Che si fottano tutti. Così Toto Wolff conclude, in un grido che sa di liberazione, la rimonta storica di Lewis Hamilton in Brasile nella Sprint Race di un sabato eterno, fatto di attese e comunicati, che già sembrava dare per sconfitto il sette volte campione del mondo in questo mondiale assurdo e indimenticabile. Ma la sfida non è finita finché non è finita, e il re certo non è morto a Interlagos. Non per colpa di una leggerezza del suo team, di un squalifica arrivata per irregolarità in qualifica, per gli ennesimi punti persi - e regalati al suo avversario - dalla sua scuderia. La squadra perfetta, tedesca e imbattibile, che non assomiglia più a se stessa e che adesso Lewis è chiamato a portarsi sulle spalle.
Lo ha sempre detto “we win and we lose together” ed è arrivato il momento di dimostrare che ci crede davvero. Si vince e si perde insieme, e quando le cose vanno male da una parte, tocca correre ai ripari. Partendo ultimo in una garetta di soli 24 giri, Hamilton sulle spalle si è portato il mondo intero: gli errori del suo team, la squalifica, il sorriso beffardo del suo avversario che si aggira nel paddock, i fischi di tutti i tifosi in giro per il mondo che sono stanchi, di vedere vincere sempre lui, che vogliono il nuovo, il giovane, il diverso. Si è caricato tutto addosso, da qualche parte tra la punta delle scarpette tecniche ben allacciate e il casco viola, giallo e verde, onore e devozione al suo Ayrton brasiliano. Ha impacchettato tutto e ha corso, come pochi, pochissimi, nella storia di questo sport hanno dimostrato di poter fare.
Ha una macchina che è un fulmine, è vero, monta una PU parzialmente nuova e più prestazione, è vero, ma c’è qualcosa che con i cavalli non ha niente a che fare. Ed è la fame, straordinaria e spaventosa, che Lewis Hamilton dimostra ancora di avere.
La stessa di quel Toto Wolff furioso che in team radio gli urla: “Che si fottano tutti”. Tutti gli altri, tutti quelli che li vogliono sconfitti e già ballano sui loro cadaveri ancora caldi. Ma questi leoni non sono morti, e a Interlagos lo hanno dimostrato. Il mondiale per loro è tutto in salita, con Hamilton che nonostante la rimonta fino alla quinta posizione domani scatterà decimo, causa la penalità da scontare per la sostituzione del motore, e Max che sornione già immagina il suo bottino di punti diventare sempre più grande, man mano che le gare che li dividono da Abu Dhabi diventano sempre meno.
Ma non importa, perché chi ha fame non si arrende mai. Che si fottano quindi, tutti quelli che non sono loro. Chi non ci crede, chi non ci ha mai creduto e chi invece smette di crederci proprio ora. Che si fotta Chris Horner, si sarà detto Toto Wolff, così sicuro di sé, con il suo aplomb inglese e la sua sicurezza gentile. Che si fotta Max Verstappen, si sarà detto Hamilton, quell’olandese bambino che non conosce pressione, paura, invidia. Che così poco assomiglia al Lewis della sua età, fascio di nervi e sentimenti, e che forse proprio per questo non capirà mai.
Che si fottano tutti, tutti quelli che non sono loro. Perché il mondiale è aperto, e il re non è morto.