Dopo il Covid siamo diventati tutti bravi a parlare di disgrazie, soprattutto quelli della mia generazione - Millennials. Quelli che da giovani, quindi con occhi volenterosi e acuti, hanno vissuto la crisi economica (perenne), gli attacchi islamici del 2015, il Covid. E mo’ pure la guerra di Russia. Perciò quando ieri mattina ci siamo svegliati con i tweet e Ansa vari che annunciavano l’invasione dei territori ucraini da parte delle truppe russe, tutti erano già pronti ad affrontare la situazione. “Oddio un’altra guerra no”, “siamo appena usciti dal Covid (ah davvero, non lo sapevo?)”, “pray for Kiev”, “no adesso anche la Cina invaderà Taiwan”. Calma. Io mi sono svegliato, sono andato a lavoro, e fra le altre cose, per il suddetto, ho seguito delle sfilate di moda a Milano. E meno male.
Per quanto ciascuno abbia il diritto di vivere le narrazioni macroscopiche a modo suo, che è rispettabilissimo, c’è una netta parte della popolazione che comunque, anche se in territorio europeo si muovono carri armati e le mamme cuciono sui vestiti dei loro bambini toppe con il gruppo sanguigno dei loro figli, vivono senza l’assillo della guerra dietro casa. Non per essere bastian contrari, anzi la solidarietà è totale e incontrastata. Ma se dopo due anni di Coronavirus (peraltro ancora in corso, in Italia, almeno fino al 31 marzo), dopo i danni economici, dopo la strizza per le bollette di gas e luce, le persone pensano a divertirsi e a seguire un filo mentale diverso dalla narrazione mainstream dell’ansia da blitzkrieg, non è da stronzi.
La settimana della moda è l’evento perfetto. A Milano sono arrivati vip da tutto il mondo e nelle passerelle di questi giorni si sono visti tutti. Elodie, Kim Kardashian, Hunter Shaffer, Sharon Stone, Jared Leto, i sanremesi vari. Fra martedì e oggi, nessuno ha detto: “No, sto a casa devo seguire Mentana che mi parla della guerra in Ucraina”. A parte qualche studente fannullone o pensionato, o chi per forza deve seguire queste cose per lavoro, nessuno si è preso un giorno di ferie per studiare la situazione geopolitica internazionale. Anzi, la sera è andato pure al calcetto.
Milano moda donna era stato segnalato da mesi come l’evento a cui la comunità del comparto e la città guardavano come segnale di ripresa, come calamita per riportare verso il Duomo investimenti, buyer, celebs di ogni tipo. In pratica, un tentativo di riacciuffare, per quanto possibile - gli eventi sono molto contenuti negli inviti e ci sono pochissimi appuntamenti after shows - le settimane della moda pre-Covid. E in città, anche per chi non vive il settore, si respira un’aria diversa. I prezzi degli hotel e degli Airbnb sono più cari, si trovano meno taxi, alcune vie sono chiuse per degli eventi. Ma per par condicio, si vedono in giro anche molti più giovani, più fermento, più entusiasmo nei quartieri, più gente nei bar e nei ristoranti, molte più lingue alle fermate degli autobus.
E’ solo una sfortunata e triste casualità che nel mezzo di questa locomotiva per la moda italiana ci sia anche un despota russo che ha deciso di fare da solo un suo Risiko europeo. Che affligge tutti noi, per carità: sentire di macerie, razzi e morti non fa mai piacere - che sia a Gaza, in Armenia, in centro Africa - né ti dovrebbero far dormire bene. Eppure ci chiediamo: cosa ci spinge a soffrire così tanto dopo che abbiamo già languito per tanto tempo? In giro per Milano oggi era tutto normale, anzi, c’era anche più gente proprio per il sopracitato motivo. Dopo questo biennio massacrante soffrire un’ansia quotidiana non è necessario. La Milano fashion week è il correlativo oggettivo di come si stanno comportando le persone oggi. C’è dispiacere, c’è qualche faccia assente, ma si va avanti, si fa il proprio lavoro, si va a cena e si organizza la serata.
Ho ricevuto richieste di birrette in giro, di cene da prenotare per l’indomani, di show da seguire per lavoro. Ma allora non sono il solo a pensare che forse la guerra in Ucraina, chiaramente molto più vicina delle intifade mediorientali o dei rapimenti di massa centroafricani di questi anni, non sia motivo di disperazione. La situazione è tanto drammatica quanto poteva essere il Covid in Asia, che prima di arrivare in Italia già faceva decine di morti. Nessuno ne era veramente convinto, poi sappiamo come è andata - direte voi, ed è vero, meglio non ripetere l’errore: ma erano diversi il contesto, i numeri, la situazione. La situazione russa è tangibile, purtroppo, e anche se riguarda l’Italia, siamo convinti che l’irruenza con cui ha toccato il nostro giovedì 24 febbraio non sia abbastanza forte da prendere lo Xanax o annullare gli impegni.
Nessuno sta rinunciando alla propria routine per il bene della Russia o dell’Ucraina o dell’Unione europea. Tutti corrono allo stesso modo di prima. Anche gli scioperi dei trasporti sono confermati, sintomo che la realtà per noi va avanti. E la fashion week, questa macchina fatta di lusso e divertimento e soldi, continua a pompare. Come è giusto che sia. Anche se ogni tanto ci sentiamo in dovere di guardare le news.
Mi ricorda tanto la frase scritta da Kafka all’inizio della Prima guerra mondiale, nel 1914: “La Germania ha dichiarato guerra alla Russia. Nel pomeriggio, lezione di nuoto”. Touché.