Daniel Craig non ha dubbi, intervistato in occasione dell’uscita dell’ultimo film No Time To Die risponde così alla domanda su la possibilità che a sostituirlo nei panni del famoso agente segreto possa non essere un uomo. Negli ultimi tempi si era infatti parlato di una possibile svolta al femminile della saga con l’attrice Lashana Lynch, che in questo ultimo film indossa i panni dell’agente Nomi, come futura 007.
L’ultima di una serie di rimaneggiamenti di storie, film e serie tv in chiave più inclusiva che però hanno avuto come risultato solamente imbarazzanti inesattezze storiche e trame forzate. Vedi il caso Bridgerton, la popolare serie tv Netflix ambientata in una utopica età della reggenza inglese tra pizzi, merletti, improbabili nobili di colore. A quanto pare Dopo le licenze poetiche ci sono pure le licenze storiche.
Che poi come spesso accade non è il fine che è sbagliato ma il mezzo. Siamo tutti d’accordo che sarebbe anche ora di aggiungere un po’ di diversificazione e punti di vista differenti dalla solita offerta di tv, streaming e cinema. Per favore, basta donne protagoniste esclusivamente di commedie romantiche e simili, non se ne può più di storie in cui le minoranze etniche fanno solo da contorno di “colore” ai veri personaggi principali. È vero, la solita solfa ci ha annoiato a morte da parecchio, ma la soluzione non deve però essere quella di snaturare i soggetti o rimaneggiare accadimenti storici.
007 è sempre stato un uomo, da quando nel 1953 Flaming scrisse il primo romanzo sulle avventure di James Bond. Perché mai farlo diventare una donna? A questo punto si potrebbe pure pretendere una versione di Bridget Jones al maschile o una re edition del classico di Louisa May Alcott: Piccoli uomini. Ma che senso ha? Non sarebbe meglio pensare di raccontare più storie al femminile o da prospettive differenti? Dice bene Daniel Craig: "Ci dovrebbero semplicemente essere parti migliori per le donne e gli attori di colore”.
Basta con ste quote di minoranza obbligatorie tanto per dare un contentino alla gente. È un po’ come quando a scuola la maestra obbligava i maschi a far giocare con loro anche le femmine, ottenendo come risultato solo imbarazzo e fastidio generale. Nessuno vuole sentirsi infilato a forza in un contesto che non gli appartiene. Raccontiamo invece storie di contesti diversi anzi, facciamole raccontare a chi quei contesti li conosce bene. Forse in questo modo avremo effettivamente un’offerta più varia e veramente inclusiva.