“aprilia”, tutto minuscolo, in bianco e su sfondo nero, da leggere sopra al podio. Che spettacolo! Come tanti anni fa, quando eravamo piccoli e era piccola (di cilindrata) pure l’Aprilia e vinceva senza storie, con Loris Capirossi, con Doriano Romboni, con Max Biaggi e poi con Valentino Rossi e Marco Melandri, giusto per dirne cinque che non sono proprio “meteore”. Quel tempo lì, che solo a pensarci fa venire i lacrimoni, profumava di miscela e di futuro. Quando era ancora tutto da scrivere. Siamo diventati grandi noi, è diventata grande Aprilia, come azienda, come prodotti, nel motorsport vincendo ancora e anche in Superbike, ma mancava qualcosa e quel qualcosa si chiama “MotoGP”. Viene da pensare alla Classic che se la giocava con l’Eaglet, alla RS che se la giocava con la Mito, all’SR in livrea MotoGP per quelli che invece hanno amato il variatore, ma viene da pensare anche alla Pegaso, alla RX: gli anni d’oro dei cinquantini e dei centoventicinque (e non possiamo non citare anche la moto più goduriosa di tutti i tempi: la RS250) che facevano il verso a quelli grandi, con quella scritta “aprilia” tutto minuscolo sempre in bella vista. A farci sognare, o a farci rosicare quando non gli si stava davanti, mentre la stessa “aprilia”, nel motomondiale, metteva le basi per il futuro italiano della MotoGP, lanciando ragazzi che avrebbero scritto la storia senza, però, poterla scriver insieme a loro. Come se fosse condannata a restare piccola, imbrigliata nell’adolescenza.
Fino a pochissimi mesi fa era opinione comune che non ce l’avrebbero mai fatta e anche a sentire molti che gravitano oggi intorno al paddock era più facile ipotizzare che quelli di Noale avrebbero abbandonato il progetto piuttosto che continuare a crederci. Invece, sia perdonata la citazione, “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” e gli italiani di Aprilia hanno lavorato di brutto: testa bassa, poche storie, e un timoniere, Massimo Rivola, prestato dalla Formula1 e da un’altra italiana gloriosa.
Ecco, Massimo Rivola è la faccia di un’azienda che, al di là della straordinaria prestazione odierna di Aleix Espargarò, c’ha creduto mettendo a frutto esperienze e competenze, budget e progettazione, rispolverando anche un valore che nel motorsport moderno è un po’ passato in secondo piano: l’umanità. Hanno riorganizzato tutto, hanno incrociato le esperienze con Fausto Gresini (verso il quale hanno mantenuto una promessa fatta nei giorni del triste addio), hanno dato vita (con Romano Albesiano) ad un motore che pare abbia pure qualche cavallo imbrigliato per preservare l’affidabilità e hanno portato, nel tempo, innovazioni che poi altri hanno anche copiato. Ma sono stati, prima di tutto, umani. Lo sono nei visi, nelle espressioni, nelle storie. Lo sono stati con Andrea Iannone, aspettato fin oltre il limite dell’autolesionismo e rimanendo, di fatto, senza un pilota, lo sono stati con Aleix Espargarò, affidandogli lo sviluppo pur sapendo che non era certo il miglior pilota sulla piazza e lo sono ancora oggi con Lorenzo Savadori. “Siamo contenti di aver preso Maverick Vinales, ma vedremo se e come buttarlo nella mischia, perché non abbiamo alcuna intenzione di abbandonare Lorenzo” – ha recentemente dichiarato proprio Massimo Rivola. Serve aggiungere altro per ribadire che lì, in casa Aprilia, l’umanità viene prima?
Ecco perché il podio di oggi, che arriva come primo vero premio in un percorso di continua crescita, diventa significativo anche di e per un modo di “essere nello sport” che probabilmente vale più del podio stesso. Anche nelle dichiarazioni del post gara, nell’immediatezza di una euforia generale, le parole sono state, tutte, per le persone. E anche i gesti. Basta pensare ad Aleix Espargarò che salta fuori dalle transenne del parco chiuso e corre incontro ai suoi figli, basta pensare a Lorenzo Savadori che diventa il primo abbraccio di Massimo Rivola, basta pensare che poi, una volta ai microfoni, ci hanno tenuto a ricordare che tutto questo non è stato altro che una promessa mantenuta: “Avevamo promesso di dedicare un podio a Fausto Gresini. Ce l’abbiamo fatta!”. Non sarà l’ultimo.