Se Edoardo Purgatori fosse rappresentato su un foglio di carta e con lui i personaggi che ha interpretato negli anni (è nel cast di La Dea Fortuna, Mine Vaganti produzione teatrale e Le fate ignoranti di Ferzan Özpetek), sarebbe probabilmente un mandala disegnato con tratti non troppo duri, magari con delle matite pastello con la punta poco temperata, morbida, visti gli uomini così diversi e così interessanti e sfaccettati a cui ha dato carne e voce. In un mondo che non crede più di tanto alle nuove giornate, come diceva Céline nel suo Guerra, l’arte è ciò che ci resta e di cui dobbiamo servirci per risolvere l’ignoranza, alleggerire la fatica e combattere il deficit dell’attenzione. In un sistema culturale in cui la musica deve essere pensata badando ai regimi di 15 secondi imposti da TikTok, il teatro potrebbe essere la sola vera soluzione per allargare le menti, specie quelle dei più piccoli. Edoardo Purgatori: “La cultura è un valore aggiunto che ti permette di viaggiare con l’immaginazione, di spaziare, di vivere più vite”. Purgatori in Flaminia, il primo film di Michela Giraud, è Alberto, un uomo “rotto” o meglio come lui stesso l'ha definito: egoista, infelice e perso. L'attore romano che pensa, parla, sogna e recita in tre lingue diverse (italiano, inglese e tedesco) e ha studiato a Londra, ci ha spiegato come sono messe le cose nello scenario cinematografico italiano e internazionale: “In Europa se ci fai caso ogni Paese ha più o meno due o tre attori spagnoli, francesi, tedeschi che vengono utilizzati. Per gli italiani è un po' più complicato, ma spero che a un certo punto saremo talmente bravi che non ne potranno più fare a meno!”. E sulla gavetta, il valore dell'educazione, Roma nord e i "legami speciali"... Ecco l'intervista completa a Edoardo Purgatori.
Edoardo, vieni da una famiglia d'arte, tua madre, Nicola Schmitz, è una storica dell'arte e tuo padre, Andrea Purgatori, è stato un giornalista ma anche sceneggiatore e attore. Quando e cosa ti ha fatto capire che il tuo mestiere sarebbe divenuto fare l’attore?
Per capirlo ci ho messo un po’ di tempo, ma sono cresciuto come dicevi tu in un contesto in cui mia mamma ci portava a teatro e mio papà al cinema, quindi era quasi normale per noi tre figli tornare a casa e andare a replicare quello che avevamo visto. Poi ti dirò, io ho iniziato a fare teatro nella scuola tedesca perché volevo provarci con una ragazza (ride, ndr) e alla fine su quel palco mi sono divertito e ho scoperto che recitare sarebbe diventata per me una necessità.
E la ragazza l'avevi conquistata?
No, mi ha dato il palo (ride, ndr) però il teatro ha conquistato me.
Oltre a serie tv e film hai fatto tanto teatro in questi anni. Secondo i dati pubblicati dalla Siae nel 2021 il teatro è tra gli ultimi posti come luogo scelto dai giovani. Come ti spieghi questo dato? Come si possono abbattere secondo te le distanze tra Gen Z e teatro?
Io ci ho provato per anni e lo faccio tuttora. Finita l’Accademia facevo il matinée nelle scuole, che per me è stata la vera gavetta. Nel nostro piccolo abbiamo portato testi come lo Zoo di vetro di Tennessee Williams e altre opere del teatro americano. In generale posso dirti che culturalmente se vai a Londra tutti vanno a teatro, io ho studiato lì e ho capito che per loro è la normalità, in Italia invece, nella nostra cultura, è il cinema, se vogliamo, a ricoprire questo ruolo.
Anche oggi con l'avvento delle piattaforme?
