Trent'anni fa, il 5 gennaio 1995, in Australia nasceva Bianca Censori. O almeno così dicono. Potrebbe non essere mai nata davvero, ma semplicemente apparsa, generata spontaneamente in un camerino di Los Angeles, tra il riflesso di un abito trasparente e il suono lontano di una fotocamera che scatta senza pudore. Censori non è una persona; è un riflesso. Non è una donna; è una proiezione collettiva. Non è un'artista; è una superficie bianca, esattamente come indica il suo nome, destinata a riflettere le nostre pulsioni più inconfessabili.
Non sappiamo nulla di lei, non ha profili social, non ha mai rilasciato interviste, non ha scandali da vendere, né carriere da esibire. Non ha nemmeno una voce conosciuta. Ma eccola lì, ogni giorno. Ogni. Singolo. Giorno. Ci appare, silenziosa, eterea ma spaventosamente presente, come una divinità minore del pantheon digitale. Fotografata con Kanye West, fotografata senza Kanye West, avvolta in abiti inesistenti o in capi grotteschi, ci obbliga a guardare.
E noi guardiamo. Non possiamo fare altrimenti. Non vogliamo fare altri altrimenti.
Censori incarna il vero lusso di quest’epoca: non dover avere un’identità. Essere vuoti, come la casa di un miliardario ultraminimalista. Vuoti e perfetti, come un vaso di Murano esposto in un hotel di lusso: fragile, costoso, e totalmente inutile. Bianca dimostra che, oggi, se sei l’eletta non serve produrre niente per ottenere tutto.
Bianca non canta, non balla, non recita. Non litiga apertamente con nessuno. Non c’è una causa che la smuova, non c’è una battaglia che combatta, non c’è una pubblicità che ci propini. Eppure domina il nostro immaginario. Perché? Forse perché nel niente c’è pace, o almeno tregua. Forse perché il caos del reale ci spinge a rifugiarci in figure senza sovrastrutture, che non pretendano di educarci, di convincerci, di ammonirci. Bianca Censori non chiede nulla. Non vuole che firmiamo petizioni o compriamo prodotti o che combattiamo il patriarcato usando lo schwa. Ci chiede solo di guardarla. E noi, obbedienti, la fissiamo.
Non c’è nulla di più rassicurante di una bellezza che non reclama di essere capita. Il suo corpo esagerato non ci parla. È una forma pura. Forse un meme vivente. Forse una simulazione troppo convincente. È una fusione di membra e pixel, ma senza il fastidio della narrazione. Perché se ogni star ha una storia triste, un’infanzia tormentata, una cicatrice da mostrare, Bianca no. Lei si è materializzata direttamente sul set di una vita da sogno (o da incubo), senza alcun bisogno di redimersi.
E in questo senso, Censori è superiore a tutte. È la principessa del nulla, e va bene così. Sì, perché nel nostro inferno quotidiano ci siamo guadagnati il diritto di avere icone vuote. Abbiamo esaurito il bisogno di persone complesse. Non ne possiamo più. Ora vogliamo la semplicità assoluta. E lei ce la offre.
Siamo inginocchiati. Inchiodati in un eterno refresh della homepage, prigionieri di uno scroll senza fondo alla ricerca di… niente. E quel niente ha un nome, un volto, e un abito che, se esiste, non lo fa per coprire ma per suggerire: Bianca Censori. L’essenza dell’irraggiungibile, costruita pezzo dopo pezzo con la stessa precisione con cui si plasma un modello di plastilina. Forse Kanye l’ha immaginata in un momento di follia creativa. O forse Bianca è uscita da una stampante 3D durante una sessione di brainstorming.
Bianca non parla, non scrive, non pubblica, non commenta. E, proprio per questo, la veneriamo. La sua arte è la sottrazione. È la regina del glamour ammutolito, la sovrana della semantica della vacuità. Nulla da dichiarare se non il suo corpo, signori doganieri della vita reale. E il nulla è proprio ciò che volevamo. Il dono più puro, un respiro digitale che non dice, non spiega, non giustifica.
Come ci siamo arrivati? In principio era Kim Kardashian, poi la catarsi. E infine lei, Bianca, la creatura che appare ma non esiste, come un miraggio sexy che sboccia tra le nebbie del gossip. Il paparazzo la insegue? Forse. O è lei che scivola nei fotogrammi come un’ombra esibizionista? Non fa differenza.
Chi è (o cos'è) Bianca Censori?
Cos’è Bianca Censori? Architetta, dicono. “Yeezy architect” è la sua intera biografia. Ma che cosa ha mai costruito? Cosa ha mai disegnato? Non importa. Il termine “architetta” suona bene. Come se “architetta” fosse una categoria su un sito hard. Arcitetta, più che altro. Bianca sembra la risposta a una gara d’appalto dell’erotismo muto, un progetto estetico e di intrattenimento approvato direttamente dagli algoritmi di Google e di Meta. L’opera più riuscita di Bianca (o di chi ha operato su di lei) è Bianca stessa. Se le chiedessero cosa fa nella vita, probabilmente risponderebbe con uno sguardo vagamente sensuale e silenzioso, lasciando intendere che il problema sta tutto nella domanda. Ma il fatto è che nessuno nemmeno glielo chiede. Chi è Bianca Censori? Ecco il bello: non importa.
Perché siamo qui, al suo cospetto? Perché siamo prigionieri della più simbolica delle illusioni contemporanee: la brama di qualcuno che non ci dia nulla. Censori è l'anti-influencer che ci influenza. Non ci vende niente, ma si offre tutta intera in quegli scatti (fintamente?) rubati in strada, un insieme di pelle e tessuto trasparente che attraversa i nostri schermi come una meteora che però continua a ritornare con piccole ma irrinunciabili variazioni sul tema. E mentre ogni starlet combatte per un posto al sole, Bianca si rifugia nell’ombra di West. Kanye l’ha scoperta, Kanye la mostra. E noi rendiamo grazie, in silenzio, come se ci stesse portando un frammento di paradiso patinato.
