Ogni mattina un voyeur social si sveglia e sa che dovrà benedire la sua rete wifi per un nuovo giorno di onorato lavoro. Proprio così: se il fenomeno dell'oversharing rappresenta coloro che pubblicano qualunque cosa sui social per ricevere una gratificazione virtuale, il rovescio della medaglia è il voyeurismo social, ossia quel bisogno compulsivo di spiare un profilo senza mai interagire con esso. Renato Zero in un successo del 1989 cantava “Siamo tutti voyeur”, anticipando in questo modo gli atteggiamenti della generazione digitale, figlia dello sviluppo della rete internet. Dal punto di vista psicopatologico il voyeurismo è un vero e proprio disturbo che generalmente si riferisce alla sfera sessuale e che spinge l'individuo a spiare l'intimità altrui, traendo piacere da quest'attività. Nella nuova dimensione nell’era digitale, con la diffusione della rete e delle tecnologie connesse, il voyeurismo sul web rappresenta una forma moderna di questo disturbo, che coinvolge l’osservazione segreta di individui attraverso mezzi digitali. I voyeuristici possono spiare la vita persino arrivando a scaricare video, stories o immagini postate sui profili in questione.
Le parafilie comprendono fantasie, desideri o comportamenti ossessivi ricorrenti che coinvolgono oggetti inanimati, bambini o adulti non consenzienti. Così il Dsm-5 stabilisce anche il significato di voyeurismo. Questi disturbi possono diventare debilitanti e comportare rischi reputazionali. La gestione dei disturbi parafilici non è ampiamente discussa nella letteratura scientifica, in parte perché spesso queste forme di voyeurismo sono considerate come conseguenza di disturbi psicotici sottostanti. L'idea del voyeurismo digitale evoca molte connotazioni negative, specialmente in un'epoca come la nostra in cui la privacy viene tanto disprezzata quanto protetta. Molti si sono chiesti più volte da dove nasca questo bisogno compulsivo di spiare senza interagire o "guardare ma non toccare". La risposta va ricercata nelle profonde carenze relazionali che ogni individuo sviluppa nel corso della propria vita. Infatti, prima di diagnosticare questo tipo di disturbo, uno psicoterapeuta generalmente considera la storia personale del paziente, i suoi modelli di pensiero e le esperienze passate che possono aver generato una patologica mania del controllo. Metaforicamente parlando, questo fenomeno è molto Orwelliano. Siamo diventati una sorta di Grande Fratello in cui il nostro grande occhio è sempre presente nelle vite altrui. Bisognerebbe tuttavia tener presente che i social, molto spesso, tendono a manipolare la realtà circostante. O meglio: la modellano, come creta sotto mani virtuali. Le possibili derive a cui va incontro la nostra “società del controllo” sono fondate soprattutto sulla consapevolezza che non esista nessun luogo “digitale” in cui lo sguardo altrui non possa raggiungerci, come diceva il buon vecchio Orwell: “Big Brother is watching you!”