La moda, quasi per definizione, si modifica a seconda del tempo e della realtà. Talvolta, però, i cambiamenti partono dal suo interno. Sembra questo il caso della nuova decisione di Valentino di chiamare Alessandro Michele alla guida della maison dopo l’uscita di Pierpaolo Piccioli. Una scelta che ha lasciato perplesso qualcuno, non tanto per i dubbi sul direttore creativo, quanto per un più generale rimescolamento di alcuni marchi. Antonio Mancinelli, scrittore e critico di moda, ha dedicato un post su Instagram a questo tema: “Perché prendere Sabato De Sarno, ex massimo discepolo di Valentino e metterlo a capo di Gucci col rischio di “valentinizzarlo”, se poco dopo alla maison della ‘V’ arriva Alessandro Michele, colui che ha di fatto ridato vita al brand toscano, col pericolo di un Valentino ‘guccificato’?”. Come scrive nel post, Mancinelli ha ripreso lo spunto di una sua ex studentessa che aveva fatto notare “che nello squassato panorama di direttori creativi che vanno, vengono e talvolta ritornano, c’è un’aporia”. Uno scambio di direttori creativi, quindi, che sarebbe sintomo di una confusione di fondo interna all’industria. O magari, si chiede ancora provocatoriamente Mancinelli, “un baratto rituale tra corporazioni del lusso?”. Dei tentativi di sistemare un congegno che, in realtà, avrebbe bisogno di un intervento più profondo per essere aggiustato. Peraltro, nel mercato dei direttori, spesso vengono dimenticati alcuni nomi che invece richiederebbero più attenzione (Mancinelli cita Riccardo Tisci tra questi). Un “tagadà creativo” fine a se stesso, che rivela un volontà non tanto di risolvere il problema strutturale, quanto la manifestazione della “preoccupazione di come apparecchiare i tavoli per la cena del Titanic che di controllare perché non funzionano più i motori”. Nell’immagine evocata da Mancinelli, i motori del Titanic-moda sono in avaria anche a causa del prezzo di certi vestiti, “così oscenamente costosi che l’intero sistema sembra sempre più irrilevante”.
La moda, infatti, sembra essersi dimenticata della classe media, che è “svanita” nella nebbia del “quiet luxury” (del lusso discreto), di cui però gli “altospendenti” sono già stanchi. “Così collezioni intere rimangono invendute e i megamarchi si sostengono su fragili zampette commerciali di accessori, profumi, make-up. Si gioca alle tre carte con direttori artistici deportati da una casella all’altra tra crolli di fatturati e di nervi, spaesamenti estetici ed economici”, ha proseguito ancora Mancinelli. E allora ecco che l’idea del lusso, per il critico, deve tornare “a essere ricerca destinata a pochi, da modulare poi in varie declinazioni”. Pierpaolo Picciolo che lascia Valentino, l’ingaggio di Alessandro Michele al suo posto: movimenti che sono metafore della condizione dei piani alti delle maison, abitati da “persone che dicono di amare la moda senza aver capito che non equivale a vendere uno yogurt o un imbuto”. Alcuni esempi virtuosi, tuttavia, ci sono, come per esempio Rei Kawakubo, stilista giapponese elogiata per il suo “brillante merchandising variato e semplificato in varie linee per Comme des Garçons”. Una delle poche luci in un periodo oscuro. Saprà la moda ritrovare la ragione?