Concita De Gregorio ha debuttato come attrice protagonista nel nuovo spettacolo Origine del mondo, ritratto di un interno di Lucia Calamaro con Lucia Mascino e Alice Redini. Sexy (che abiti!) vera, brava. Concita conquista anche gli spettatori più scettici. Il suo personaggio? Se stessa. Concita De Gregorio si racconta e “usa” l'opera riadattata (nel 2011 nasceva la prima versione vincitrice di tre premi Ubu) di Calamaro per dare sfogo ai drammi moderni, ai nervosismi che si schiudono che hanno il sapore della depressione, per raccontare il rapporto faticoso e turbolento con il passato e con una Madre, poi una figlia che assomiglia tanto a una psicologa capace di ascoltarla, che prova a distrarre l'insofferente da un malessere che la disturba ogni giorno. Concita è quello che ci pare d’aver visto in tre ore di spettacolo, la stessa che a La Repubblica ha dichiarato di aver ritrovato sul palco polveroso e profumato d’esperienza e di legno: “La felicità, il sogno e la cura”. Concita e in generale i personaggi dialogano non solo tra loro ma anche con le cose. E qui l'aspetto veramente figo dello spettacolo che è forse diretta conseguenza de Origine del mondo, ritratto di un interno: il trattamento riservato agli oggetti. Le tre donne sono indaffarate, frenetiche, litigano, se la prendono con gli elettrodomestici, danno loro la colpa della propria instabilità. Nei tre atti (Donna melanconica al frigorifero, Certe domeniche in pigiama e Il silenzio dell’analista) fa da sfondo, a questo io che si confronta e si cerca, una scenografia luminosa (sempre di Calamaro), fatta di palette pastello, che rende tutto armonia visiva, un piacere per gli occhi, con tonalità che vanno dal bianco al giallo e al blu, e scelgono il lilla e un riflettore giallo per un finale in cui ci si comprende (finalmente). Ok, ma allora cosa c'è che non va?
In un testo per il programma di sala, Lucia Calamaro scrive: “Indago la coscienza di una Persona in lotta con la depressione. Che ne uscirà, ma non sarà facile. Quello che lei ne sa, quello che in fondo a lei significa e a cui appartiene, malgrado e aldilà di lei; esploro gli stati d’animo mortificati di una Figlia adultizzata, la sua assenza di modelli, la sua tenacia; tratteggio l’indifferenza, la rabbia e l’impotenza di tutti gli altri, quelli che si ritrovano a gestire una persona depressa, senza sapere come. Intanto, diversamente, ma certo si vive”. A non convincere del tutto non è Concita, ma la versione che hanno creato di lei. L'instancabile viaggio nell’introspezione umana affascina e stampa sulla fronte di chi guarda frasi come “l’ospedale è ciò che mi consola”. E che bomba. C'e solo un '"ma". Si ha l'impressione che lo spettacolo che ha un’idea interessante in mente, un cast ottimo (Redini in un ruolo impossibile e una Mascino squisita), una scenografia minimal ma curata e intrigante, vada un po' troppe volte a ravanare in ciò che ha già funzionato a teatro e al cinema e così perde un po' di originalità. I tre atti partono benissimo ma poi arriva il verbo, tanto, troppo verbo. Ci sono parole, parole, parole a volte superflue (alcuni latinismi) che ingombrano e sembrano voler insegnare qualcosa a qualcuno, parole che, se fossero state recise prima del tempo, avrebbero aiutato gli sdraiati sulla poltrona a non distrarsi facendosi la continua domanda: “Cosa mi ricorda quello che sto vedendo?”. Sì, perché volenti o nolenti, alcune scene di Casa De Gregorio hanno riportato indietro lo spettatore di anni e anni a quei tentativi di indagine che hanno reso Nanni Moretti, Nanni Moretti. Alcune battute hanno il suo odore, anche se provengono da una voce di donna. (“Cos’è che mi definisce?” o “A me non ascolta nessuno” di Concita ci fanno tornare alla mente quel “A me chi farà coraggio…nessuno…..?” di Aprile ecc). Peccato però che lui, il regista di Monteverde con questa storia non c'entri niente.