Sta facendo discutere il tragico epilogo di un furto di marmitta avvenuto a Napoli nel quale il ladro è rimasto schiacciato dall’auto. Il fatto è accaduto nel quartiere Pianura. Giuseppe Franco, 45 anni, è morto sotto il peso di una Volkswagen Polo e gli arnesi da scasso ritrovati nelle sue tasche non lasciano dubbi su cosa stesse facendo. Per gli investigatori è certo che si sia trattato di un tentativo di furto. Il proprietario dell’auto si è avvicinato allo sportello del guidatore. L’uomo stava recuperando la propria auto che aveva portato dal meccanico dell’officina a pochi passi dal luogo della tragedia, quando si è accorto che sotto la vettura c’era un uomo. È stato immediatamente chiamato il 118, ma per Franco non c’è stato nulla da fare. Accanto all’auto, c’era anche uno scooter parcheggiato e ancora con le chiavi inserite.
Una storia di criminalità, ma anche di disperazione sulla quale è intervenuto il quotidiano Avvenire per chiedere un po’ di “pietà per quel ladro di marmitte, ucciso da schiacciante povertà”. L’articolo, firmato da Angelo Scelzo, premette: “E se resta ancora un soldo di compassione, non sarà certo uno spreco metterlo sul conto, non più in sospeso, che Giuseppe F., aveva con la vita. Quarantacinque anni, disoccupato, malvivente di giornata, Giuseppe F. è morto schiacciato sotto il peso dell’auto dalla quale stava cercando di rubare la marmitta, un pezzo dal quale si ricava il palladio, che sul mercato nero, così assicurano, ha acquistato valore. Quando il proprietario ha cercato di riprendersi l’auto, ha visto che da sotto il vano bagagli spuntavano due gambe. Il cric aveva ceduto”. Una storia drammatica avvenuta in un territorio – ricorda l’articolo – in cui è necessaria una dose in più di compassione: “È accaduto a Pianura, periferia nord di Napoli, il posto dove senza compassione – l’unguento del cuore ai mali che il mondo produce – non è proprio possibile vivere. Ne occorre da sempre molta, mentre per il mondo il bisogno addirittura dilaga, e fa versare lacrime per un bambino morto di freddo in un accampamento di migranti di fronte a muri e filo spinato, o per altri annegati, sempre nel mare nero dei senza patria. O, su un altro versante, per donne assalite e uccise da un odio maschile malato. E compassione chiede, come atteggiamento per stare al mondo, questo tempo così difficile e tormentato. Così finisce che anch’essa viene alla fine messa alla prova: ne occorre tanta da far temere che alla fine possa in qualche modo consumarsi, o perdere efficacia di fronte a invocazioni e implorazioni sempre più dolorose ed esigenti”. E così, chi scrive su Avvenire, invoca un po’ di misericordia anche per il ladro di marmitte: “Al cospetto dei tanti drammi che il mondo mette in fila, il furto e la vita andata a male di Giuseppe F. parrebbero non valere che un’alzata di spalle, forse un sospiro di commiserazione che solo alla lontana, e per una falsa assonanza, evoca quella misura di ben altra grandezza che si chiama compassione. Ebbene è proprio questa di cui ha bisogno e che tocca anche a lui, caduto senza gloria dalla scala più infima di quell’arte di arrangiarsi che continua a essere, soprattutto al tempo della pandemia, uno dei "mestieri" della vita grama di una città ancora una volta classificata, seppure in maniera ingiusta e sbrigativa, da Terzo Mondo. La pietà, perché di questo si tratta, spetta di diritto anche al ladro di marmitte che ci ha rimesso la vita. Pure per lui vale, deve valere, la regola d’oro per cui la pietà, come la misericordia, non occorre meritarla. È il più gratuito dei doni toccati in sorte a un’umanità perché resti tale. E serve a Giuseppe questa misericordia senza sconti, per far da contrappunto, e alla fine svergognare come un affronto, proprio quella commiserazione falsa e malata che dal mondo della malavita colpisce chi cade sconfitto, E tanto più, se per una vicenda di poco conto. Giuseppe F., ai loro occhi nient’altro che un ladro di marmitte. Un furto andato male. Ma ha ceduto il cric. Resti senza buchi la rete della misericordia”.
A sorpresa, a condividere l’articolo e ad aggiungere un suo “sostegno laico” alla tesi della misericordia, il cantautore Pierpaolo Capovilla: “Provo, lasciate che mi confidi, una grande tristezza nel leggere certi commenti. Siamo diventati privi di passione e con-passione (soffrire insieme) verso il nostro prossimo. Quando un uomo muore nel tentativo di sopravvivere, non c'è Cristo che tenga... Vero? Pazienza. È un segno dei tempi. Io non sono credente, ma sono cristiano, comunque sia. Dopo tutto mia madre fu suora, prima di concepirmi, e mio padre voleva farsi sacerdote. Che sarà mai una marmitta paragonata a una vita. C'è qualcosa che non funziona più nelle nostre teste, nel nostro modo di ragionare. Qualche decennio fa' presi una decisione "politica": tu, Pierpaolo, starai sempre dalla parte degli ultimi, degli sfortunati, di coloro che non sanno come e cosa fare, della povera gente, dei poveri, dei figli dei poveri. Che siano benedetti. Antonio Lettiero, comprendo, o meglio, cerco di comprendere il tuo punto di vista. Io vivo a Venezia e un'automobile non ce l'ho, perché non mi serve. Quando ce l'avevo, era assicurata, anche dal furto o dai danneggiamenti. Ho sempre lavorato come un somaro... Ma quanti anni in nero, senza garanzie, senza tutele, senza uno straccio di quel che si dice. Sfruttato e spremuto come un limone sul branzino. La vita non sorride a tutti, anzi, a volte quel sorriso è un ghigno perfido che porta con se un solo nudo e osceno significato: vai a morire ammazzato. Mi sento più vicino a questo pover'uomo che a tutta la classe operaia del mondo. Perdonatemi. Un abbraccio partigiano. Ppc”.