Diciamo che oramai andare al cinema è diventato un evento, è vero, temo che si vada in sala solo per vedere determinati film. Tornando al teatro invece, credo che il discorso dipenda un po’ dal progetto che si porta in scena, dalla storia che si propone al pubblico. Io ti devo dire la verità, di recente negli ultimi spettacoli che ho fatto sono venuti a vederci diversi giovani. C’erano persone (anche di trenta o quarant'anni) che mi dicevano “io ti seguivo dal film o dalla serie, non sono mai stato a teatro ma ti ringrazio perché ho scoperto una cosa”.
Deve essere stata una bella soddisfazione.
Sì, è vero. Devo dirti anche che dopo il Covid ho fatto 188 repliche di Mine Vaganti di Ozpetek e ho notato che dovunque andassimo lo spettacolo era sempre sold out. Credo che la gente avesse bisogno, soprattutto dopo la pandemia, di riscoprire l'arte e il suo legame con essa, di condividere con gli altri un’esperienza, una fruizione collettiva.
In queste settimane un pediatra di Torino ha prescritto per la prima volta ai bambini del suo comune di assistere a spettacoli dal vivo a teatro per curare la “carenza di cultura”. Cosa ne pensi di questa cosa?
La carenza di cultura la vai sicuramente a curare in questo modo o leggendo un libro, andando al museo e avendo persone attorno che ti facciano scoprire che la cultura è un valore aggiunto che ti permette di viaggiare con l’immaginazione e avere possibilità di spaziare, di vivere più vite. È un qualcosa che arricchisce la quotidianità, è come Matrix per me. Riesci ad avere chiavi di lettura stratificate, sia da un punto di vista storico che umano, sul mondo.
E da giovane papà come interpreti questa iniziativa rivolta ai più piccoli?
Sicuramente i giovanissimi dai 3 agli 11 anni che hanno problemi con l’attenzione ne gioverebbero molto. Qualche tempo fa ne parlavo con un mio amico cantante che mi diceva che aveva seri problemi perché le case discografiche lo costringevano a fare ritornelli di 15 secondi nelle sue canzoni così che potessero poi essere usate su TikTok. Ecco, di conseguenza anche i bambini se portati a teatro e se gli attori riescono a prendersi la loro attenzione (qui entra in gioco anche la bravura dell'artista) anche per un'ora poi sicuramente saranno invogliati a tornare e a immergersi in questo mondo ancora e ancora.
Hai studiato recitazione all’estero e hai recitato spettacoli e corti in lingua tedesca e inglese. Eri nel set anche di Woody Allen per To Rome with love. Con quale altro grande maestro di Hollywood ti piacerebbe lavorare?
Ce ne sono più di uno, sicuramente Martin Scorsese, ma anche: Christoper Nolan, Denis Villeneuve, Yorgos Lanthimos, Clint Eastwood anche Greta Gerwig. Il punto è che ogni regista ha il suo marchio di fabbrica e quando vai a girare un film con loro hai la fortuna di essere trasportato nel loro modo di vedere e leggere il mondo. Penso anche allo stile inconfondibile di Tim Burton, Alfonso Cuarón o Guillermo del Toro.
Pensi che il mondo del cinema internazionale si stia accorgendo dei talenti nostrani? Penso anche al grande successo di attrici come Simona Tabasco e Matilda De Angelis o registe come Alice Rohrwacher.
Si credo di sì, più da un punto di vista registico che attoriale direi. Come regista non devi per forza usare la lingua inglese per raccontare una storia (penso a quella più usata nel cinema occidentale), se guardi Paolo Sorrentino o Stefano Sollima c’è la possibilità di dare voce ai personaggi anche usando attori stranieri. Noi attori italiani invece abbiamo un problema. Credo che abbiamo perso una nostra riconoscibilità rispetto a come vengono raccontate le storie a livello mondiale. In Europa se ci fai caso ogni Paese ha più o meno due o tre attori spagnoli, francesi, tedeschi che vengono "utilizzati". Ecco, per gli italiani è un pochino più complicato, ma spero che a un certo punto saremo talmente bravi che non ne potranno più fare a meno!
Arriviamo a Flaminia, il primo film di e con Michela Giraud in cui hai recitato al fianco di tuo padre, Andrea Purgatori. Com'è stato condividere il set con lui?
