Da Piazza Cinque Giornate sono cinquanta metri, il quartiere è Guastalla. La Rotonda della Besana è lì, col suo giardino, storico e spazioso, mentre all'interno ha recentemente riaperto Rotonda Bistrò, che siamo stati tra i primi a visitare. Soprattutto però, siamo stati tra i primi a sederci a tavola per gustare la cucina dello chef stellato Tommaso Arrigoni elaborata da Andrea Villa con gli abbinamenti di Pasquale Formisano, fondatore del bistrò e appassionato di mixology. Così ogni portata è accompagnata da un cocktail, un twist, la rivisitazione del classico che si sposa con i piatti. La Rotonda ha riaperto da poco e lavora su tutto l'arco della giornata: nel pomeriggio la gente fa aperitivo, la mattina colazione, organizzano bruch e pranzi fino ad arrivare a cene ed eventi, come durante la Fashion Week. Andrea Villa, quando non anima i fornelli del locale, passa il tempo nel suo garage a sistemare le auto che sognava dalla sua infanzia e, se ci sono le gare, si incolla davanti alla televisione per vedere la MotoGP: “Su strada sono per le auto di produzione, ma a livello sportivo sono un grandissimo fan del motomondiale”, ci dice dopo la cena. Così abbiamo iniziato una lunga conversazione tra cucina, auto da teppisti e MotoGP.
Qual è tua visione della cucina? Chi assaggia un tuo piatto dev’essere stupito, sentirsi a casa… Che approccio hai?
“Innanzi tutto bisogna essere semplici e concreti. Poi arriva tutto quello che è il contorno, ma anche nelle cose più estreme una buona fetta di clienti devono essere in grado di conoscere e di capire. Chi magari non conosce va aiutato, portato all’interno di un percorso in cui capire come si può trasformare il cibo e tutto quello che vi è correlato”.
Come sei arrivato a fare questo mestiere? Dalla cucina passano in tanti, salire però non dev’essere semplice.
“Quando voglio qualcosa punto ad arrivarci, ci metto tutto me stesso. Per carità, sempre cercando di stare nel giusto e nell’onesto senza mai fare il furbo, ma punto ad arrivare”.
Qual è stata la prima delle tante porte che hai dovuto sfondare?
“Sicuramente andare contro i miei genitori, che mi volevano perito elettrotecnico. Mi hanno bocciato in terza superiore perché in tutto ciò che riguardava l’elettronica, i sistemi e così via avevo insufficienze pesanti. Ho guardato i miei genitori e ho detto loro che quello che volevo fare dalla terza media era il cuoco, oppure lavorare nel mondo delle auto. Adesso una è una passione a livello malattia, l’altra una professione”.
A La Rotonda Bistrot abbinate piatti e cocktail: ed è una scelta piuttosto rara, forse addirittura una sfida per te?
“Diciamo che la proprietà, in particolare Pasquale, ha una passione per la mixology, anche a bassi livelli di gradazione. Di conseguenza l’idea di abbinare un cocktail a un piatto ci fa uscire un po’ dal classico schema cibo e vino rimanendo però una proposta gestibile per l’intero pasto. Al di là dei sapori va bilanciata anche la gradazione, perché con quattro portate assieme a quattro cocktail si rischia di rovinare un pasto anziché accompagnarlo. Nella mixology invece si può davvero spaziare molto, dalle fermentazioni a prodotti diversi, che magari non nascono neanche come liquidi e su cui si fa estrazione. Il vino, al contrario, è un elemento puro, al di là delle uve che vengono scelte”.
Cosa unisce secondo te i motori alla cucina? A pensarci per un momento, forse velocità e precisione.
“Condivido completamente. E un’altra cosa, che magari a primo impatto può sembrare assurda, è la convivialità. La butto lì, se Bagnaia non avesse avuto dietro un grande box cosa avrebbe fatto da solo? Nulla. In cucina è lo stesso, può esserci lo chef più bravo, intelligente, estroverso e creativo, ma se non ha una brigata di una decina di persone che lavorano con lui non farà niente. Poi certo: velocità e precisione, a cui aggiungo metodo e disciplina perché anche nella cucina non esiste il lavoro dalle 9 alle 17, non esiste ‘non posso risolvere questo problema, devo andare’ e cose così”.
A proposito di Bagnaia, hai visto che dopo le vittorie chiedeva sempre un hot-dog? La potenza del comfort food.
“Se posso essere sincero al cento per cento io ho sperato fino all’ultimo in Bastianini. Bagnaia non si può evitare di conoscerlo, ma Enea mi è sempre piaciuto per il suo modo di fare, per i suoi risultati, per l’essere sempre in disparte e lontano dai riflettori. Ma nel concreto estremamente efficace, perché ha rischiato di vincere un mondiale al secondo anno”.
Facciamo un gioco, ti dico un pilota e tu vai con il piatto che gli prepareresti. Partiamo con Marc Marquez.
“Questo è veramente difficile. Forse gli preparerei una aglio olio e peperoncino, che non è semplicissima, per farla bisogna essere capaci altrimenti si rischia di esaltare troppo uno dei tre elementi fondamentali. Però gliela farei veramente molto piccante. Equilibrandola con l’aglio, ma piccantissima”.
