Abbiamo intervistato Pietro Sparacino, fra le voci più irriverenti, interessanti e dannatamente esilaranti del panorama comico italiano. Sparacino è stand-up comedian, autore, attore, (papà) e figlio di “Satiriasi”, il gruppo nato nel 2009 da un'idea di Filippo Giardina con la voglia di fare una satira adulta, cinica e dissacrante. Se oggi abbiamo la stand-up made in Italy è a loro che dovremmo dire “grazie”. Con quelle voci che non conoscevano imposizioni e “limiti”, la comicità italiana è cambiata per sempre. Ma oggi a distanza di più di quindici anni cosa permette a questa forma di spettacolo di sopravvivere? Qual è la sua forza? La risposta andrebbe probabilmente ricercata nell'abbattimento della quarta parete e soprattutto nel modo diretto e senza fronzoli con cui gli stand-up comedian si confrontano con il pubblico (pieno zeppo di giovani) su temi sociali fastidiosi come: il difficile rapporto tra i social e l’infanzia, le forze dell’ordine, la sessualità, eccetera. E il politicamente corretto? Sparacino: “Il 'non si può più dire niente'? Una minchiata. Io dico tutto, scrivo tutto. Bisogna solo fare i conti con la sensibilità delle persone che è cambiata e per fortuna direi su alcune tematiche”. Davanti agli occhi abbiamo un ragazzo molto rispettoso, determinato e tenace (e ce lo dimostrano i suoi bei vent'anni d'esperienza nel campo) che ha saputo cogliere lo spirito del tempo e trovare un modo per scherzare sull'amarezza di questo mondo. Al motto di “Fa ridere ma anche riflettere” ecco l'intervista completa all'artista che, ammettiamolo, tutti noi vorremmo come amico.
Ciao Pietro, il tuo tour “Il Ventennio” prodotto da The Comedy Club sta facendo il giro d’Italia. Come sta andando?
Si, il tour è già iniziato, è partito lo scorso 31 gennaio da Firenze, ho fatto una quindicina di date e devo dire che sta andando molto bene con diversi sold out. Questo spettacolo mi diverte tantissimo e a quanto pare, diverte tantissimo anche il pubblico! Sono felice.
Non avevamo dubbi… Ci puoi spoilerare qualcosa?
Beh, il titolo è eloquente. “Il Ventennio” è una celebrazione dei miei vent’anni di carriera e dei miei “insuccessi” (ride, ndr).
Senti ma viste le numerose gag e meme attorno alla premier Giorgia Meloni, penso alla sua foto iconica con la testa sotto la giacca (ripresa come copertina del The Wall Street Journal, nda) o alle sue battute su Michael Jackson e i suoi sogni da bambina, non è che i politici oggi vogliono fare gli attori?
Guarda, io non so se i politici vogliano fare gli attori comici, però nel caso in cui volessero commetterebbero un grandissimo errore perché semplicemente non sono sul piano di fare battute. Fare il comico e il politico sono mestieri molto diversi, se una cosa la dice un comico ha un peso, se la dice un politico ne ha un altro. Infatti Beppe Grillo insegna che le stesse cose dette da comico e dette da politico hanno un effetto completamento diverso. Che ti devo dire, provano a rubarci il lavoro! (ride, ndr) E devo dire anche male perché non ci riescono, sono molto goffi. Credo che la politica in questi anni si sia spostata molto più sulla comunicazione che sulla “ciccia”, sulla sostanza. Se dovessi ripensare al passato ecco, diciamo che non ce li vedo Aldo Moro o Berlinguer a tirarsi su la giacca in quel modo o a fare quelle battute lì.
Quali sono stati degli stand-up comedian a cui ti sei ispirato o i tuoi punti di riferimento?
Stand-up comedian a cui mi sono proprio ispirato non saprei, posso però dirti quali sono gli artisti con cui ho condiviso un percorso importantissimo della mia carriera, che hanno segnato anche la nascita della stand-up in Italia mi riferisco al progetto “Satiriasi” del 2009 realizzato con Filippo Giardina, Giorgio Montanini, Francesco De Carlo, Saverio Raimondo, Mauro Fratini, Velia Lalli e Daniele Fabbri. Ecco quegli anni lì sono stati una vera e propria palestra professionale, di satira e di vita. Siamo stati un gruppo davvero forte e coeso in quei cinque anni bellissimi. Sono certo che quella sinergia abbia dato grandi frutti a ciascuno di noi.
In Italia siamo arrivati tardi rispetto agli altri Paesi sulla stand-up?
