È il 10 maggio del 1924 e da Milano parte la dodicesima edizione del Giro d’Italia. Si tratta di un Giro destinato a rimanere nella storia perché con il numero 72 (lo stupore per gli appassionati di Smorfia napoletana) partecipa anche Alfonsina Morini Strada, la prima e unica donna ad aver partecipato a un Giro insieme agli uomini. A lei, alla sua vita e alle sue sfide lanciate al maschilismo sportivo ha dedicato un romanzo Simona Baldelli (Alfonsina e la strada, Sellerio) che abbiamo raggiunto per parlare di Alfonsina, ma anche di tanto altro. Dal gender gap nello sport fino a Giada Borgato che grazie a un po’ di lungimiranza della Rai (ogni tanto!) ha insegnato a molti uomini (pronti a scattare in piedi al suo primo errore) come si commenta lo sport in televisione.
Come nasce l'idea e la voglia di raccontare la vita di Alfonsina Strada?
Io sono un’appassionata di sport, anzi, potrei dire che ne sono profondamente innamorata. Il motivo principale è che, ai miei occhi, lo sport incarna costantemente la sfida dell’essere umano con i suoi limiti, sia fisici che mentali. Nel momento in cui l’atleta cerca di correre il più forte possibile, di attraversare un campo con la palla incollata al piede, tuffarsi da altezze impensabili, sta spostando un po’ più in là non solo i suoi propri confini, ma quelli di tutta l’umanità. Afferra uno spicchio di eternità, e questo non smette di commuovermi.
E la Strada, a proposito di confini spostati e di eternità, può dire molto…
Alfonsina Morini Strada oltrepassò doppiamente questi confini, come atleta e come donna, perché riuscì a squarciare la discriminazione più radicata (nello sport e non solo): prendere parte a una gara riservata solo agli uomini, il Giro d’Italia, nel 1924. Quindi è un personaggio che fa parte del mio bagaglio culturale ed emotivo da sempre. Mi è tornata in mente con prepotenza qualche anno fa, mentre rivedevo il videoclip di “Alfonsina e la bici” il brano che i Têtes de Bois hanno dedicato ad Alfonsina Strada in cui Margherita Hack (alla quale ho dedicato il mio romanzo) interpreta la corridora. Vedere quelle immagini e l’allegria bambina e sognante che Margherita Hack, in tuta da meccanico, esprimeva armeggiando con una bicicletta e pensare “voglio scrivere un romanzo ispirato alla vita di Alfonsina Strada”, è stato inevitabile.
Chi era Alfonsina e perché dovrebbe essere più conosciuta?
È stata la prima, e unica, donna ad aver partecipato al Giro d’Italia maschile. Ma i motivi per cui andrebbe conosciuta dal grande pubblico vanno al di là di questo episodio. Alfonsina ha attraversato due Guerre Mondiali, il Ventennio, la ricostruzione del nostro paese e dell’Europa tutta, si è esibita in mezzo mondo (è stata anche una vedette del circo Barnum)… insomma, è stata una testimone diretta di più di mezzo secolo di storia del nostro continente ma, se questo non bastasse, è stata anche una pioniera in materia di diritti e pari opportunità. Non solo per le donne, ma per l’umanità intera, per tutti coloro che non si rassegnano a rimanere nello stretto perimetro in cui la sorte, o il caso, li hanno circoscritti.
Come fu accolta la Strada in quel giro del 1924?
All’inizio con diffidenza, era molto mal tollerata, come tutti coloro che si trovano a fare qualcosa “per la prima volta”, che sovvertono in qualche modo un ordine costituito. Poi si guadagnò sul campo rispetto e considerazione, quando fu a tutti chiara la tenacia che la muoveva.
Correva col numero 72, un numero che rappresenta lo stupore per la Smorfia napoletana…
Non sapevo i questo significato nella Smorfia, ma sono certa che la sua presenza al Giro suscitò non poco stupore.
In un passaggio del libro scrivi questo: “In Francia le cicliste non venivano giudicate male come in Italia dove ancora venivano chiamata donnacce”.
