Il variegato mondo di TikTok, che nulla si lascia sfuggire e nulla ci risparmia, sta celebrando da qualche tempo il trionfo di like e visualizzazioni delle bambole reborn e le loro “mamme”. Si tratta di bambolotti meticolosamente lavorati, in silicone e/o vinile, talvolta costosissimi (i prezzi oscillano parecchio, e possono toccare vette di migliaia di euro), che somigliano dannatamente ai bambini veri (neonati, o bimbi comunque piccoli, in genere). Un successo che ci scuote. Troppo ingenui, noi? Troppo sensibili? Troppo square? Potrebbe anche essere, perché se esiste un luogo in grado di stravolgere l’opinione che hai della realtà (la realtà? Cos’è, costei?), questo è TikTok. Tuttavia crediamo che il contorno, ciò che fa da sfondo a questi bambolotti maniacalmente cullati, ninnati e “nutriti”, debba per forza strapparci qualche dubbio. Camerette perfettamente concepite e organizzate, completini, lettini. Solo che i bimbi non sono veri. Per toglierci dalla faccia quell’espressione “wtf?!” un po’ così, ne abbiamo parlato con lo psicologo Matteo Merigo, che già più volte ha fornito alla nostra rivista preziosi contributi (ad esempio il recente pezzo su Paolo Crepet).
Queste reborn ci spaventano. Il mondo che ci sta attorno ancora di più. Ma cosa diavolo sono? Ci tranquillizzi, se ne è capace.
Questo tipo di bambole nacquero diversi anni fa in contesti terapeutici. Venivano utilizzate, in particolare, per le persone affette da demenza. Ricordo una casa di riposo – credo a Erba – che già una quindicina di anni fa le utilizzava per portare la persona a rimettere in movimento gli stati emotivi. Stimolarla alla cura per l’altro. L’effetto era sia calmante, sia terapeutico. Poi sono state utilizzate anche rispetto all’elaborazione del trauma. Le si affidava a giovani madri che avevano perso un figlio. A mio avviso, però, questa non fu una grande strategia perché il lutto, così, anziché comprimersi si allargava, dando luogo a un pericoloso sganciamento dalla realtà. Allontanandoci però dal contesto terapeutico, troviamo queste bambole anche in ambiti più “normali”. Pensiamo al cinema, ai cosplayer. Qualche tempo addietro c’era una ragazza che postava dei video in cui lei era vestita da demone. Al suo fianco, un demone bambino. Molti hanno creduto fosse un bambino vero, mentre si trattava solo di un bambolotto. Spostandoci ulteriormente, arriviamo quindi al mondo del collezionismo e del modellismo. Lì si cerca di creare bambolotti sempre più belli, magari da portare in un contest.
Nulla di preoccupante, quindi?
Non proprio. Perché poi ci addentriamo in aree dove possono emergere delle autentiche bizzarrie (nel caso delle reborn, siamo al confine con il feticismo). In questo caso abbiamo un bambolotto che soddisfa una volontà/esigenza di maternità senza però generare nella “madre accudente” alcun tipo di discomfort (non devi pulire il bambino, e se lo devi fare lo fai quando vuoi/decidi tu; stessa cosa per l’allattamento).
In questo caso ci troviamo al cospetto di casi psichiatrici?
Dipende sempre da ciò che sta dietro e dentro l’individuo. Per alcune di queste donne fare dei video con un bambolotto può anche solo essere l’ultima moda dettata da TikTok, per altre potrebbe effettivamente implicare un distacco psicotico.
Il rischio di un distacco psicotico è forse intuibile dalla cura estrema con cui queste donne si prendono cura del finto figlio?
Prendiamo il modellismo. Pensiamo alla cura che i modellisti dedicano ai diorami. Fin qui, il parallelo fra loro e le madri delle reborn potrebbe anche starci. Dov’è la differenza? Nell’animismo che alcune di queste donne pretendono di instillare all’interno di un oggetto di plastica o silicone. Qualcosa che potrebbe riportarci alla mente lo scultore che, esaltato, vorrebbe vedere la propria scultura, una volta terminata, prendere vita. Però, anche in questo caso, una differenza c’è. C’è di mezzo il lavoro, la potenza creativa. Cosa sta facendo, quindi, in concreto, la mamma di una bambola reborn? Cerca il successo provando a creare storie su TikTok? Cerca di aprirsi un mercato? O si sta creando una nuova realtà? La discriminante può essere il passato della persona. Un trauma, mai o mal elaborato, alle spalle.
Può anche esserci la paura di una vera maternità?
Certamente. Ma anche un desiderio di maternità che in passato è stato bloccato da qualcos’altro. E qui torniamo al contesto terapeutico di cui parlavo all’inizio. Perché i contesti possono variare, alcuni possono essere molto particolari, tanto da includere aspetti davvero bizzarri in cui il godimento non è sessuale, ma legato alla creazione di una realtà alternativa. Una realtà che finalmente soddisfa colei che se la crea.
I social come vetrina di una realtà patinata, finta. Priva di quei disagi (il cambiare un bambino vero, come dicevi) che la realtà vera presenta.
Mah, pensiamo alla pornografia, che cerca di rendere la sessualità più vera del vero. Prova ad essere talmente immersiva che tu, guardando un film, non vedi più i difetti, ma solo i pregi. Solo che il film pornografico, già a una seconda visione, perde peso, efficacia. E così, sempre di più, ad ogni nuova visione… I social fanno un po’ questo effetto: ti danno un’emozione iniziale molto forte, più vera del vero, ma poi, quella stessa offerta, nel ripetersi, perde attrattiva. Per cui, al post successivo, è necessario alzare il tiro. I bambolotti, nello specifico, sono splendide opere di ingegneria, tanto che a un primo sguardo li confondi con un bambino vero. Tutto esteticamente impeccabile, ma… Ma sono alla base di un’esperienza che può solo tradursi in visualizzazioni (se sono tante, uno ci costruisce un business) o puro esibizionismo. Dal mio punto di vista, ossia quello di uno specialista che deve confrontarsi con un paziente, il vero interesse scatta quando l’individuo che abbiamo di fronte è egodistonico.
Ci spieghi meglio.
Sono persone che nel fare una determinata cosa provano angoscia o dolore. O che fanno una cosa che comunque, intimamente, ritengono sbagliata. Ipotizziamo: un individuo che ha sviluppato un’attrazione feticistica per le persone che schiacciano gli insetti con i piedi. Vive questa attrazione con angoscia, capisce che c’è un problema e va dallo specialista. Chi invece vive le medesime situazioni come egosintoniche – senza quindi particolari angosce o affanni – difficilmente andrà in terapia o cercherà un aiuto qualificato. A meno che non si presenti dallo specialista dicendo: il mio disagio è forte perché la passione per le bambole reborn, ad esempio, mi costa un sacco di soldi.
Una donna quindi ti si potrebbe presentare dicendo: sono stanca. Faccio una vitaccia, perché oltre al lavoro e alle normali relazioni devo prendermi anche cura di un bimbo. Che però, ehm, è… finto.
Molto probabilmente non sarà la persona interessata a dirmelo, ma il compagno o la compagna. Un’amica, qualcuno di molto vicino al soggetto. Magari il coniuge, che mi dirà: io e mia moglie abbiamo cercato un figlio per tanto tempo, ma non ce l’abbiamo fatta. Lei, quasi per gioco, si è presa un bambolotto di cui ha avuto grande cura. Anche troppa, forse, visto che adesso non si riesce più a staccare da lui.