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Avevamo davvero bisogno di Indiana Jones & badante?

  • di Annina Vallarino

19 maggio 2023

Avevamo davvero bisogno di Indiana Jones & badante?
"Indiana Jones e il quadrante del destino", quinto della saga, è appena approdato al Festival di Cannes fra delusioni e applausi. Harrison Ford ritorna nei panni di uno dei personaggi più famosi, ma non più come lo ricordiamo: ora è un pensionato con gli acciacchi, un dimenticato. Il film, diretto da James Mangold, cerca di far rivivere al pubblico le vecchie glorie. Costato 300 milioni di dollari, ha subito diverse riscritture, per non rischiare il flop, ma la domanda rimane: perché Hollywood non crea storie nuove, nuovi eroi invece di rianimare i classici?

di Annina Vallarino

Mia nonna ha novantacinque anni. Da donna benevolmente dispotica, con un sense of humor anche spietato, ora è tenera, a tratti addirittura dolcissima. È la demenza. Però ogni tanto, d'improvviso, tira fuori una frase cattiva, arguta. In quei momenti la rivedo e mi illudo sia tornata. Direte: ma cosa c'entra mia nonna con Indiana Jones e il quadrante del destino, appena uscito al Festival di Cannes (ieri era la prima, a me è toccata la matinée). Perché anche in questo caso mi sono trovata davanti a una specie di mnemonica nostalgia. Avevo davanti, nel bellissimo Lumière, un Indiana Jones che non era più lui, senonché arrivava la fanfara iconica di John Williams, Harrison Ford si metteva il cappello, gli usciva quel ghigno sfrontato. Ecco, in quegli attimi ho ritrovato le vecchie glorie dell'Indiana Jones che fu.

Ma non è bastato. Non voglio esagerare. Indiana Jones 5 è sicuramente un film grandioso (il regista è James Mangold, un tipo eclettico, mano di molti successi come Girl, interrupted, Walk the line, diversi superhero movie) però qua si parla del sequel di una trilogia icona di fine Novecento (dimentichiamoci il quarto), non di un film qualsiasi ed è così che il gioco si complica.

Certo, già il lungo travaglio di produzione, le anticipazioni, il trailer di Indiana Jones e il quadrante del destino sono state questioni di guerra culturale, soprattutto nel magico mondo degli youtuber e dei titoli clickbait, fra i nostalgici che non avrebbero voluto cambiare niente e fino all'ultimo hanno sperato non si facesse niente ("questi woke che rovinano tutto") e quelli felici che si rivisiti il vetusto adeguandolo ai tempi, ci siano le quote rosa, le minoranze, i messaggi edificanti e educativi, non importa siano scritti male. 

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Difficile parteggiare per l'uno e per l'altro se si amano i bei film e le storie che funzionano. Insomma, i gusti e i tempi mutano, la nostalgia non deve divenire una trappola, e alcune parti della trilogia di Spielberg all'occhio contemporaneo sono di sicuro invecchiate male, come è normale che sia.

Ma in un film di avventura un eroe deve rimanere un eroe, e invece Indiana Jones, e ripeto Indiana Jones - il sempre magnifico, ora ottantenne, Harrison Ford - è diventato un pensionato arruffato (quasi si sente il tanfo) inadeguato alla vita e a sé stesso, che non fa che ripetere quanto le ossa gli fan male, quanto è vecchio, quanto tutto è diverso, anche mentre lotta per recuperare o difendere i reperti archeologici amatissimi (a un certo punto, davanti a un gruppo di nazi e pistole, tira fuori la frusta, mostrando tutta la sua inadeguatezza. La platea sghignazza, come si farebbe davanti a un novantenne che usa il telecomando come telefono). Indiana Jones è un outsider, il vecchio Occidente e boomer che non può che controllarsi la pressione e misurarsi gli acciacchi. Intorno l'esplosione rivoluzionaria di fine anni Sessanta (siamo a New York) che non comprende né vuole capire. Quindi si va nell'avventura che va oltre il tempo e lo spazio, i nemici sono i nazisti, nel mentre si incontrano vecchi amici e si gira il mondo, ma sempre con fatica.

Il film si muove in due intenzioni: quella di creare il ritratto di un vecchio archeologo dimenticato e il fare rivivere a esso le vecchie glorie. Come escamotage, cura di giovinezza, troviamo Phoebe Waller-Bridge (diventata famosa per Fleabag, sceneggiatrice di James Bond), ritrovata figlioccia, arrivata un po' dal nulla, che avrà anche la funzione di co-pilota, e, a essere cattiva, di badante.

Si dice che il film avesse originariamente ben altro plot e che il personaggio di Waller-Bridge, che ha il soprannome Wombat, fosse la protagonista e lui l'aiutante, perché ormai abbiamo capito che il patriarcato è morto e l'eroe maschio, bianco è da evitare. Tuttavia, in seguito alle pre-visioni di post-produzione hanno dovuto ribilanciare i toni, riscrivere, rigirare, onde evitare il flop (da qui, dicono, il costo esorbitante di 300 milioni di dollari, che lo rende l'Indiana Jones più costoso della cinquina).

Certo che anche oggi mi sono chiesta perché Hollywood (e soprattutto Disney) imperterrite riempiano il mondo di sequel, prequel, remake adeguandoli al gusto odierno. Un po' come le relazioni finite che vengono riprese per noia, solitudine e vari interessi, Hollywood produce costosissime minestre riscaldate. Me bambina, amante di Indiana Jones (chi non lo ha amato), vorrebbe scrivere a Hollywood una letterina semplice semplice. Vorrei chiedergli perché non creano storie nuove, nuove eroine, nuovi eroi con tutto il sentimento del tempo? Lasciamo in pace quel che fu e fu fatto bene.

Perché no? Menzioni speciale: il gran figo e... bravo (onde evitare di apparire sessista) Mads Mikkelson è il nazi villain, Antonio Banderas ha una parte di aiutante che non bene si capisce e anche lui appare abbastanza contrariato, si inizia con lo strepitoso Toby Jones.

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