Giorgio Armani detto Re Giorgio è stato il Re Sole della moda. Dunque un sovrano assoluto, dalla questione dell'asse ereditario, per sua volontà rimasta ancora insoluta, alla mania di scegliere personalmente ogni dettaglio di qualsiasi cosa, dai vestiti alle zollette di zucchero con la sua A impressa su, servite all'Armani Hotel in una suite da 13k a notte. È il complesso messianico se non di un totalitarismo aziendale, di un assolutismo che si accompagna al culto del leader. Il silenzio di fronte alla stampa che non veste Armani, il funerale in forma privata mentre è stato indetto il lutto cittadino. E la reazione dei giornali, delle autorità, del pubblico contiene tutto il bigottismo dei sudditi. Quei sudditi che chinano il capo di fronte al bello e al cattivo tempo, si mettono in coda, una coda chilometrica per la camera ardente del loro padrone spirituale, e chi indossa l'uniforme del dipendente, ovvero qualche pezzo dell'ultima collezione primavera estate, piange come se si trovasse in Corea del nord, al funerale di Kim Jong Un.

L'uniforme non è certamente militare e soddisfa tutti i voleri di Giorgio Armani che "non vuole sfilate al suo funerale" recita il Corriere della Sera come una preghiera laica da dedicare alla memoria del compianto pioniere della moda mondiale, come se si trattasse di un dittatore da compiangere. Ma Jep Gambardella non mentiva quando diceva che il funerale è un evento mondano. E proprio per questa ragione quella mondanità va mantenuta privata, esclusiva, perché non bisogna lasciar godere i cronisti della bellezza del funerale di un re. Quasi come un satrapo che si vergogna della propria mortalità, ma non quella del corpo, quella dell'anima. Massì, il corpo diamolo in pasto ai dipendenti, che hanno la precedenza, tutti vestiti con gli ultimi pezzi della collezione e poi ai pensionati che non lavorano, agli studenti che non studiano e non lavorano e non guardano la tv, ai giornalisti, quegli schifosi giornalisti che arriveranno luridi alla camera ardente, di fronte all'ennesimo feretro, cinici, pronti a recitare la preghiera o lanciare una bestemmia scritta nera su bianco.

E mentre la coda lunga quasi ottocento metri scorre lenta, come mossa da un nastro di fabbrica, e si allunga, un'elegante e anziana signora dal cappello a tesa corto, completo nero con una spilla arancione di un fenicottero sul petto, anelli d'oro, un fiocchetto rosso al collo e borsetta di tela, per sbaglio si è messa in fila con i plebei, ma viene immediatamente riconosciuta da una bionda dello staff. Anch'ella indossa un completo nero, ma non di Armani. La senescente e canuta signora verrà poi accompagnata all'ingresso del teatro Armani da alcuni uomini della security, passando di fronte ad un bar dove chi, già deposta una rosa sulla bara di Re Giorgio, si attovaglia per una bella colazione vegana. All'uscita del teatro, poi, una donna al centro di un gruppo di persone racconta di aver creato un museo sulla moda nella storia, dal corsetto al burqa, poi gli astanti si scambiano numeri di telefono, parlano della copia di alcuni contratti, boooh! È l'inizio del trono di spade foderato in seta nera. Un'occasione di networking. Ma pure di lutto sincero, perché chi piange non lo fa come di fronte al feretro di Stalin (o forse sì?), ma anche perché ci ha lavorato a stretto contatto per anni e non certo perché nutre ambizioni smisurate ora che tutto sta per cambiare, o per finire.

E poi non c'è solo gente vestita all'ultimo grido, ma pure parecchi poveri cristi malconci. Un pelato con un jeans e una scarpa da ginnastica, la giaca da motociclista e il figlio tenuto per mano viene squadrato dalla testa ai piedi da chi invece da dietro ad occhiali avvolgenti, ovviamente Armani, storce il naso, dissimula il ribrezzo verso la gente che si veste male. Poi c'è pure chi ci prova a vestirsi bene, ma non ci riesce, con accostamenti bizzarri tra canottiere strappate, pantaloni larghi neri, scarponcini Dr Martins, ma occhiali armani, quasi a voler armonizzare una melodia stonata. La security, quella che respinge i giornalisti che non appartengono alla stampa griffata, indossa completi neri, ma non Armani. Eh per forza, commentano, per permettersene uno dovrebbero lavorare un mese intero, però le mutande quelle sì che le hanno. Li crediamo sulla parola.