È stato un sogno che si realizzava. Noi due avevamo iniziato a scrivere anche delle cose insieme che sarebbe stato bello un giorno fargli interpretare perché io me lo immagino bene come un caratterista, di quelli belli, anni Settanta, proprio perché negli anni secondo me si era creato un personaggio. Per quanto riguarda Flaminia è stato molto bello lavorare con lui, ovviamente oggi tutto questo ha un valore ancora più grande.
Film che Michela Giraud ha voluto dedicare anche a tuo padre.
Sì, a dire il vero l'ho scoperto durante la conferenza stampa. Mi hanno spoilerato che Michela Giraud aveva dedicato il film non solo alla sorella Cristina ma anche a mio padre e questo è stato un gesto che ha toccato molto me e la mia famiglia.
Un aneddoto dietro le quinte?
Quando cresci la figura paterna non è più solo quella, mio padre era diventato un amico a cui chiedevo consigli da padre a padre, essendo diventato genitore anche io, e sul set invece eravamo colleghi. Un giorno eravamo nella roulotte, nella classica pausa pranzo e stavamo mangiando i cestini. La notte precedente avevo dormito poco perché Pietro, mio figlio appena nato, ci aveva tenuto svegli e io volevo abbioccarmi - devi sapere che sono un campione di power nap - ma lui ci teneva tanto a farmi vedere il promo della puntata di Atlantide. Insomma, succede che io comincio ad addormentarmi e lui stizzito mi dice "quindi non ti piace” e io lì a spiegargli che mi ero appisolato solo perché avevo dormito poco. Ancora rido. (Ride, ndr)
Ci descrivi il tuo personaggio, Alberto, con tre aggettivi?
Sicuramente egoista, infelice e perso.
Che rapporto c’è tra Alberto e Ludovica, la sorella della protagonista?
C’è un rapporto speciale tra di loro. La cosa bella di questo film è che nell’ipocrisia e nella scalata sociale di Roma Nord, dinamica che si potrebbe trasporre ovunque, i personaggi sono rotti e soli e cercano di sopravvivere in un modo o in un altro aggrappati ai propri sogni o certezze effimere. Il personaggio di Ludovica proprio perché viene visto come “strano” o speciale (parola che non apprezzo quando si parla di persone con disturbi dello spettro autistico) è imprevedibile. E sarà proprio questa sua imprevedibilità sia nelle relazioni che a livello emotivo a rompere il guscio e l’armatura del mio personaggio Alberto e di Flaminia stessa. Ludovica ha la capacità di disarmarli e di fargli cadere tutte le loro facciate di dosso.
Poi quella tua straziante battuta verso il finale del film: “Per amare c’è sempre tempo”. È così?
Beh, solo una persona vecchia o meglio rassegnata alla vita può dire questa cosa. È una di quelle battute che ti danno delle finestre nell’anima del personaggio. Alberto, un ragazzo di 30 anni che dice questa cosa nel 2024 mi ha fatto chiedere come ragiona, come vive i suoi rapporti per arrivare a dire una cosa del genere. Frase che, se vuoi, esprime al meglio e racchiude perfettamente il rapporto tra Flaminia e Alberto, fatto di convenienza e di falsità di ogni tipo.
Hai interpretato uomini sempre molto diversi penso a Siccità di Virzì o a Le Fate Ignoranti di Ozpetek, Romantiche di Pilar Fogliati e ora a Flaminia. Qual è il personaggio che assomiglia più a Edoardo Purgatori?
Ho fatto talmente tante cose diverse che ti posso dire che in ogni lato dei miei personaggi rivedo un po' me stesso, anche nel caso di Alberto. Non credo ci sia un personaggio che mi rappresenti più di un altro. Ti dirò che con l’età mi interesso sempre meno a dire “io sono fatto così”. Il mestiere che faccio mi porta a scoprire lati di me anche brutti. Insomma ti rispondo in questo modo: mi sento un po’ tutti e un po’ nessuno.