La stand-up comedy in Italia ha preso piede negli ultimi quindici anni, prima c’erano degli stand-up comedian senza chiamarsi così, penso a Paolo Rossi o Beppe Grillo, loro lo erano “ante litteram”. Sul presunto ritardo del genere in Italia posso dirti che la comicità è figlia della cultura del nostro Paese. Considera che noi veniamo dalla commedia dell'arte, da Petrolini, da Walter Chiari e ce n’è voluto di tempo per cambiare i paradigmi culturali legati alla comicità. Questo è stato aiutato moltissimo dal fenomeno internet. I primi due anni di Satiriasi noi abbiamo faticato tantissimo a trovare il nostro target, quando è esploso il mondo digital e hanno cominciato a circolare anche i video degli stand-up comedian anglosassoni con i sottotitoli, ecco quello è stato il momento in cui i giovani si sono accorti che c’era della roba italiana di stand-up comedy.
Qual è la forza di questo genere?
La stand-up è figlia dei tempi in cui nasce, ogni forma d’arte lo è, cresce e si sviluppa, se prima avevo bisogno di Franco Franco e "Chi è Tatiana", oggi quella roba lì la percepiamo come qualcosa che non fa più ridere. È normale, negli anni Ottanta c’era Drive In poi è nato Zelig e a seguire la stand-up. Il problema di quest'ultima forma di spettacolo è che oggi è diventata molto pop. Noi con Satiriasi avevamo un approccio satirico oggi è diventata mainstream. Noi siamo nati per rottura e rivoluzione ora si trovano una prateria e una tavola apparecchiata.
Sarà mica colpa del politicamente coretto?
Io non penso che viviamo nell’epoca del politicamente corretto, credo che siamo nel periodo in cui la gente fatica a capire il contesto quando si possono dire certe cose e quando no. “Il non si può più niente" è una minchiata. Io dico tutto, scrivo tutto. Bisogna solo fare i conti con la sensibilità delle persone che è cambiata e per fortuna direi su alcune cose. Per questo motivo trovo paradossalmente più stimolante questo periodo perché puoi giocare con le sensibilità di chi ti ascolta, se vent’anni fa si poteva fare comicità omofobica e misogina, oggi non si può più fare e ben venga che sia così! Se trent’anni fa le battute becere sulle persone trans provocavano ilarità oggi è giusto che generino nel pubblico un “ma che stai dicendo?!”. Questa non è la dittatura del politicamente corretto è la sensibilità umana che si è evoluta, che ha fatto un passo in avanti.
Ci sono diverse scuole di pensiero.
Bisogna vedere di cosa si parla. Il “non si può più dire niente” di Pio e Amedeo ha un peso, perché se tu il “non si può più dire niente” lo interpreti come un “voglio salire sul palco e dare del frocio a un omosessuale” non lo puoi dire e non ti puoi neanche infastidire se una persona si sente toccata nella sensibilità, dopodiché il comico è libero di dire ciò che vuole, infatti io nei miei spettacoli non mi autocensuro, ma devi essere disposto ad accollarti le responsabilità di ciò che dici. Quindi più che dittatura del politicamente corretto, viviamo in un periodo in cui la gente non si vuole prendere la responsabilità di ciò che dice.
Com'è nata la tua collaborazione con Comedy Central?
La collaborazione è nata nel 2013 con il gruppo Satiriasi. I 'gotha' di Comedy Central sono venuti a vederci live perché noi non andavamo a fare i provini, chiedevamo alle persone di venire direttamente ai nostri spettacoli nei locali. A serata conclusa però Giorgio Montanini un po' alticcio si rivolse a questi due personaggi importanti di Comedy dicendo: “Non siamo noi che abbiamo bisogno di voi, siete voi che avete bisogno di noi”. Ecco, diciamo che dopo questa battuta di Giorgio io e Filippo Giardina ci siamo guardati e detti: “Ecco, non se ne farà niente”.
E invece...
E invece è nata la nostra collaborazione alle prime cinque edizioni di stand-up con Satiriasi e diversi special. Poi da qualche tempo collaboro con Comedy Central anche per quanto riguarda la scoperta di nuovi comici, io mi occupo della direzione artistica di questo progetto che si chiama Open Mic Tour e partiremo mercoledì prossimo da Milano.
Nei tuoi spettacoli hai spesso parlato delle forze dell'ordine. Oggi com'è la situazione? Penso ai fatti di Pisa in cui alcuni giovani manifestanti pro Palestina sono stati presi a manganellate dalla polizia.