Be’, non dico nulla di nuovo se affermo che, allora come oggi, i luoghi comuni e le discriminazioni circa le donne, specie in campo lavorativo, in Italia sono molto più radicati. È una sorta di arretratezza congenita, purtroppo, ma personaggi come Alfonsina possono aiutare a rompere i tabù che permangono. E questo vale non solo per la questione femminile, ma per i diritti civili cui avrebbero diritto tutte le minoranze, la pluralità di genere, temi etici, sociali. Nello specifico, cento anni fa, in Francia, le donne che volessero fare dello sport la loro professione, non subivano lo stesso condizionamento sociale e politico delle donne italiane. Ti pare che sia cambiato molto da allora a oggi?
Penso ai recenti fatti della Partita del cuore e non posso non chiederti sullo sport in Italia e il gender gap.
Scrivere un “romanzo storico”, ammesso che Alfonsina e la strada lo sia, non significa parlare del passato, ma fare un passo indietro per osservare il quotidiano da una giusta distanza e poter valutare se, in questo arco di tempo, le cose sono cambiate o no circa l’argomento trattato. E non parlo solo di sport, ovviamente. Le differenze di trattamento esistono, eccome, a partire dalla parità di opportunità e di trattamento salariale, per esempio, di rappresentanza nella vita economica, sociale e politica. L’accesso al potere, in definitiva.
C'è un nome simbolo che ti porti dietro e che incarna questa lotta?
Credo che, avendo scelto di trattare questi temi scrivendo di Alfonsina Strada, io abbia scelto lei fra le tante, tantissime, che avrebbero potuto incarnarli. L’ho preferita, forse, perché è davvero partita dal nulla, non era solo poverissima, ma era nata e cresciuta senza istruzione, se non due anni alle elementari, non aveva amicizie influenti, una rete di protezione sociale, nessun membro della famiglia che contasse qualcosa. Eppure è stata in grado di costruirsi sogni e un immaginario impensabile anche per persone con una nascita più fortunata, preparazione culturale, denaro.
Parlando di sport e generi la sensazione è quella della coperta troppo corta. Qualcosa di scoperto rimane sempre…
Lo sport è un paradigma della vita. Il giorno in cui questa coperta sarà in grado di avvolgere anche il mondo del lavoro, della politica, dell’informazione e dei media, ne avremo in abbondanza anche per coprire le atlete.
Sempre citando il tuo libro:
- “Voglio partecipare la giro di Lombardia”
-"Signora, ma c'è la guerra e non sono previste gare femminili”
- “Parlo di quello degli uomini che parte la settimana prossima!”
- “Ma voi siete una donna”
Quanto è incredibilmente attuale un dialogo del genere, oggi?
Eh… c’è bisogno di ribadirlo?
Ciclismo e donne. La Rai ha abbattuto un muro considerevole all'ultimo Giro ingaggiando Giada Borgato come voce tecnica. Non so se sei d’accordo ma è stata la più precisa e puntuale commentatrice degli ultimi anni. Come ti è sembrata?
Certamente ho seguito il Giro. E ho potuto constatare che Giada Borgato è stata un valore aggiunto. Settimane fa sono stata intervistata da un altro giornale in proposito; in quell’occasione dissi che la sua conduzione era un ottimo segnale per tutti, per le donne che si occupano di sport, che provano a farsi strada e trovare una collocazione. Una donna che acquisisce un ruolo visibile è un passo avanti per tutti, non solo per le donne. Porta avanti tutto il genere umano. Aggiunsi anche che, se avesse commesso un solo piccolo errore, sarebbe stato notato assai prima e con più puntiglio di quelli dei colleghi maschi. È lo stigma dei pionieri, delle pioniere, specialmente. Devi fare non solo tanta fatica per compiere la tua impresa, ma devi avere anche una saldezza e una presenza d’animo per far sì che queste cose non ti distruggano. Giada Borgato ha chiuso la bocca da subito a coloro che avrebbero voluto irriderla sottintendendo che la cronaca di un evento sportivo non è “roba da donne”. Ne sono molto contenta, per lei e per tutti.
C'è un'altra storia di sport (e di vita) che ti porti dentro e che ti piacerebbe raccontare?
Oh, sono piena di storie, di sport e non solo. Aspetto di capire quella che mi preme con più urgenza.