“Mia mamma mi diceva sempre ‘sei solo te che fai così, solo te’ quando la facevo incazzare. E ci sono cresciuto con questa cosa. Poi è diventata una canzone” – L’ha raccontato Vasco Rossi che, in un’altra occasione, ha pure raccontato quand’è che ha partorito “Siamo solo noi”. Quando, cioè, è nata veramente: dopo una figura di merda bestiale e un gran pianto di rabbia. Era oggi, di 43 anni fa. Mentre un giovane Vasco s’atteggiava a rockstar in un dancing di un paese vicino Zocca - quindi a due passi da casa - una cassa spia l’ha tradito: “C’ero saltato sopra, ma la cassa s’è mossa e sono caduto in avanti. Come una merda. Lì ho continuato a cantare, ma tornando a casa piangevo di una rabbia incredibile. Mi dispiaceva, perché vicino a casa ci tieni a fare bene”. Un testo figlio, quindi, del contrasto e della tempesta emotiva di chi gioca a fare il duro, ma una sensibilità ce l’ha e pure un certo orgoglio delle radici.
E meno male che è caduto: perché quel pianto e quella rabbia hanno animato la mano che, per dirla alla Branduardi, s’è poi armata di penna e plettro per scrivere “Siamo solo noi”. La colonna sonora di quelli senza santi né eroi. L’inno di un popolo senza terra cresciuto con mille mamme che gli dicevano “sei solo te che fai così, solo te”, un popolo d’individui, sempre orgogliosamente soli anche in mezzo agli uguali, che poi c’ha creduto d’essere solo veramente. U-N-I-C-O. Ma non solo te, ormai solo noi. Senza terra, quindi, e pure senza tempo. Perché è vero che le canzoni stanno bene in ogni fase della vita, ma solo gli inni sono veramente eterni. Soprattutto un inno scritto subito dopo la presa di coscienza che la rivoluzione è qualcosa che esiste solo nella fantasia degli egualitaristi risentiti. Il ’68 era naufragato da poco, i sessantottini s’erano già riciclati nella peggior feccia intellettualoide e arrivista che costituisce tutt’oggi il cancro di questo Paese. Insomma, un tempo in cui s’era riusciti a fallire anche il tentativo di far fallire il precosituito, mentre quelli che venivano dopo crescevano sentendosi dire “sei solo te che fai così, solo te”.
Sconfitti, sempre. Con la giustificazione in tasca, ma senza usarla. Tanto dietro c’era il fallimento e davanti il niente o, peggio ancora, la pochezza. Delle azioni, delle opere e pure delle omissioni. Sì, perché Siamo solo noi è pure una preghiera, oh! A lasciare che le cose succedano, al futuro che arriva lo stesso, al muoversi secondo le passioni sapendo che, tanto, sbagliare è così straordinariamente umano da elevare concretamente l’esistenza. Senza ascetismi di sorta. Con la passione per religione e l’ossessione per integralismo. E pure senza quel materialismo che, però, non atterrà mai agli uomini. Anche lui, Vasco, voleva fare il duro che salta sopra le casse, ma poi, toccati i denti per terra, ha pianto perché “ci tenevo a fare bene”. Incoerente? No, maledettamente umano. Come dovrebbe essere un dio. Mentre quel giro di basso si avvicina, si fa insistente, martella e apre la scena alle parole. Semplici, quasi infantili, sfacciate e timide nello stesso momento: “Siamo solo noi, che andiamo a letto la mattina presto e ci svegliamo con il mal di testa. Siamo solo noi, che non abbiamo vita regolare, che non ci sappiamo limitare”. E che neanche vogliamo, però. Perché tanto chi si accontenta, anche di un toast, che bisogno ha di limitarsi? Un modo per tirare fuori le gambe, per non morire di fame (che non è solo quella da cibo) lo si trova sempre. E al limite, se anche si muore presto è lo stesso!