Come siamo messi oggi? È un periodo un po’ particolare anche se ora sto ascoltando tanti podcast sugli anni Settanta, Ottanta. Ho finito ieri sera di sentire Raffaela Fanellli sull’Omicidio Pecorelli, beh, diciamo che oggi siamo messi meglio rispetto a quegli anni, però siamo comunque messi male. Anche se onestamente penso che non ci sia un disegno politico dietro perché le manganellate ci sono e ci sono sempre state a prescindere dal governo in carica. Non credo ci sia un inasprimento delle forze dell’ordine solo perché c’è la destra al governo. Semplicemente sono forze dell’ordine e quindi a una certa prendono il manganello perché c’è una incapacità di comunicare di fondo.
Affronterai ancora questo argomento nel tuo spettacolo?
Sì, torno a parlare di forze dell'ordine, di polizia postale e di alcune contraddizioni che sono sotto gli occhi di tutti. C'era un pezzo che facevo anni fa in cui raccontavo di manifestanti e poliziotti che si scontravano e che scoprivano alla fine tornando a casa che il poliziotto che aveva menato il ragazzo era suo padre. Posso dirti che le forze dell’ordine sono i figli di questa società, li abbiamo fatti, educati e cresciuti noi, magari sono stati ragazzini che sono stati menati. Peraltro, è una forma di educazione che da papà vedo molto diffusa...
Cioé?
Guarda in un vecchio spettacolo facevo questa domanda al pubblico: “Che grado di parentela bisogna avere per picchiare un bambino?”. Perché se sei il genitore nessuno ti dice niente, se sei un estraneo sei accusato di violenza. Poi ho riproposto questa cosa sui social e ho scoperto che tanti giustificano le botte ai bambini come sistema educativo, cosa che per quanto mi riguarda è una vera e propria follia anche solo poterlo pensare. “Ogni tanto ci vuole” sento dire, e che vuol dire? Qual è il limite di “ogni tanto ci vuole”? Perché se ogni volta il limite è soggettivo possiamo spostarlo avanti sia nelll'educazione dei figli sia quando si parla di contrattazioni diplomatiche, di guerre...
Salvini, in un servizio mandato in onda su La7 a proposito degli scontri di Pisa, ha detto: “Se mio figlio gridasse ‘sbirro infame’ ci penserei io”
Forse dovremmo chiedere ai figli di Salvini quali sono i metodi educativi del padre.
A proposito di genitori-figli, te sei un papà, hai parlato spesso di nascita dei figli e l'avvento dei social nei tuoi monologhi. Cosa ne pensi della condivisione di scatti dei bambini sui social? Sei contrario? Penso anche ai Ferragnez che hanno cominciato a postare foto dei propri bambini solo di spalle.
E infatti nel mio monologo cito i Ferragnez come punto di riferimento: “Se sapessero che non ho mai pubblicato foto di mia figlia mi denuncerebbero per mancato 'sfruttamento' di minore sui social!”. (Ride, ndr). Mi hanno fatto molto ridere queste ultime foto con i figli di spalle. Secondo me li hanno immortalati di nuca e postato questi scatti perché non lo avevano mai fatto (ride, ndr), ci mancava solo quella parte del corpo da vedere dei figli.
Alla Camera è sbarcato un provvedimento volto a combattere la mania dei genitori di pubblicare le foto dei minori sui social.
Sì mi pare di aver letto che c'è una proposta di legge. Io sono contento che si stia andando verso questa strada, perché secondo me si stava perdendo un po’ il metro pubblicando di continuo foto di bambini in qualsiasi momento della giornata non è rispettoso nei confronti dei bambini.
Non hai mai condiviso foto dei tuoi bambini?
Quando mio figlio era piccolo con l’avvento dei social qualche sua foto l’ho messa anche io, ma della seconda figlia che ha tre anni ce ne sono due: una in cui si vede solo il suo pugno chiuso e un'altra in cui è ripresa di nuca. Non ho bisogno di pubblicare foto di mia figlia per fare l’acchiappalike e sfruttare la sua immagine.
Tema di cui hai parlato anche nel tuo spettacolo Occhiaie.
Esatto, in Occhiaie citavo il fatto che purtroppo ben il 50% del materiale ped*pornografico viene scaricato dai social. Ecco, se devo pubblicare una foto di mio figlio che si fa il bagnetto, che per me rappresenta una cosa innocua per qualcun altro potrebbe non esserlo. Senza considerare poi il fatto che magari mio figlio da grande se la possa prendere con me per il fatto che ho condiviso una sua foto alla mercé di tutto il mondo. C’è un mio collega Filippo Giardina che di questa tematica negli anni ne ha fatto una battaglia, scrivendo monologhi e spettacoli interi su questo argomento. Si è preso questo tema molto a cuore nonostante non abbia figli, non sia padre.