Antonio Mancinelli, grandioso luminare della storia (e critica) della moda, ha condiviso sul suo profilo Instagram una curiosa dedica al compianto Roberto Cavalli, il grande designer toscano scomparso all’età di 83 anni. In questo post, Mancinelli offre ai suoi lettori (con una bella dose di sarcasmo) uno sguardo penetrante sulla vita e sulla carriera di uno degli stilisti italiani più controversi e iconici di tutti i tempi, noto per la sua audacia e camaleontica capacità di reinventare costantemente se stesso e il suo marchio. Dalla sua prima sfilata uomo nel 1998 fino al lento “declino”, Mancinelli riflette sulla passione per la vita di Cavalli e la sua genuinità come uomo, attento all’aspetto sensuale dell'esistenza di cui il suo brand è da sempre pura rappresentazione, tra look animalier e zebrati. “Oggi credo sia stato uomo sensibile, innamorato degli umani invitandoli a sedurre tutti”. Lo stile di Cavalli? Per l'esperto è “Ru-ru”. E sulle veline di Mediaset in “Cavalli dress” e i look che trasudano “sessitudine”... Ecco cosa ha scritto.
Ru-ru. Non frou-frou. Lo confesso: avevo ribattezzato così lo stile di Roberto Cavalli, ovvero: “ruggito ruspante”. Perché suvvia, diciamolo: agli inizi della tardiva carriera come industriale creativo, nelle asettiche riviste di moda dove si aggirava in cerca di consigli non si andava giù tanto leggeri. “Organizzi dei tè con le sue amiche ricche”: che sventatelli eravamo. Ci sembrava eccessivo, molto Billionaire e un po’ Cafonal di Dagospia, identificabile con un’Italia godona e festaiola da berlusconismo in trionfo. Vestiva Cavalli la Santanché solo al terzo o quarto lifting; s’inguainava in pelle Cavalli superstretch una Parietti Alba allo zenith della bellezza; sognavano uno scosciato “Cavalli Dress” le veline di Mediaset; le star di Hollywood si sigillavano dentro sete drapé stampate così bene da venir richieste pure da Gianni Versace, sua guida spirituale. Spirituale in senso stretto: quando, nel ’97, si ritirò dalle scene causa fine vita per morte violenta, fu Cavalli a prenderne il posto con una sessitudine esibita che faceva arricciare il naso alle fan di Giorgio prima e di Miuccia poi. Ci appariva come l’alfiere di un’imprenditoria panterona, naïf e guascona, con l’Havana acceso, i party con gli invitati sgrappolati sui cuscini animalier (che rubavamo) nel Just Cavalli dentro la Torre Branca a Milano o nella faraonica tenuta toscana. Fu Franca Sozzani, con Anna Dello Russo ma soprattutto la seconda moglie Eva, ad aiutarlo nel rifinire un linguaggio oltraggioso ma tecnicamente perfetto, anche nelle collezioni maschili. Ricordo la prima sfilata uomo nel ’98 al Pitti con lo styling, se non sbaglio, di alecalascibetta. Un turbinio testosteronico di toraci, rettili, alligatori e fiori impressi sullo chiffon, cinture gioiello, pellicce lunghe: puro arrapamento sartoriale. Poi il lessico cambiò, si addolcì, si raffinò pur rispettando “quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”. Poi il declino, la vendita, la malattia, l’amore per la vita fino ad avere un figlio di un anno, lui che è morto a 83. Oggi credo sia stato uomo sensibile, innamorato degli umani invitandoli a sedurre tutti. A cominciare da sé. Ed era onesto: ha pagato sempre le tasse. Una rarità.