Esiste l’arte e esiste l’intrattenimento. Parlo di pop, musicale, ma il discorso suppongo sia estendibile anche agli altri campi. Esiste l’arte e esiste l’intrattenimento e poi, a volte, esiste l’arte che è anche intrattenimento. E grazie al cazz*, dirà qualcuno, a ragione. Ma il mio ragionamento non si ferma qui, questa è la premessa. Anzi, essendo un mio ragionamento grazie Dio che non sono partito da una gita fatta in seconda media nella quale mi è successo questo e quello, come in una canzone di Giovanni Truppi. Riparto, quindi, esiste l’arte e esiste l’intrattenimento, è quindi quantomeno sciocco giudicare il secondo con i parametri che si applicano sulla prima, perché l’intrattenimento ha il solo scopo di intrattenere, ovvio, e quindi punta quasi sempre e esclusivamente su una fruibilità spiccia, a tratti anche momentanea, e comunque non pretendendo di aprire varchi nelle anime di chi ci si pone di fronte. Dico questo perché mi è capitato un sacco di volte, specie quando i miei quattro figli erano piccoli, non contemporaneamente, hanno età diverse, tranne i gemelli Francesco e Chiara, quando quindi i miei quattro figli erano piccoli mi è capitato un sacco di volte di vedere con loro film, ma soprattutto telefilm che, sulla carta, erano sconsigliati ai bambini. L’ho fatto non per cattiveria nei loro confronti, ci mancherebbe pure altro, né per una mia volontà di essere controcorrente, lo sono spesso ma non in questo caso, quanto piuttosto perché mi premeva di spiegare loro che quello che passa dentro la televisione, spesso, sicuramente quando si tratta di fiction, è appunto fiction, quindi un racconto di finzione che magari è verosimile, magari addirittura si rifà a qualcosa di veramente accaduto, ma comunque finto. Certo, non ho fatto vedere loro cose che implicassero poi spiegazioni troppo complesse, o che mi mettessero nelle condizioni di poterli turbare, ma, per dire, mi è capitato di vedere con Lucia, oggi ventidue anni la serie Ghost Whisperer, con l’attrice e cantante Jennifer Love Hewitt, dove la protagonista da lei interpretata, Melinda Gordon, aveva il potere di vedere e parlare coi morti, salvo averle prima spiegato che lei era una attrice, come i morti con cui parlava e che i morti non si possono vedere, e che comunque lei era anche una cantante, le ho fatto vedere i video, spiegandole come il cinema e la fiction tv si appoggi sulle figure degli attori, che di volta in volta interpretano personaggi, quindi fingono di provare sensazioni, di fare cose, anche di parlare coi morti. Per lo stesso motivo mi è capitato di vedere con mio figlio Tommaso, oggi diciotto anni, Medium, con Patricia Arquette, sorella di Roxanne, con una trama non troppo diversa da Ghost Whisperer, stesso potere mediatico, e in seguito ho visto con Chiara, oggi dodici anni The Walking Dead, gli zombi sono attori, e se lo sai fanno anche ridere. Nessuno dei miei figli ha subito traumi. E nessuno dei miei figli, quando per dire dovesse trovarsi a vedere un film con uno degli attori visti in queste serie, riconoscendoli quindi come attori che ricoprono ruoli, finzione, empatizzerà meno coi protagonisti della storia per questa faccenda che sono attori, lo facciamo anche noi adulti, no?, vediamo Favino che interpreta chiunque e non pensiamo che è Favino, facciamo esercizio di fiducia nei suoi confronti e lo consideriamo come fosse davvero il personaggio che interpreta, almeno fino alla fine del film. Dico questo a mo di spiegazione della mia intro su arte e intrattenimento, era quello il vdero rischio che ho corso, non che i miei figli non dormissero la notte per paura che al loro risveglio avrebbero visto morti o che usciti di casa ci fossero gli zombi.
Ma questo è un pezzo che, fossimo prima dell’era streaming, forse anche di quella download, avremmo chiamato recensione, e l’oggetto della recensione è il disco congiunto che sarebbe dovuto essere il disco congiunto dell’anno, quello tra Rkomi e Irama, non fosse che ce ne sono stati pure altri, quello di Coez e Frah Quintale e quello, recente e atteso per dieci anni, di Salmo e Noyz Narcos, a occhio quest’ultimo sarà quello dei tre che andrà meglio, titolo dell’opera di Rkomi e Irama No stress, perché diavolo colui che un tempo sarebbe il recensore, cioè io, sta qui a parlare di arte e intrattenimento e soprattutto di cosa ha fatto o non ha fatto vedere ai figli da piccoli? Dai, ci siete già arrivati, un minimo di autostima. Comunque ve lo spiego, non prima di aver sottolineato come Rkomi sia l’anagramma, di Mirko, questo il vero nome del rapper di Calvaierate, mentre Irama è l’anagramma di Maria, secondo nome di Filippo Maria Fanti, anche se poi Irama in malese significa ritmo, come se ci fosse anche un solo malese che ascoltando le canzoni di Irama avrà detto, ah, ecco, per questo si chiama Irama, cioè ritmo. Ignoro se sia stata questa faccenda dei nomi d’arte, Dio mio, scelti anagrammando i propri nomi all’anagrafe, tanta roba, a averli indotti a collaborare insieme in un album doppio, a occhio potrei anche ipotizzare di sì, o se invece ha contribuito il fatto che Rkomi e Irama siano due campioni di incassi, rispettivamente tre milioni e mezzo e due milioni e mezzo di ascolti, o il fatto di essere oggettivamente due fighi, certo non con l’altezza dalla loro, ma chi se ne frega, o, ultima ipotesi, se abbia contribuito il fatto di essere entrambi artisti in area Thaurus, la casa di produzione e management di Shablo, uno che evidentemente ne capisce, ma a cui la ciambella non riesce sempre col buco. Perché No Stress, titolo che, ci hanno spiegato, è un modo di esorcizzare il carico importante i aspettative e pressioni piovute singolarmente sui due dopo il successo dei rispettivi Taxi Driver, album campione di incassi nel 2021, e Il giorno in cui ho smesso di pensare, il primo a firma di Rkomi e il secondo di Irama, è un album che potenzialmente avrebbe dovuto mandare tutti a casa, lanciando, si pensava, poi un tour dai numeri importanti, magari un San Siro, che oggi come oggi non si nega a nessuno, figuriamoci ci è passata pure Alessandra Amoroso, e invece non è riuscito a arrivare neanche al primo posto in classifica, un primo posto oggi come oggi non lo si nega a nessuno, figuriamoci ci è arrivata pure Emma, e il tour non è che sia qualcosa di incredibile, certo, ci sono alcune doppie date, Roma, Napoli, Firenze e Milano, al Forum di Assago, ma sempre al Forum i Club Dogo ne fanno dieci, Elodie ne fa quattro e, per rimanere nel loro campo di giochi, Tedua ne fa tre, da solo, direi che qualcosa è andato decisamente storto.
