Di solito quando si dice “ho un progetto nel cassetto” è un modo figo per dire “non so bene che farci, ma mi piace l’idea di tenerlo lì”. Se lo dice Zerocalcare, invece, è tutta un’altra storia. Anche perché il suo cassetto, lo ha raccontato ospite a De Core Podcast, è chiuso da trent’anni. E dentro non c’è un’idea, c’è una colpa. Il fumettista romano, che nei suoi lavori mette a nudo traumi e paradossi personali con una leggerezza chirurgica, stavolta ha ammesso che c’è qualcosa che ancora non è riuscito a disegnare. Né a dire. Una storia talmente grossa da essere diventata fantasma. «C’è una storia segreta, nel senso che dentro il secondo libro che ho fatto, che si chiama Un polpo alla gola, e questo “polpo alla gola” che è la rappresentazione del senso di colpa. Nel libro si vedono i bambini: i protagonisti hanno otto anni, e il senso di colpa del mio personaggio è di aver fatto la spia su una cosa che ha fatto l’amichetta Sara. È vero che io mi sono portato questo senso di colpa da una vicenda vera, ma non è di aver fatto la spia: è una cosa molto più terribile, che io non ho mai avuto il coraggio di raccontare. Talmente terribile che preferisco passare per spia piuttosto che raccontare quella cosa.» Ecco, questo è il punto. Zerocalcare non ha bisogno di effetti speciali per arrivare alla gola. Non si inventa nulla. Non si costruisce addosso il personaggio, non recita l'autenticità. La vive. E la trasforma in una narrazione che è insieme confessione e presa bene collettiva. La mette a disposizione, ma solo quando è pronto. Sia chiaro.

«Quella è una cosa di cui, prima o poi, vorrei avere il coraggio di parlare apertamente e raccontarla.» Lo dice con quella sincerità che non chiede sconti. Senza cercare pietà o hype. Senza farci sopra nemmeno un post. Solo mettendo lì la frase, come se stesse parlando con un amico. Che è poi il suo modo di stare al mondo. Alla domanda se potrà diventare un nuovo fumetto, o magari una serie, lui resta vago. Ma apre uno spiraglio: «Boh, in un fumetto, in un film, in una serie… Diciamo che con l’animazione in realtà ci puoi fare tutto: ci puoi fare delle pilloline, ci puoi fare delle puntate, ci puoi fare dei film. Non ho un’idea precisa, però quella è una cosa che mi rimane proprio qua da sempre, da quando ho otto anni.» Il punto, forse, è tutto qui: Zerocalcare non ha bisogno di travestirsi da genio tormentato o da artista visionario. Non ha nemmeno bisogno di dire tutto. Basta il modo in cui lo fa. Quello stile che, chi scrive, ama da sempre, e non per moda. Perché è impossibile non riconoscersi almeno un po’ in quel modo tutto suo di tenere insieme rabbia, risate e ferite. Il suo prossimo lavoro, che sia libro, film o fumetto, non vediamo l’ora di leggerlo. O di guardarlo. Ma soprattutto di capirlo. Perché se c’è una cosa che fa Zerocalcare, sempre, è questa: raccontare una storia personale che alla fine è anche un po’ nostra.
