Challengers di Luca Guadagnino con Zendaya, Josh O’Connor e Mike Faist è l’esperimento più riuscito del suo regista (dopo la gemma incastonata per sempre nel cinema mondiale di nome Call me by your name) e tra le dramedy più brillanti e sexy di tutti i tempi. I protagonisti di questa storia sono Tashi Duncan (Zendaya, Euphoria), una enfant prodige del tennis divenuta allenatrice di suo marito Art Donaldson (Mike Faist, West Side Story), fuoriclasse reduce da una serie di sconfitte, e il bello e "rotto" Patrick Zweig (Josh O'Connor, La chimera), un tempo suo migliore amico ed ex fidanzato di Tashi distrutto dalla vita. Challengers, come evoca lo stesso titolo, è il racconto di una contesa tra due ragazzi per una donna e/o per il titolo di nuova promessa del tennis. Nell’epoca dell’ascesa del dio Sinner in cui la comunità internazionale e nostrana appare “eccitata”, in costante fermento per il mondo del tennis, Guadagnino coglie l'occasione per esplorare lo stretto rapporto tra lo sport e la sessualità fuori e dentro il campo, lo spogliatoio, fuori e dentro i protagonisti di questa storia. La sfida tra Art e Patrick ha inizio durante l’adolescenza, da quella volta in cui i loro sguardi hanno incrociato i famelici occhi di Tashi, e l'hanno voluta per una notte o per tutta la vita. In Challengers si respira testosterone (i nudi maschili, grazie alla fotografia di Sayonbhu Mukdeeprom, sembrano rubati a una pittura a olio) e ossitocina (l’ormone che favorisce il desiderio sessuale). Il film è più hot di un film porno senza avere neppure una scena di nudo con i tre protagonisti. Ma perché ci fa questo effetto?
L'attrazione fisica e la performatività nel tennis
Uno studio condotto da Linn-Brit Bakkenbüll, ci spiega perché realmente non esistono differenze tra attrattivà fisica e prestazione atletica. Per farla semplice, se noi crediamo che un tennista sia sexy oltre che forte, l'insieme delle nostre sensazioni e idee su di lui o lei saranno avvertite non solo dal giocatore ma anche dagli sponsor e dagli allenatori. Questa logica risponde all'Effetto Pigmalione e allo Stereotipo dell'attrattiva. Nel primo caso, se noi dagli spalti o incollati al telefono o alla tv, bavosi e febbricitanti, crediamo che quel giocatore sia forte e pure bono, in qualche modo comparteciperemo alla sua ascesa. Secondo questi due effetti, per la ricercatrice, le prestazioni dei tennisti in campo aumenterebbero con l'aspettativa riposta in loro da parte delle persone, portandoli a livelli di competizione più elevati, a una migliore qualità degli allenatori e a un maggiore sostegno da parte degli sponsor. Ok, morale della favola? Tenniste e tennisti, se percepiti come attraenti, potrebbero essere o diventare anche più forti. Nei limiti del possibile, of course.
Tutto è sexy
Tornando al film, Guadagnino conferisce erotismo a più sequenze di Challengers senza esporre genitali, rendendo esplicito ciò che esplicito non è, perché coperto. A riscaldare ancora di più l’atmosfera è il ritmo, serrato, pulsante come di un cuore che si avvicina a un altro per la prima notte d’amore o sesso. Il montatore del film, Marco Costa: “Il ritmo di Challengers ha una sorta di stile a triangolo, per i tre personaggi. In questo film c’è una relazione d’amore triangolare - e il triangolo è una forma, quindi abbiamo cercato di seguire un linguaggio di forme durante il montaggio”. Triangolo nel montaggio e soprattutto nella forma del potere verticalissimo al cui vertice siede Tashi e ai suoi piedi Art e Patrick. Lei, donna potente e rappresentazione anche di un punto di contatto tra loro, ha i due ragazzi in pugno. E la musica? C’era una volta Luca Guadagnino che rivolgendosi ai due premi Oscar Trent Reznor e Atticus Ross disse: ’Perché non facciamo la musica come se fosse un concerto rave o una musica house?’. E così fu. È proprio la musica di Challengers, sexxxxxxy con ben 6 x come scriveva Guadagnino ai due musicisti in un messaggio, che spoglia i personaggi dei loro vestiti (seppur solo in apparenza). Peraltro abiti scelti con una cura maniacale dai costumisti, che hanno dato forma al quiet luxury, vestendo l'anima e la personalità di chi li indossa.
Challengers fa venire voglia di fare sesso, è vero e l'abbiamo già detto, ma anche di dialogare, di tornare a quello stato primitivo che una relazione invecchiata male conosceva, di riscoprire il mondo della sessualità e più in generale l'altro da noi. A risvegliarci dal lento letargo, dalla primavera dei nostri legami è Luca Guadagnino, lo stesso regista che ha reso eccitante persino il morso di una pesca in Chiamami col tuo nome e una macabra danza in Suspiria. Sembra che il regista un po' troppo snobbato in Patria e celebrato, come spesso accade ai talenti italiani, in America (che sta già lavorando al suo prossimo film) sia una delle pochissime menti capaci di indagare l'eros senza servirsi per forza di scene esplicite e inutili. Perché la faccenda è ben più complessa e a volte non basta vedere dei pettorali belli sodi o un seno prosperoso per eccitarci, serve altro. Quell'altro è Challengers.