ottimista: “Spero che il nostro Governo tiri fuori gli attributi e pretenda che questi tornino. Ma sta già diventando una tragica farsa”
Il vicequestore Sebastiano Vinci, allora dirigente del Commissariato di Primavalle, venne ucciso a Roma all’età di 44 anni il 19 giugno 1981, con numerosi colpi di arma da fuoco esplosigli contro da distanza ravvicinata mentre si trovava a bordo dell’autovettura di servizio. L’attentato, accuratamente pianificato, fu rivendicato dalla “colonna romana” delle Brigate Rosse. Tra di loro c’era una dei nove brigatisti arrestati in Francia, Roberta Cappelli, detta Silvia, classe 1955, condannata all’ergastolo per quell’omicidio (oltre che per quelli del generale Galvaligi e dell’agente Granato).
Per il fratello Aldo quell’orrendo episodio ha avuto una coda quasi altrettanto dolorosa: “Per diverso tempo – racconta – per consolarmi ho pensato che mio fratello perlomeno fosse morto sul colpo, senza soffrire. Invece, per dire delle combinazioni della vita, quando sono andato a Roma per visitare la targa in suo onore per caso ho incontrato una persona che all’epoca era salita sull’ambulanza assieme a mio fratello: quella persona mi ha detto che Sebastiano non è morto subito, ma ha sofferto prima di morire, ed è morto durante il trasporto”. Aldo Vinci non aveva mai parlato. Lo fa per la prima volta con MOW in 11 minuti di telefonata. È il fratello minore di Sebastiano, unico parente rimasto del vicequestore.
“Ho molta poca fiducia che questi tornino in Italia. E comunque, semmai, chissà quando”: Aldo Vinci vorrebbe almeno un pizzico di giustizia. In pensione dopo una carriera in banca (la stessa che avrebbe potuto fare il fratello se non avesse lasciato il posto per fare il poliziotto), abita con la moglie in centro a Palermo, in un bel posto dove si possono vedere le navi partire e dove ci si può godere il sole, anche se a volte arriva quella che lui chiama “la vendetta di Gheddafi”, sotto forma di sabbia sparata dal vento. Quella è l’unica vendetta di cui parla.
“Non è questione di vendetta: di cosa ci possiamo vendicare ormai? Ma – argomenta – mi pare assurdo sentir parlare di perdono, quando neppure i preti ormai hanno queste grandi idee perdoniste. Chi si dovrebbe perdonare? Qualcuno che va a sparare alle spalle? Non si tratta di gente che abbia affrontato un pericolo o un combattimento. Questa è gente che arriva, piglia uno alle spalle e peraltro sempre in macchina, dove uno non si può neanche muovere. Moralmente sono semplicemente dei miserabili e spero che facciano la fine di chi è moralmente miserabile, ossia che scontino la loro condanna. Tutto il resto, il perdono, la grazia o quant’altro, sono buffonate e mi pare anche assurdo che se ne parli. Che perlomeno si facciano qualche anno di carcere. Almeno uno, a fronte di tante vite distrutte o rovinate. Ma finché non vedo non credo, perché evidentemente ci sono motivazioni del passato che ancora si trascinano fino all’oggi”.
Nessuna vendetta, ma nemmeno pietà: “Si dice che sono vecchi – dice l’ultimo rimasto della famiglia del vicequestore, destinata a finire con lui non avendo lui figli – ma pure io sono vecchio, anche più di loro, e da oltre quaranta mi è stato portato via un fratello e nessuno ha pagato per questo: siamo tutti invecchiati, solo che noi siamo invecchiati senza che giustizia sia stata fatta. Di conseguenza non provo pena nei confronti di queste persone. Non si può che considerare questa gente una schifezza e di conseguenza come ci si può impietosire davanti all’età avanzata o all’eventuale malattia di qualcuno di questi?”
Aldo Vinci però non è molto ottimista: “Spero che il nostro Governo tiri fuori gli attributi e pretenda che questi tornino, anche se purtroppo tutta questa gran fiducia non la ho. Parlano di due-tre anni e comunque in generale ci credo poco. Quando avverranno i fatti, allora ci crederò, ma fino ad allora non mi fido, anche perché siamo un Paese affetto da bontà costituzionale. O interessi, sia quello che sia. Ci saranno processi, psicologi, certificati di malattia. Rischia di diventare, come sta già diventando, una tragica farsa”.
Come se lo ricorda, Aldo, suo fratello Sebastiano? “Mio fratello era uno con le palle. Un bel giovane, un bell’uomo, ed era uno che aveva lasciato il lavoro in banca, dove avrebbe potuto fare carriera, per fare il poliziotto, un mestiere che gli piaceva. Le Brigate Rosse lo avevano già minacciato a Torino e quindi venne trasferito a Roma, al Commissariato di Primavalle, dove le minacce sono proseguite fino all’esito finale. Avrebbe potuto avere una bella vita, e colpendo lui indirettamente hanno colpito anche sua moglie, che è caduta in depressione e nel giro di poco se n’è andata anche lei. Sono rimasto solo io, non c’è più nessuno. L’unico ricordo che mi è rimasto è la sua bella tomba a Roma, per comprare la quale mio padre spese una fortuna vendendo persino una casa. Nella tomba ci sono ancora tre posti liberi. Uno per me, uno per mia moglie… possiamo ospitare qualcun altro. Uno delle Brigate Rosse lo ospiterei volentieri”. Lo dice ridendo, ma l’amarezza è tanta.