Dopo aver inscenato per quarant'anni umori e nevrosi di una società intera, in Vita da Carlo, dieci episodi di quasi mezz'ora l'uno su Prime Video, al Maestro "de Roma" non resta che puntare l’obiettivo su sé stesso, modellando un esperimento di serialità in stile verdoniano, spiraglio di incauta autobiografia rielaborata, che prosegue nella direzione tracciata dai suoi libri ("La casa sopra i portici" e "La carezza della memoria"). A essere sinceri, sembra più un lungo film spezzettato che una serie vera e propria, con una narrazione a spizzichi e bocconi, dettata talvolta dall'esigenza di allungare i tempi morti. Lo spaccato finzionale a puntate ci restituisce un Carlo Verdone uomo, che proprio oggi compie 71 anni, che incastra a fatica le aspettative altrui con le personali ambizioni, imprigionato dal peso di quei personaggi che gli hanno dato tutto.
Nello sceneggiato, l'attore si scopre "in croce", tirato per la manica dalle pretese di uno squalo produttore (una sorta di alter ego del compianto Mario Brega), che non si toglie dalla capoccia le note "macchiette" dell'attore e gli propone (e impone) di girare il sequel di “Viaggi di nozze” ("Lo famo anziano"). Dall'altro lato siede invece lo sceneggiatore letterato, che vuole convertirlo al cinema d'autore (la serie si apre proprio con Verdone che sogna di essere premiato a Cannes con un film analogo), mentre all'orizzonte spunta pure un'altra suggestione, ossia la sua candidatura a sindaco di Roma (episodio realmente accaduto). Tutto succede per caso. Mentre s'intrattiene nei pressi di una farmacia (altro crossover con la sua vita: l’attore è noto “spacciatore” di consigli in campo medico), si verifica un incidente. Un ragazzo, incappando in una delle sante (si fa per dire) buche della città eterna, casca dal motorino, innescando un improvvisato ma sentito discorso d'amore di Verdone per la città dei sette colli, defraudata dalla sua "grande bellezza". Qualcuno riprende la scena in un video talmente battuto sui social da finire perfino sulla scrivania della giunta regionale, da quel Signoretti alias Zingaretti, che immagina di candidarlo a primo cittadino della Capitale: e me cojoni!
Senza sapere a che santo votarsi, l’artista “de Roma” prova a compiacere gli interessi di chi gli sta attorno, viziato dalla proverbiale incapacità di imporre scelte proprie. A insaporire il tutto, sullo sfondo si sviluppano le consuete beghe familiari, spalleggiate dal dialogo a intermittenza coi due figli (Maddalena e Giovanni, nomi fittizi) consegnando un sapore di già visto a ogni famiglia che non appartenga al fantasioso storyline del Mulino Bianco. Ai due pupilli s'incastra perfettamente la figura della governante storica (Annamaria), ereditata dal padre, che minaccia vertenze, e l'ex ganzo di Maddalena, Chicco (uno dei personaggi più riusciti), dal principio solo parassita in casa sua (dove vive a scrocco), poi perfino alleato e confidente di buon cuore. Anche gli intrecci sentimentali sono combinati più volte, grazie all'ex moglie sul groppone (impersonata da Monica Guerritore) e una timida cotta per la bella farmacista del quartiere (Annalisa alias Anita Caprioli). Indovinata pure la scelta di affiancargli Max Tortora (perché non riproporre la coppia ancora al cinema?), suo miglior amico e spalla comica, anch’esso versione romanzata di sé stesso, e nello specifico di un attore che non si incula mai nessuno. I due mettono in piedi un paio di sketch esilaranti, tra i migliori dell'operazione. Nella serie, un po' vera e un po' Verdone, la co-protagonista però è proprio Roma, declinata in tutti i suoi scorci e contraddizioni.
I momenti più riusciti infatti sono proprio quelli in cui l'attore cammina per la città eterna, imbattendosi nei numerosi personaggi che la vivono. Dalla fan in fin di vita che da adulatrice si trasforma in critico aguzzino delle sue pellicole, alla prostituta a cui offre un provino nel suo film, passando per il pappone farmacista - abusivo Rocco Papaleo, fino ad Alessandro Haber, in versione delirante, che lo accusa di aver avuto più culo che genio. Roma ovviamente è anche "la magica", quella fede calcistica che rinsalda a più riprese il legame coi romani, mossi da una passione quasi maniacale nei suoi confronti, tanto da spasimare per un selfie anche nelle situazioni più improbabili, dai funerali ai matrimoni e via scorrendo. Per tutta la serie, Carlo respinge al mittente l'idea di un nuovo film coi personaggi (togliamocelo dalla testa, non lo farà), ma in fin dei conti non fa altro che riprodurre quelli noti, giocando col suo passato senza ripudiarlo, e servendoci, senza sbandierarle più di tanto, altre intuizioni a mo' di novelle maschere italiane. Nelle dieci puntate sono mostrate senza sconti le due facce della fama. "Ma possibile che io non possa mai avere un giorno tranquillo?", si strugge sconsolato a più menate nella comedy, restando poi solo così tante volte, da imprimere anche malinconia alla ricostruzione. In fondo l’artista romano è maestro del filone, e ridurre tutto a una risata quando si tratta di Verdone è altro grossolano e mortificante errore. Questo non significa che non si (sor)rida pure, ma senza la presunzione di quel "facce ride" ossessivo che a Carletto negli anni ha causato proprio indigestione. Un giorno, per sottrarsi all'ansia e alle pressioni dei vicini, l’attore si prescrive l'isolamento nel convento, dove becca un certo Morgan (con tanto di ciuffetto rosa), altra guest star funzionale alla narrazione, nei panni di quell'artista maledetto che con poca fatica conquista consensi e compassione. In fondo, è facile immedesimarsi nelle vicende, in virtù di quei momenti che di eroico non hanno proprio niente. Del resto, Carlo non è certo un santo, anche se qualche romano stringerà il santino verdoniano alla stregua di un venerato Capitano (non nominare Totti invano…).
Indubbiamente in Vita da Carlo non tutto fila alla perfezione, a partire dalla mancanza di quei famosi cliffhanger che legano una puntata all'altra, e che rischiano di annoiare gli spettatori più pignoli, spingendoli a cercare ben altro sul ricco catalogo Amazon Prime. Tuttavia, col monologo finale dal brio sorrentiniano, il regista mette il sigillo all’intera produzione (già godibile di suo), lasciando aperto pure uno spiraglio per la seconda stagione. Insomma, pur riconoscendo la fatica in più frangenti, in altri si respirano sprazzi di antico splendore. Il grande attore non scimmiotta i fasti del passato, ma li addomestica a una nuova era, epoca di un settantenne, che in fondo al core è ancora quel pischello di talento. Bentornato a Carlè. Ritrovarti è un sacco bello.