Perché poi la verità vera, soprattutto per quelli che considerano “Siamo solo noi” il capolavoro assoluto e definitivo di Vasco, è che tranquillo non ci vuole morire nessuno. Si tende al lamento, continuo e costante, senza voler accettare che la serenità che si persegue, che la tranquillità a cui si ambisce, sono qualcosa che rifuggiamo. Vivo perché sto incasinato. E tutti i casini, i pensieri, le pene grandi e le soddisfazioni piccole ci fanno stare bene, perché dimostrano, come altrimenti non saremmo in grado di dimostrarci, che respiriamo ancora. E che se respiriamo non è finita e prima o poi c’è una piazzola di sosta, oppure una curva da prendere a gas aperto e vita persa o un rettilineo in cui darglielo tutto. Anche l’adrenalina è defaticante.
Poi, certo, tutto cambia e ogni respiro è diverso da quello prima e da quello dopo. E anche noi. Me lo ricordo quando, sbarbatello, “Siamo solo noi”, anche lei classe 1981, è diventata qualcosa nella mia vita. Rimanendoci, ma senza essere mai la stessa cosa. Io tatuaggi non ne ho: odio le definitività e dico che le odio perché in verità mi fanno paura. L’unico per sempre che accetto - e che mi commuove invece di farmi fuggire - è “sono padre”. Figuriamoci se uno così potrà mai avere un tatuaggio. Però se fossi stato uno capace di mettersi addosso qualcosa per sempre il mio tatuaggio sarebbe stato proprio “Siamo solo noi”, magari il passaggio “tra demonio e santità è lo stesso, basta che ci sia un posto”. Ho un braccialetto che è il mio tatuaggio, il simbolo che non tolgo, una sorta di fede al polso che mi lega a un “noi” e a un “mio”, e c’è scritto proprio “siamo solo noi”.
Perché quella canzone - che oggi fa 43 anni esattamente come io farò 18 anni per la ventiduesima volta tra poche settimane - l’ho incontrata tanti “me stesso” fa. Prima rivoluzionario, poi in evoluzione e, adesso, evoluzionario. Che non lo so bene cosa significa, ma mi piace e rende l’idea del tirare avanti, ma con un po’ di poesia. Bukowski c’ha bacato il cervello. “Trova ciò che ami e lascia che ti uccida”. Pensiero romantico. Ma non profetico. Perché mentre ciò che amiamo è impegnato ad ucciderci ci ferisce; mentre ci ferisce ci fa male e mentre ci fa male ci accorgiamo di non amarlo più. Perché ci ha fatto male e ci ha feriti. Dimostrando che Tabucchi aveva più ragione di Hank: “Il senso sta nei ghirigori”. E lo vorrei dire ai miei figli, ma non so se è il caso. Però posso fargli ascoltare “Siamo solo noi”, per spiegargli che a volte “non avranno più niente da dire, vorranno solo vomitare e non avranno voglia neanche più di stare ad ascoltare”. Perché non mi va di alimentare disillusione e perché disillusi lo sono solo i morti. Perché vorrei che ci provassero sempre e che imparassero ad amare i tentativi almeno quanto gli obiettivi.
Ecco perché in “Siamo solo noi” c’è pure un sacco di speranza: trovare è sempre e solo un fortunoso incidente, ma cercare, ricercare, è il senso sempre, anche quando ci ripetono “sei solo te che fai così, solo te”. E si finisce per sentirsi soli. Che non è vero, perché ce ne sono di più. E non sono neanche così pochi. Chi? Quelli che cercano. In tutti i modi, anche con disperazione e non sapendo esattamente cosa, purchè nella consapevolezza che da qualche parte, non troppo lontano, c’è quella piazzola di sosta, quella curva da prendere a gas aperto e vita persa, quel rettilineo in cui darglielo tutto. Senza santi né eroi…solo noi! Mettendoci tutto, sempre!
“Sangue, sudore e lacrime volevo chiamare l’album, poi era un po’ crudo. Però per darti un’idea. Sangue, sudore, lacrime, ci devi mettere tutto. Non puoi scherzare. Non è come fare un tema. Se non ci metti tutto, anche l’onestà non viene fuori pura"