Io ed Elisabetta Canalis abbiamo qualcosa in comune. No, non la provenienza geografica: lei è la splendida Dea sarda, io invece arrivo dalla profonda Brianza. E nemmeno la carriera: lei è ricca e famosa e io sono… simpatica dai. Quello che ci accomuna, oltre al genere sessuale, sono i “no” ricevuti quando entrambe muovevamo i primi passi come modelle a Milano. I rifiuti avevano sempre le stesse radici: troppo formose. Troppe bocce. Non abbastanza. Misure richieste zero ma forza di volontà a chili. Più volte mi è capitato di essere mandata via da un casting con commenti che oscillavano tra l’umiliante e il surreale. A volte venivo considerata “grassa”, altre volte mi sentivo dire che, molto banalmente, avevo “cosce troppo grosse”. Ricordo questo commento mentre posavo per un improbabile brand di ciabatte da casalinga di Voghera, un “cosciona” sbattuto in faccia con disprezzo, come se l'utente finale del prodotto non fosse una signora over 50 con problemi di vene varicose e glicemia alta. Il tutto mentre pesavo 12 chili in meno di adesso. No, non ero sovrappeso. Semplicemente, non avevo lo standard fisico richiesto. In Italia, queste erano sentenze senza appello. Curiosamente, ad Atene andavo benissimo. Ma a Milano? No. Nessuna pietà. Però ammetto, mi ero impuntata io. Ci credevo io. Solo io in effetti. La moda non ti rincorre. Non ti corteggia, non bussa alla tua porta chiedendo per favore di unirti a lei. Non ci sono talent scout pronti a puntarti un fucile in faccia intimandoti: “Entra nell’industria o perisci”. Al contrario, ogni volta che decidi di provarci, accetti tacitamente di esporre te stessa a giudizi spietati e crudi, pronunciati con un’arroganza e una frustrazione a dir poco titaniche.
Certo, è vero: io sapevo a cosa andavo incontro. Ma questo non rendeva meno inumano il modo in cui venivi scartata. Ti valutavano con uno sguardo che sembrava radiografarti, poi pronunciavano la sentenza. Un mondo fatto di numeri, centimetri e standard, dove l’inclusività è, vediamo di ricordarcelo bene, ancora, nel 2024, un concetto astratto e che sta sui maroni ad un sacco di “bella” gente. Io non ho conquistato la moda, non ho fatto grandi cose in questo settore. Ma Elisabetta sì, alla faccia di tutto e tutti. Anche lei ha ricevuto quei “no” per motivi simili. Ma invece di lasciarsi schiacciare, ha trovato un’altra strada: ha fatto il “giro largo”. Astuta. È riuscita a conquistare, dominare e zittire quel mondo che inizialmente la respingeva e che adesso le chiede con occhioni adoranti di essere considerato da lei. Ha dimostrato che le curve che sembravano un ostacolo potevano trasformarsi in un’arma di seduzione, in una caratteristica distintiva che l’ha resa iconica. E lo ha fatto con determinazione, senza mai perdere il focus da quello che stava raggiungendo. Come non amare sta donna che con ostinazione da muflone ci ha creduto fino in fondo e che ci dimostra di continuo che , se butta bene e ti tieni come Dio comanda, pure la forza di gravità e il tempo ti danno più respiro di quello concesso ad altri?