituzionali dello Stato nel quale mi trovo mio malgrado a vivere e nel quale sono nato, lo dico perché, su questo credo potremo tutti convenire, il fatto che uno si senta di scrivere una lettera aperta al presidente del Consiglio attesta più un narcisismo dissimulato male che la volontà di esercitate un proprio diritto naturale. Anche perché la lettera che la Tamaro ha scritto, e che il Corriere della Sera ha pubblicato in prima pagina, attenzione, è qualcosa che dovrebbe non tanto far riflettere Draghi su quanto stia sbagliando tutto, dove per tutto si intende la gestione di questa fase della pandemia, nello specifico la questione del Super Green Pass, quanto piuttosto far internare velocemente l’autrice di “Va dove ti porta il cuore”, perché così non possa in alcun modo far del male a se stessa, e auspicabilmente, anche a noi, che ci siamo trovati, vuoi per curiosità, vuoi per caso, vuoi, è la mia condizione, per lavoro a leggere queste puttanate.
Questa la storiella, una via di mezzo tra la Piccola Fiammiferaia e il Dolce Remi, che Susanna Tamaro ha raccontato a Draghi. È nel solito paesino delle Alpi nel quale è usa passare molto tempo per trovare la concentrazione e l’ispirazione, esercizio che evidentemente non le viene benissimo, lontana dalle brutture del mondo. È partita con un paio di scarponcini rotti, intenzionata a comprarne di nuovi al negozio di fiducia. Già una che vuole comprare scarponcini in un negozio di un paesino di montagna ci dice in che tipo di panni dobbiamo metterci, ma questo è un discorso che immagino potrebbe essere bollato come da “rosicone”, l’invidia sociale a dettarmelo, altro che scarponcini rotti, ma la parte esilarante, involontariamente esilarante, è quella in cui la Tamaro spiega, così, senza vergogna, di non aver capito che ora il Super Green Pass dura solo sei mesi dopo la seconda dose del vaccino, e che quindi, o fai il Booster o sei fuori da tutto. Ora, lasciamo da parte la faccenda della sensatezza o meno del provvedimento, ma credo che anche Eleonora Brigliadori, lì, uno shottino di piscio in mano, mentre sta urlando il suo disappunto per la morte della democrazia, tirando in ballo alieni e complotti vari, ha capito che ora il Super Green Pass dura solo sei mesi. Non fosse altro perché a tutti arriva un Sms, anche qui, non fatemi dire cosa io pensi di chi usa gli SMS nel 2022, non è questo il tema, che ci avvisa che il Super Green Pass sta per scadere, non è una questione legata alla lettura delle stelle o dei fondi di caffè (visto che sta in montagna, magari, degli intestini dei cerbiatti). Lei non lo sapeva, povera anima, quindi quando è andata dal suo rivenditore di fiducia si è vista sbattere la porta in faccia, niente scarponcini nuovi. Immaginiamocela che vaga per il paesino delle Alpi, in cerca di ispirazione, scalza, come San Francesco d’Assisi, non fossimo in epoca di politicamente corretto, e non avessi già visto a che pene corporali è stato sottoposto Davide Maggio per aver fatto una battuta scema sulle calze a rete, verrebbe da dire che visto il taglio di capelli, qualcosa di francescano già di suo ce l’ha, la Tamaro, ma sorvoliamo sul body shaming e andiamo avanti. Scalza al gelo, senza possibilità neanche di bersi un caffè, la Tamaro scopre che non può neanche comprare francobolli, che è un passo ulteriore verso il Novecento, rispetto agli Sms del Ministero della Salute. Niente, isolamento civile, imposto da Draghi, che ora si deve puppare la reprimenda della Tamaro, ispirata dai fatti della vita a scrivergli.
Torniamo alla faccenda del mettersi nelle scarpe degli altri, nello specifico scarponcini rotti, leggendo quella lettera, che poi prosegue parlando di morte, di diritti negati e quant’altro, ripeto, non è questo il luogo dove affrontare questi temi, a me viene da pensare a quando, l’estate scorsa, la Cirinnà ha lamentato il suo aver dovuto fare l’ortolana e la colf a causa dell’abbandono improvvido della sua collaboratrice domestica, lì a Capalbio, invitando tutti a immedesimarci in lei che di colpo ha scoperto che i piatti tocca lavarli, dopo che hai mangiato e che, se vuoi appunto mangiare, prima devi anche cucinare. Non esattamente un passaggio esaltante della sua carriera politica, e più che altro una esternazione sfacciata di una condizione si privilegio che chiunque abbia un po’ di sale in zucca eviterebbe di fare, specie se ha un uditorio che a temi come la solidarietà e un’uguaglianza sociale cui ambire fa riferimento. La Tamaro è una privilegiata, certo per suoi meriti, l’ha scritto lei “Va dove ti porti il cuore”, mica noi, e non è in grado di capire che rompere il cazzo a Draghi e a noi, più a noi che a Draghi, a dirla tutti, perché non è in grado di capire provvedimenti così poco complicati ce la mostra come una fuori dal mondo, in senso negativo.
Dico questo perché anche volendo, e non è che io voglia proprio, faticherei davvero a mettermi nei suoi scarponcini rotti, perché se uno dovesse cominciare a guardare al mondo come a chi sta indubbiamente meglio, la vita poi risulterebbe un filo sconfortante. Questa vicenda però mi offre lo spunto per rivolgere un invito a tutti coloro, appunto, che a pandemia finita riprenderanno e rompermi il cazzo sulla questione “nessuno li può giudicare”, parlo ovviamente degli artisti e dei loro dischi. Oltre a invitarmi pietisticamente a mettermi nei loro panni, infatti, spesso mi si dice che se uno ha successo, e io spesso sono particolarmente duro con chi ha successo, se quel successo è ottenuto con cagate, sia chiaro, perché penso che chi ha successo ha le spalle larghe e può sopportare, per altro, proprio perché empatizzo con tutti, anche con le vittime dei miei strali, comunque, oltre a invitarmi pietisticamente a mettermi nei loro panni, spesso mi si dice che se uno ha successo ha ragione, perché è il popolo che decide, sì, parlano proprio di popolo, spesso, ahinoi, di popolo italiano, come fossero Simona Ventura a X Factor. Ora, partendo dal presupposto che se il popolo avesse davvero ragione non avremmo Di Maio che sta in Ucraina a cercare di fermare la guerra, ma uno che almeno è in grado di indicarci correttamente che nazioni confinano con l’Ucraina, direi che la Tamaro è esattamente il caso di chi ha avuto un grande successo, enorme, uno dei più grandi di tutti i tempi in editoria, e nonostante questo continua indefessamente a provare a dimostrarci come avere successo non implichi mai e dico mai, avere qualcosa di rilevante da dire, o di bello da dire, o anche solo da dire. Al massimo implica che per non aver trovato un francobollo hai una botta di narcisismo acuto e scrivi una lettera a Draghi, pensa te se non avesse trovato posto in ospedale per una visita specialistica o se per qualche mese, molti mesi, non le fossero arrivati i soldi della Cassa Integrazione, Governo Ladro!