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Alfonso Sabella,
il magistrato che ha catturato
Brusca e altri mafiosi,
ha fatto ricorso
contro l’Italia
alla Corte europea.
Ecco perché

  • di Matteo Cassol Matteo Cassol

28 giugno 2021

Alfonso Sabella, il magistrato che ha catturato Brusca e altri mafiosi, ha fatto ricorso contro l’Italia alla Corte europea. Ecco perché
L’ex pm di Palermo all’epoca del pool di Giancarlo Caselli chiede giustizia per una vicenda legata al G8 di Genova, dove era stato chiamato a coordinare le attività del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) anche nella caserma di Bolzaneto, quella dove ci furono le violenze: in primo grado è stato condannato a pagare oltre un milione di euro “per non avere vigilato” e tutti i suoi beni sono stati ipotecati. In appello il conto è sceso a 56 mila euro, ma l’ipoteca è rimasta. Per questo Sabella si è rivolto al tribunale dei diritti dell’uomo contro lo Stato italiano: “Mi hanno condannato a morte – dice il magistrato – senza darmi la possibilità di difendermi. Ci sono stati giorni in cui ho pensato al suicidio”.

di Matteo Cassol Matteo Cassol

Alfonso Sabella, magistrato siciliano di 58 anni, si sente sostanzialmente un perseguitato, messo all’angolo, a suo dire, per non aver mai aderito ad alcuna corrente. Così, è sempre la sua convinzione, non solo non ha fatto la carriera che avrebbe potuto fare uno che all’epoca del pool antimafia di Palermo aveva contribuito da protagonista alla cattura, tra gli altri, di Giovanni Brusca e Pietro Aglieri, di Leoluca Bagarella, di Nino Mangano e di Vito Vitale: “A un certo punto – ha raccontato Sabella a Domani – io mi sono sentito davanti a un plotone di esecuzione e ci sono stati giorni in cui ho pensato al suicidio. E adesso sono anche sconvolto per quello che ho fatto: io contro l'Italia, non lo avrei mai pensato. Ho presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo contro lo stato italiano, per il G8 di Genova mi hanno condannato a morte senza mai darmi la possibilità di difendermi: nemmeno un testimone. Nemmeno un cazzo di testimone mi hanno ammesso in due decenni”.

Sabella era stato mandato a Genova in vista degli "arresti preventivi" annunciati con l'arrivo dei black bloc da varie parti d'Europa. È lì a coordinare le attività del Dap (il Dipartimento amministrazione penitenziaria) anche nella caserma di Bolzaneto, dove agenti di polizia penitenziaria compiranno violenze sui manifestanti: “Sabella – riferiscono Attilio Bolzoni e Nello Trocchia su Domani – viene indagato per abuso d'ufficio e d'autorità, perché quelle violenze non ha le impedite. Ma il magistrato quando vengono commessi gli abusi non è a Bolzaneto. Così chiede di essere sentito per spiegare, chiede l'acquisizione dei tabulati telefonici per provare come, al momento dei pestaggi, lui fosse altrove”. Ma a quanto pare il traffico era stato cancellato: “Si oppone persino alla richiesta di archiviazione avanzata dai pubblici ministeri perché vuole essere giudicato e assolto nel merito, ma il giudice – esponente della corrente di Magistratura democratica – archivia macchiando per sempre il suo percorso: «Mi infama gratuitamente scrivendo che ero responsabile delle violenze per colpa e non per dolo». Quell'archiviazione diventa il tarlo che segna ogni passaggio successivo della sua vita e arriva fino a oggi. Nella richiesta della procura di Genova si mette nero su bianco che stazionava sempre nella caserma San Giuliano (dove nessuna violenza è stata commessa) e andava a Bolzaneto raramente e sempre «preannunciato perché scortato nei suoi spostamenti» ed è «verosimile che nel corso di queste visite (a Bolzaneto, ndr) non siano stati posti in essere alla presenza del magistrato singoli e specifici atti di violenza ai danni degli arrestati». Ma non basta a salvare il suo onore. Il Csm rallenta e poi blocca la sua carriera. Sabella presenta una memoria, evidenzia le anomalie nell'archiviazione, chiede di essere ascoltato, ma niente, ha le carte «sporcate» per quella formula sibillina nel provvedimento di archiviazione: colpa e non dolo. Poi scopre che la sua memoria spedita al Csm è sparita dal fascicolo”.

 

Quella formula del provvedimento d'archiviazione avrebbe incastrato Sabella in un fascicolo contabile: “La tesi è che il magistrato abbia provocato un danno erariale allo Stato italiano «per non aver vigilato». In primo grado viene condannato a pagare un milione e 132 mila euro. Poi, nel marzo 2019, gli viene notificato un «avviso di liquidazione» dall'agenzia delle entrate di Palermo con il quale gli chiedono il pagamento di 22 mila euro per l'iscrizione di una ipoteca giudiziale. Così scopre che i suoi beni, tutti, soni stati ipotecati”. Secondo Sabella “è la prima volta nella storia che il ministero iscrive ipoteca su una sentenza di responsabilità sussidiaria, non eseguibile ed è la prima volta nella storia che l'agenzia delle entrate chiede al debitore di anticipare le spese di iscrizione dell'ipoteca. Perché solo a me?”

In appello il danno si riduce a 56 mila euro. Sabella sostiene di non dover pagare nemmeno quelli perché “quella forma di responsabilità sussidiaria è un'invenzione giuridica della corte dei conti in concreto ineseguibile”, ma ciò che più il magistrato non si spiega è perché il Ministero mantenga ancora l'ipoteca su tutto il suo patrimonio: “Il Ministero dispone in cassa della liquidazione del magistrato, di gran lunga superiore ai 56 mila euro richiesti, eppure i suoi beni sono ancora tutti ipotecati. Così – conclude Domani –  Sabella si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Così Sabella è «contro l'Italia», per non affogare nella giustizia di chi non ha le spalle coperte”.

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