La questione ha già sollevato un polverone mediatico non indifferente. La sostanza è riassumibile in una breve domanda: solo un afroamericano può tradurre un autore afroamericano? Apparentemente è infatti questa la posizione di editore e agente della famosa poetessa Amanda Gorman, sempre più conosciuta dopo aver recitato una delle sue poesie durante la cerimonia di insediamento del nuovo presidente USA, Joe Biden.
La Viking Books ha di recente respinto il lavoro – pure ottimo – del traduttore catalano Victor Obiols perché quest’ultimo sarebbe “di profilo inadeguato”. Non dunque un giudizio sul suo periodare né sulla capacità di trasmettere ritmo e stile della poetessa, ma su un non ben specificato modo di presentarsi dell’uomo.
Malgrado resti poco chiaro quanto di tutto questo sia opera e volere dell’ampio entourage dietro alla giovane autrice o a una decisa volontà del famoso editore statunitense (già in passato dietro a una decisione simile), resta una vicenda parecchio spinosa e con responsabilità certe di (quasi) tutti i protagonisti in ballo. Ma è una vicenda di sola immagine per lo scrittore e poeta Aldo Nove, che evidenzia come il riscontro mediatico del tutto abbia innescato una spendibilità politica che è stata prontamente cavalcata, mentre sul piano poetico e artistico “basta un minimo di buon senso per dire che una traduzione non è una questione genetica, ma di cultura”.
Cultura che è appunto “studio” e non colore della pelle né provenienza per Nove, di recente vincitore del Premio nazionale di poesia Elio Pagliarani per i suoi “Poemetti della sera” (Einaudi, 2020). La politicizzazione dell’affare e i vari modi di cavalcarlo non rispecchiamo la realtà dei fatti, il “problema reale”, che è invece piuttosto semplice per l’autore lombardo: “Non c’è nessuna influenza reale dell’etnia sugli esiti del lavoro artistico”.
“È chiaro che questa cosa ha avuto un riscontro mediatico per una sua spendibilità politica – spiega Nove, raggiunto telefonicamente da Mow per un commento sul tema – ma sul piano filologico-poetico è una questione che non esiste. Ci si appropria di una cultura e di una lingua attraverso lo studio, quindi tutto da questo punto di vista è giocato sul piano politico, non su quello artistico. Direi che la questione nella sua essenza non si debba proprio porre: è una scelta di immagine, ma non corrisponde al problema reale.”