Trent’anni. Trent’anni senza un podcast, senza un monologo su TikTok, senza un post sponsorizzato. Eppure ci sono più foto di Bianca Censori che di certi presidenti in carica. Mistero? No. Bianca è la scultura vivente che abita i nostri feed, l’avatar che si fa carne, o viceversa. È la Venere di Milo del XXI secolo, con le braccia ma mutilata di qualsiasi verbo, dichiarazione o intenzione. Bianca è l'epifania che ci meritiamo: un oggetto del desiderio che non pretende di essere altro. La madonna del clickbait che appare fugacemente sui marciapiedi dei luoghi con il più alto costo della vita del pianeta a chi crede nel miracolo della fine del sacro. Bianca Censori è il nostro guilty pleasure. La vogliamo come si vuole un dessert dopo una cena già troppo abbondante. Inutile, eppure necessario.
Dopo Kim Kardashian, la più grande installazione di curve e social media del decennio scorso, Kanye ci ha donato Bianca, la versione 4.0 di ciò che non si può comprare, né replicare: la popolarità senza merito. Un capolavoro di minimalismo esistenziale. Dopo Kim – che del nulla ha fatto un impero mediatico e commerciale – Kanye, il re Mida che spoglia e gonfia tutto ciò che tocca, aveva un compito arduo: trovare qualcuno che potesse essere ancora meno. Bianca è quel regalo: una Kim senza il chiacchiericcio, senza il reality, senza le linee di make up e di intimo modellante. Più pura, più essenziale, più perfetta nel suo vuoto. Se Kim era il big bang, Bianca è l’antimateria. Se Kim Kardashian era la dea contemporanea del selfie, Bianca Censori è il qr code del pettegolezzo. La scansioniamo con gli occhi: cosa c’è dietro? Nulla. Eppure, non riusciamo a smettere.
Bianca è la tela rosa sulla quale proiettiamo ogni nostro desiderio, il punto fermo del nostro inconcludente scorrere infinito. Non fa niente, non dice niente, non ci offre alcun tipo di performance se non la sua muta e inerte fisicità esibita con una generosità che sfiora la profanazione. Non sappiamo cosa pensi, o se pensi. Forse ci ha superati tutti e sa che il pensiero è il vero nemico dell'algoritmo. Perché fermarsi a riflettere quando si può esistere semplicemente come frammento visivo, come una promessa che non deve mai essere mantenuta? Ed è questo, forse, il suo capolavoro. In un periodo storico in cui tutti si sbracciano per dire, fare, postare, commentare, Bianca Censori non si esprime. E noi? Ringraziamo. Perché, se dalla sua bocca uscisse anche solo un sussurro, se dalla sua tastiera partisse anche solo una emoji, Bianca cesserebbe di essere Bianca. Diventerebbe una di noi, una che tenta di spiegarsi, di giustificare la propria presenza. E invece no. Lei non si giustifica. È lì, semplicemente, in vestiti sempre meno degni di questo nome, con Kanye West al fianco o da sola, e ci sfida a continuare a guardarla o a smettere di farlo. E in ogni caso è lei a vincere. Bianca Censori è la risposta definitiva alla domanda che nessuno aveva il coraggio di porre: cosa resta quando ogni narrazione si dissolve, quando l’ultimo sussulto di senso viene soffocato in un mare di trasparenza e sensualità ostentata ma mai concretizzata? E ancora: di quante fibre ha bisogno un indumento per essere legale? Quanto può strabordare un seno per rimanere all’interno del codice morale medievale dei social e dell’erogazione di inserzioni pubblicitarie sui siti, loro sì davvero censori?
Bianca non possiede alcun talento manifesto, non propone opinioni né discorsi, non rivendica. È una sfinge che non pone enigmi, una Monna Lisa che sfila con la sicurezza di chi ha costruito piramidi virtuali a colpi di carne. Che cosa fa Bianca? Nulla. Ma lo fa con una dedizione monastica. E in questo nulla, siamo noi a rifletterci come Narciso in una piscina di like, cuoricini e commenti primitivi. Bianca è l’assoluta sovrana di questo deserto dorato in cui l’assenza di contenuto è il contenuto. Quando il mondo cade a pezzi, Bianca esce di casa con dei collant velati al posto dell’abito e improvvisamente nulla conta più. Il Medio Oriente può aspettare. Le elezioni presidenziali pure. Sta camminando Bianca, e noi la seguiamo come pellegrini senza Dio ma con una connessione 5G che va peggio del 4G e che usiamo per zoomare su foto sfocate di qualità scadente alla ricerca di significati, capezzoli e pezzi di pube glabro perduti.
C’è qualcosa di rivoluzionario in questo? No. Ed è questo il punto. Perché Bianca si salva e ci salva proprio non contaminandosi con alcuna missione. Se domani Bianca tenesse una conferenza stampa o concedesse un’intervista dicendo qualcosa – qualsiasi cosa – tutto crollerebbe. Il giorno in cui dovesse esprimersi, sarebbe finita. Ora ha compiuto trent’anni. L’età perfetta per non esistere. Perché noi non vogliamo che esista in una forma concreta: Bianca è un’idea, un’ombra platonica sul muro della caverna.
Buon compleanno Bianca.
Non cambiare mai. Ma soprattutto, non parlare mai. Non una sola fottutissima parola.
Non rovinare tutto.
Sarebbe imperdonabile.