Fabio Quartararo?
“Un salume. Perché mi sembra una persona semplice, però alla stessa maniera se si sbaglia qualcosa durante il suo percorso il risultato è negativo. Penso al 2020, quando ha perso prima la concentrazione e poi il titolo”.
Pecco Bagnaia.
“Forse per assurdo potrebbe essere qualcosa coi crostacei. Elegante già di suo, ma con una cattiveria che può essere quella del crostaceo, che se rosolato tira fuori quel gusto veramente intenso, come è stato quello che ha fatto lui. Arrivare a vincere da meno -91 punti… incredibile”.
Ed Enea Bastianini, di cui sei fan?
“Uno spaghetto al pomodoro. Uno dei piatti più difficili da fare, che però ti regala un’emozione e un gusto che resta per sempre”.
Valentino Rossi.
“Lui più che un piatto è proprio un libro di cucina. Io non lo nego, ho scelto dei ristoranti anche blasonati, ma era una priorità che fosse chiusi la domenica. Il motivo penso sia chiaro”.
Al Ranch cosa avresti cucinato?
“Una bella grigliata, birre in un cassone con tanti cubetti di ghiaccio e via. Anche perché forse un panino in un foglio di carta è la cosa migliore”.
Hai detto che segui le corse in moto ma che sei appassionato di auto. Che macchina hai in garage?
“Ho fatto qualche track day, ma sono appassionato di strade di montagna e ho una Subaru Impreza. La sognavo da quando ero alle elementari, dico solo che il test che mi aveva fatto innamorare dell’auto era di Michele Alboreto, giusto per farti capire quanto tempo è passato. Quattro anni fa sono riuscito a prenderne una. Usata, ma adesso ce l’ho. Di modifiche ne ho fatte poche, mi piace che mantenga il suo aspetto. Però qualcosa l’ho fatto. Ho dovuto fare un po’ di sacrifici, ma è stato un passo in avanti importante nella mia vita. Non ha certo prezzo e costi di gestione per tutti, adesso vederla nel box è incredibile. L’avevo comprata con 43.000 km, del 2007, prima vernice, mai incidentata. E adesso sto restaurando una Punto GT, prima serie”.
Ti piace proprio la macchina vera, quella ignorante!
“Ah, penso che entrambe le auto che ho nominato abbiano percorso una storia incredibile. Vuoi la Subaru per Sega Rally o la Punto GT per Gigi d’Agostino… sono estremamente correlate (ride)”.
Un tuo viaggio dedicato alla cucina dove lo faresti? In Giappone?
“Proprio lì. È un po’ il discorso della semplicità che facevamo prima, questo sushi che da noi ha spopolato così tanto si basa sulla lavorazione del pesce, c'è il rispetto della materia che dev’essere prima di tutto buona e poi la meticolosità, il metodo che hanno. Però ecco, loro sono molto schematici, magari noi uscendo un po’ dal binario riusciamo ad essere più elastici ed è una cosa bella”.
Cosa consigli a un ragazzo che fa l’alberghiero, o che magari è appena arrivato in cucina?
“Di crederci. Di crederci perché è un lavoro che ti permette di fare tutto quello che vuoi, sta solo a te decidere dove vuoi arrivare. Non esistono limiti. Ci sono posti ovunque nel mondo, devi solo scegliere tu quanto vuoi salire”.
Quanto conta il talento?
“Secondo me è una parte fondamentale. È come se fosse una sorta di programma che hai già dentro di te. Se tu sei talentuoso è come se ti venisse più facile, perché è già scritto. Che non vuol dire che non si possa imparare, ma è come un’allergia: se ce l’hai non puoi curarla”.
Che consiglio dai al te stesso degli esordi?
“Di continuare con la stessa grinta con cui ho iniziato e non aver paura di mettermi in gioco. Forse è uno dei più grandi limiti: il giudizio degli altri, la paura di sbagliare… Ma chi non fa nulla non sbaglierà mai, andrà sempre bene. Avere le palle ti porta ad essere più competitivo ovunque. Nella vita, nel lavoro, nelle relazioni. Ci sono volte in cui torni a casa e non vorresti mai tornare il giorno dopo. Questo però fa parte di un percorso e ci dev’essere anche quello, altrimenti si vive in un mondo che non è reale”.
Hai dei nuovi piani per La Rotonda?
“Al momento no. Adesso dobbiamo limare, è una realtà talmente nuova che modificare sarebbe un azzardo, non abbiamo una storia tale da poter dire cosa è gusto e cosa invece è sbagliato”.
Se ti chiedessimo di preparare un piatto, uno soltanto, per raccontare te stesso?
“Forse una guancetta di vitello brasata col cioccolato. Il procedimento è quello che si usa per qualsiasi ganassina, con la differenza che in questo si mette una punta di cannella, del cioccolato fondente amaro, ginepro e si fa andare per delle ore. Dopodiché va rosolata e si fa tirare molto la salsa, così che tutti i sapori vengano alzati. La carne è veramente tenera, diventa burro, ma i sapori restano estremamente decisi”.