Il fatto è che prendere un campione di incassi e metterlo insieme a un altro campione di incassi, per di più con dei punti di contatto tra loro, una certe tendenza a un romanticismo grossolano, le canzoni di Irama per chi non c’è più, che sono una sorta di cliché, sono profonde solo in superficie, se mi è permesso di giocare con le parole, così come una certa tendenza a far casino esistenzialista, come se uno volesse prendersi qualcosa che non si sa bene chi gli ha negato, a fianco a differenze nette, Rkomi è principalmente un rapper, e quando canta ha una voce che ci fa rivalutare decisamente Pupo, mentre Irama ha sicuramente più potenziale, seppur entrambi ricorrano in maniera massiccia all’autotune, immagino per una questione di file ma finendo per ottenere nei fatti il misero risultato di passare una mano di noia a tutto, le intenzioni, spesso di veicolare appunto una certa disperazione, nascoste sotto gli spigoli freddi di quel filtro, prendere un campione di incassi, quindi, e metterlo insieme a un altro campione di incassi non sempre porta a sommare i due successi ottenendone uno grande il doppio, quanto piuttosto li divide, scontentando evidentemente una parte delle rispettive fanbase, con risultati assai sotto le aspettative, No Stress un cazz*. Il fatto è anche che ascoltando le tracce del disco, questo il punto i forza del singolo Un’altra bugia, per dire, “Vorrei ballare insieme a te/ strapparti i vestiti/ scopare così forte che svegliamo i vicini”, sia che si analizzino i brani lenti, le cosiddette ballad, sempre in chiave urban, o i pezzi movimentati, manca sempre il guizzo, la scintilla che rende vivo Frankenstein, col risultato che No Stress è esattamente quello che chi lo ha affrontato con un grande carico di pregiudizi si è trovato di fronte, un lavoro fragile, monocorde, privo di punti di forza, testi di una banalità imbarazzante, come se i due fossero regrediti allo stadio adolescenziale, anche a livello musicale nulla di particolarmente interessante, nonostante alla festa abbiano preso parte producer di grido. Passati recentemente da Radio 2 Social Club, tutta la mia solidarietà al mio amico Luca Barbarossa, i nostri hanno detto che i loro libri del cuore sono rispettivamente Persuasori occulti di Vance Packard, saggio della seconda metà degli anni Cinquanta che metteva in rilievo lo stretto rapporto tra comunicazione e pubblicità, spesso occulta, lanciando un’allerta che a oggi non sembra aver avuto effetto, e L’alchimista di Paulo Coelho, a sua volta successo internazionale, sulla falsa riga del Siddharta di Herman Hesse, prontuario da bancone di come affrontare la vita come quando si assaggia per la prima volta una birra (questa la capiranno in pochi). Ecco, l’impressione è che la lettura di questi due testi, il primo il preferito di Rkomi, il secondo di Irama, abbia portato proprio alla creazione di questa strana creatura senza cuore pulsante, qualcosa buono più sulla carta che nei fatti, con una incapacità di affondare mai la lama, o di scendere in una qualsiasi profondità che non sia la cresta di un’onda che però neanche è buona per farci su il surf. Potrei azzardare che in fondo ce la siamo scampata bella, perché suppongo che presto nessuna traccia di queste tracce saranno rimaste nella nostra memoria, il mio subconscio è talmente amorevole da averne rimosso ogni residuo, come succede nelle partite di basket ha già passato lo spazzolone in terra, cancellando l’alone di sudore, ma in fondo credo che sia più che altro la cristallizzazione dello stato dell’arte oggi, puntare più all’intrattenimento che all’arte, senza neanche mettere un po’ di trucco agli attori scelti, tanto alla fin fine anche i bambini capiscono che il Johnny Depp che fa Jack Sparrow è lo stesso che fa il Cappellaio Matto in Alice nel paese delle meraviglie o Edward Mani di Forbice.