“Ho incontrato Letizia Battaglia per la prima volta nel 1978 e da allora non ci siamo più lasciati”. Inizia così il racconto che ci fa Filippo La Mantia, cuoco-fotoreporter che abbiamo sentito dopo la notizia della morte della grande fotografa che tra le altre cose ha costretto tutti ad aprire gli occhi su una Sicilia che forse molti non volevano vedere, quella segnata dalla mafia. E ne abbiamo approfittato per sapere come sta andando il suo nuovo ristorante e per chiedergli se ha ragione Alessandro Borghese, convinto che il settore della ristorazione sia nei guai perché, sostanzialmente, i giovani non hanno più voglia di lavorare.
La Mantia, chi era per lei Letizia Battaglia?
“È stata una delle delle persone più importanti della mia vita, con cui ho mantenuto un rapporto costante, sempre e per sempre. E ovviamente per me era un grande punto di riferimento, una grande dalla quale tanto ho imparato e che tanto mi ha dato (e alla quale tanto ho dato). Abbiamo convissuto per anni nella stessa casa, quindi per me accanto a lei è stata proprio una crescita interiore enorme”.
Come ha saputo della sua morte? E come ha reagito?
“L’ho saputo stanotte quando sono tornato a casa dal ristorante. Come con mia mamma, che ha 83 anni, è ovvio che a un certo punto uno debba accettare che possiamo mancare, andare via fisicamente anche se non mentalmente, però in questo momento ho un vuoto. Pensare che non c’è più mi dà fastidio”.
Cos’ha rappresentato Letizia Battaglia nel campo della fotografia?
“È stata immensa. Era intuitiva, fotografava alcune volte senza logica organizzata. Per me lei era la disarmonia prestabilita. Una donna che quando uscivamo a fotografare riusciva a tirar fuori dei momenti assurdi, che io non avrei mai potuto intuire né fare. Ma questa è una caratteristica dei grandi, quelli che hanno delle marce in più in quello che fanno. Con il suo impegno per Palermo, non è mai voluta andare via, ha vissuto, è stata minacciata, è stata impegnata: quindi è stata una persona che rappresenta ancora oggi la mia città”.
Qualcosa che le ha insegnato in particolare e che si porterà con sé?
“Tutto. Tutto quello che faccio, ho 62 anni, e tutto quello che ho fatto l’ho fatto anche perché ho avuto una base importante che è stata Letizia. Lei quando ero adolescente mi ha fatto leggere centinaia di libri, mi ha portato a teatro, mi ha fatto conoscere grandi uomini e grandi donne, artisti, fotografi, attori, gente impegnate. Quindi devo a lei tutto, assolutamente”.
Qualcosa che si è portato anche nella professione di cuoco?
“Sono due ruoli totalmente differenti, ma uniti da una grande passione, che accomuna più o meno tutti. Per me essere fotografo, cuoco, musicista o motociclista è uguale”.
A proposito di cuochi, come sta andando la nuova avventura con Oste&Cuoco a Milano nel Mercato centrale?
“Il ristorante ha aperto da 12 giorni. È strapieno, la gente è felice di ritrovarci, la location è molto interessante, è un mix tra post-industriale, officina, design, architettura, quindi un pochettino il mio mondo, dove ovviamente sono circondato da fotografie”.
Si può dire che si stia ripartendo o…?
“Non si sa. Io vivo alla giornata, vado a braccio. Quello che ci aspetta non lo so più. Abbiamo avuto dei danni enormi a livello mentale, psicologico, lavorativo. E quindi oggi non voglio fare più programmi. In questo momento ho riaperto, vediamo cosa succede”.
In queste ore fanno discutere le dichiarazioni di Alessandro Borghese, secondo cui il settore della ristorazione vive grosse difficoltà perché sostanzialmente i giovani non avrebbero più voglia di lavorare (“Preferiscono tenersi stretto il fine settimana per divertirsi con gli amici. E quando decidono di provarci, lo fanno con l’arroganza di chi si sente arrivato. […] Ci sono ragazzetti senza arte né parte che di investire su sé stessi non hanno la benché minima intenzione. Manca la devozione al lavoro, manca l’attaccamento alla maglia. Alle volte ho come l’impressione che le nuove generazioni cerchino un impiego sperando di non trovarlo perché, quando poi li chiami per dare loro una possibilità, non si fanno trovare”, ha detto). Che ne pensa?
“È un problema che abbiamo tutti, io e gli amici cuochi con cui ci confrontiamo. Non si trova personale. Io stesso per l’apertura mi sono dovuto affidare a un’agenzia. Non si trova personale perché i ragazzi non vogliono più fare turni notturni o serali, non vogliono più sbattimenti. E noi non possiamo andare avanti perché le attività hanno bisogno di gente con cui collaborare. E in questo momento non si trovano persone con cui collaborare”.
Non sarà anche una questione di soldi? Le paghe offerte sono buone?
“Che sia una questione di soldi, mi scuso per la parola, sono minchiate, perché io quando faccio i colloqui per le assunzioni (soprattutto per la sala) accanto ho l’avvocato del lavoro. Bisogna smetterla con questa cosa che noi sfruttiamo i ragazzi. Forse sono stati sfruttati quando andavano a Londra oppure altrove all’estero. Io e i miei colleghi non abbiamo sfruttato mai nessuno. Abbiamo pagato sempre tutti e tutto, quindi lo sfruttare è un alibi. Se poi si vogliono sentire sfruttati, è un problema loro. È un problema di mentalità. Hanno probabilmente capito che il loro stile di vita non era consono non so con che cosa. Chiaramente se lavori in un ristorante esci a mezzanotte e mezza o all’una e quindi non vogliono più fare questa vita. Questa è una cosa, ma sullo sfruttare noi non sfruttiamo assolutamente nessuno”.
Quindi è d’accordo con Borghese?
“Certo, ma siamo tutti uguali, nella stessa situazione. Io ho colleghi che non possono aprire perché non trovano personale e quindi dobbiamo cambiare la tipologia di ristorazione. Non lo so, ci dobbiamo inventare qualche altra cosa…”