Avvertenza per il lettore: stavolta la prendiamo davvero alla larga. Partiamo dal XIX secolo, quando tra le comunità afroamericane si diffuse un gioco di società chiamato The Dozens, a sua volta derivante da una tradizione nigeriana chiamata Ikocha Nkocha. In pratica, i partecipanti si riunivano in cerchio attorno a due contendenti che si insultavano a vicenda, in maniera sempre più creativa, plateale e roboante, finché uno dei due prevaleva sull’altro a furor di popolo. Vi ricorda qualcosa? Se la risposta è sì, è normale: pratiche rap come il freestyle e il dissing derivano proprio da qui. Dietro questa tradizione si nasconde un significato più alto di quello che appare in superficie, perché lo scopo è quello di dirimere i conflitti senza l’uso della violenza, dandosele di santa ragione solo a parole. Non a caso, negli anni ‘70 l’hip hop si prefiggeva come obbiettivo quello di sradicare la violenza giovanile che dilagava nelle strade del South Bronx, insegnando ai giovani delle gang che le parole sono un’arma molto più potente di coltelli e pistole.
Avanti veloce fino al terzo millennio, in cui ciclicamente ci ritroviamo a commentare (o a dover commentare: specifico che per quanto mi riguarda c’è poco da aggiungere ai fiumi di inchiostro che sono stati già sprecati su questa vicenda, ma gli amici di MOW ci tenevano che anch’io dicessi la mia) il dissing del momento, in questo caso quello tra Fedez e Tony Effe. La premessa doverosa è che a livello sociologico e culturale non si tratta di un fenomeno nuovo né inspiegabile, visto che ha più di un secolo. E per quanto sul momento gli animi possano scaldarsi, di solito sul lungo periodo i diretti interessati tendono a non farne un dramma: come giustamente ha detto Jay-Z, uno che di dissing se ne intende essendo stato protagonista di uno dei più famosi della storia contro l’avversario di sempre Nas, “è solo wrestling”. E nel wrestling, si sa, nessuno si fa male veramente, indipendentemente da quanto siano spettacolari le azioni. Ciò che semmai fa la differenza è la bravura e l’abilità tecnica dei performer, e non tanto la loro visibilità o il posizionamento in classifica. Insomma, vista dalla prospettiva degli appassionati del genere, ha senz’altro più senso analizzare alla moviola le mazzate liriche che Kendrick Lamar ha dato a Drake, piuttosto che le schermaglie tra il rapper di Roma Nord e quello di City Life.
In effetti, il problema vero è che molti di coloro che commentano i dissing italiani (non solo quello di Tony Effe e Fedez, ma anche quello di Luché e Salmo dell’anno scorso, per esempio) sono persone che non hanno grande familiarità con questa pratica, e finiscono per concentrarsi sugli aspetti meno importanti di queste faccende. Leggere le loro barre sotto la lente del gossip, ad esempio, è un esercizio abbastanza inutile: tra le varie rime a effetto si nasconde senz’altro anche qualche informazione corretta, ma non siamo sul banco di un tribunale e nessuno ha giurato di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità, spararle grosse al microfono è proprio uno degli obbiettivi ultimi. Anche cercare di estendere la diatriba ad altre persone, spesso tirate in mezzo a caso dai rispettivi fan, è abbastanza controproducente: a differenza del wrestling, in questo caso le royal rumble non esistono. Un doveroso disclaimer da fare, inoltre – e questo bisognerebbe specificarlo soprattutto ai giornalisti – è che i TikTok o le dirette Instagram non sono dissing: per cortesia, non insultate la nobile arte dell’insultarsi in rima includendo anche le schermaglie social nel calderone.
Ultimo ma non ultimo: in questi ultimi giorni abbiamo letto spesso che si è passato il segno, che i colpi erano decisamente troppo bassi, che si sta esagerando, che non bisognerebbe entrare in certi ambiti o toccare certi argomenti. Quando si parla di dissing e freestyle, però, di solito nel rap vale tutto: ci si aggrappa alla qualsiasi per guadagnare punti sull’avversario, spesso con grande spirito sportivo e senza che nessuno si offenda sul serio. Basso, alto, grasso, magro, etero, gay, bianco, nero, calvo, peloso, uomo, donna... Qualsiasi caratteristica fisica o caratteriale del contendente diventa il pretesto per costruire una rima a effetto. Non c’è un vero e proprio limite, insomma, anche quando si tratta di tirare in mezzo altre persone: basti pensare che del famoso gioco The Dozens, quello che citavamo all’inizio, esiste una variante triviale chiamata Yo Mama, il cui scopo ultimo è insultare la madre dell’avversario (da lì derivano barzellette tipo “Tua mamma è talmente grassa che quando va a nuotare in mare Greenpeace la dichiara una specie protetta”). Certo è che un paio di limiti, almeno auto-imposti, di solito ci sono: se la mamma in questione è notoriamente defunta o gravemente malata, ad esempio, si evita di tirarla in mezzo. Così come dovrebbe essere questione di buon gusto lasciare stare le fidanzate, e soprattutto evitare di tirare in mezzo i bambini: il famoso dissing tra Jay-Z e Nas che citavamo in precedenza è terminato quando il primo ha insinuato in una strofa di aver fatto sesso in macchina con la fidanzata del secondo, e di aver poi lasciato il preservativo usato sul seggiolino della figlia. A quel punto si è sollevata un’indignazione generale (in primis da parte della mamma di Jay-Z, che ha fatto il cu*o a suo figlio grande e grosso per aver tirato in mezzo una bimba di tre anni). Forse anche Fedez e Tony Effe dovrebbero imparare dai migliori.